Crac Aeradria: gli errori, i reati, le domande aperte
Superato il clamore dei primi giorni, con lo stupore di vedere il gotha della politica riminese accusato di associazione a delinquere e oggetto di provvedimenti cautelari come il maxi sequestro da 34 milioni, è forse è arrivato il momento di fare alcune valutazioni che, per forza di cose, a inchiesta ancora aperta, sono assolutamente provvisorie.
Partiamo dai dati di fatto. C’è stato il fallimento di Aeradria con un buco di più di 50 milioni. Già questo dice che sono stati commessi errori ed anche gravi. Se insieme agli errori sono stati commessi reati, è ciò che deve accertare la margistratura. Ogni volta che c’è un fallimento, anche di una piccola azienda, se gli inquirenti decidono di guardarci con la lente di ingrandimento, inevitabilmente spuntano irregolarità. Figuriamoci nel caso di Aeradria, dove di per sé la vicenda è sorretta da un quadro normativo complesso, non solo italiano ma europeo (le norme sulla concorrenza e quindi il divieto di denaro pubblico alle compagnie) che, assicurano gli esperti, non sono rispettate in molti altri aeroporti italiani e stranieri.
L’escalation di questi giorni dipende dal fatto che la Procura ha alzato il tiro: nel suo mirino non ci sono solo gli ex amministratori di Aeradria, accusati dei tipici reati dei fallimenti, ma anche una serie di politici e amministratori pubblici (in carica o ex) per i quali è stato ipotizzato il reato (infamante solo a pronunciarlo) di associazione a delinquere. Ha un bel dire il procuratore capo che associazione a delinquere non significa per forza “di stampo mafioso” (un fine umorista come Nando Piccari ha proposto di chiamarla “di stampo aviatorio”) ma è comunque preoccupante per l’opinione pubblica venire a sapere che i famosi nove indagati si sarebbero coscientemente messi d’accordo per sostenere una società ridotta a un colabrodo solo per non compromettere le proprie ambizioni personali e politiche.
Il momento di sgomento viene superato e lascia spazio a più brucianti interrogativi, quando leggendo l’ordinanza del Gip vi si trovano giudizi che sembrano appartenere più al campo della politica (dove il diritto di “punizione” appartiene ai cittadini con il voto) che al diritto. E stupisce che, di questo, non se ne accorgano quegli esponenti di centrodestra che magari si sono sempre stracciati le vesti per la politicizzazione della magistratura che colpiva il loro leader Berlusconi (peraltro mai inquisito per atti di governo ma solo per vicende aziendali e personali) e che ora invece, presi dal sacro furore di sconfiggere la sinistra alle prossime elezioni, non disdegnano la via giudiziaria, aborrita quando riguardava il loro leader.
Questo quanto al metodo. Entrando invece nel merito, è evidente che l’iniziativa della Procura mette sotto accusa, presentandola come una grande e ben congegnata iniziativa criminale, quel sistema di collaborazione fra pubblico e privato che ha portato alla nascita della consociata Riviera di Rimini Promotion, creata per “dribblare” il divieto dei contributi pubblici attraverso il meccanismo dell’acquisto di biglietti “vuoto per pieno”. Se si vanno a leggere articoli di giornale e documenti pubblici di una decina di anni fa si scoprirà che tutti, politici, amministratori e rappresentanti delle associazioni di categoria, avevano salutato la novità come un passo in avanti del territorio riminese, sempre così anarchico e diviso, che finalmente riusciva a fare sistema. Dieci anni dopo quel fare sistema è senza padri, anzi tutti sembrano vergognarsene. Solo qualche accenno fra le righe, niente di più. L’ex presidente della Provincia Nando Fabbri ha posto l’accento sulla procura che esprime giudiziosi politici. E va bene. Qualcosa ha detto anche il sindaco Andrea Gnassi, ma senza approfondire come il tema meritava. Tacciono, per evidenti motivi, i rappresentanti delle varie associazioni albergatori. Era un sistema virtuoso o un’artificiosa finzione di cui vantarsi?
Continuiamo nel merito. La Procura sostiene che i guai dell’aeroporto sono nati dal fatto che la famosa associazione a delinquere, incurante dei debiti di Aeradria che crescevano a vista d’occhio, ha agito per tenere aperto l’aeroporto ad ogni costo. Si tratta di capire perché questo giudizio, lungi dall’essere un complimento, è invece un atto di accusa. Leggendo l’ordinanza del Gip, capita spesso di leggere che gli indagati hanno agito per mantenere in vita Aeradria, nonostante i debiti. Da un punto di vista giuridico, probabilmente è corretto valutare così il loro comportamento, ma dal punto di vista dell’opinione pubblica interessa di più capire se i politici agivano per tenere aperto e funzionante l’aeroporto e non per ambigui interessi personali. Se si guarda l’Europa, ci sono numerosi aeroporti, anche più importanti di quello di Rimini, che sopravvivono solo grazie al foraggiamento pubblico annuale di milioni su milioni. Evidentemente quei politici valutano che un aeroporto sia essenziale per la loro comunità. Che questa infrastruttura sia fondamentale per Rimini e provincia non si può discutere, i famosi 800 milioni di indotto non finiscono solo nelle tasche di albergatori e commercianti, ma anche dei dipendenti di tutte queste imprese turistiche. È insomma un volano dell’economia locale, e lo si è ben visto in questi mesi di chiusura e di crisi dei voli russi.
Perché allora hanno sbagliato i politici locali a tenerlo aperto ad ogni costo? Una approfondita analisi potrebbe stabilire se da un certo punto in poi ci sia stato una sorta di accanimento terapeutico che non trovava giustificazione nei numeri e nei costi per la comunità. Se c’è una responsabilità dei politici e degli amministratori probabilmente è stata quella di non avere avuto il coraggio e il buon senso di gettare la spugna quando la situazione lo richiedeva. Gettare la spugna poteva voler dire dichiarare l’impossibilità di continuare o cercare partner privati verso i quali non si è mai guardato con convinzione. È giusto fare di tutto per tenere aperto l’aeroporto, ma con costi sostenibili per il territorio. Se questa responsabilità politica è poi sfociata anche in reati penali, saranno i giudici a stabilirlo.
Ultimo punto. Un altro aspetto che non convince delle vicende dell’aeroporto è il modo, verrebbe da dire maldestro, con cui le istituzioni pubbliche che erano i soci di maggioranza di Aeradria (Provincia e Comune in primo piano) cercano di chiamarsi fuori da tutto, addebitando ogni responsabilità agli ex amministratori. La decisione di affidarsi ad un legale per accertare se esistono i presupposti di un’azione di responsabilità contro Massimo Masini & Soci provoca un sorriso amaro. Il presupposto di questa decisione è che i soci di maggioranza si sarebbero accorti del buco di Aeradria solo dopo il fallimento e l’apertura dell’inchiesta. Cioè il sindaco e il presidente della Provincia, pure chiamati a frequenti aumenti di capitale, non c’erano e se c’erano non sapevano (o forse dormivano?). Soci, va sempre ricordato, che hanno tenuto in piede il cda presieduto da Masini fino all’ultimo secondo. Se le responsabilità penali le deve accertare, persona per persona, la magistratura, da quelle politiche non si può sfuggire con il tentativo di scaricare tutto su amministratori nominati e confermati per anni.