Rimini, quando in parrocchia si discute di città e piano strategico
Metti una serata in parrocchia e ci scappa un confronto, non privo di fuochi di artificio sul finale, sul piano strategico del Comune di Rimini, oggetto del desiderio per alcuni, fuffa maleodorante per altri. La parrocchia è quella di San Gaudenzo, dove parroco è l’ex vicario della diocesi, don Aldo Amati, anche lui sul palco insieme ai relatori per dire che quello era un gesto di Chiesa per alimentare la speranza. Tema della serata è “Rimini: città a misura di sguardo”.I protagonisti della sceneggiatura sono l’architetto Nedo Pivi, con un passato in politica, dirigente scout, fedele parrocchiano; l’architetto Edoardo Preger, urbanista e già sindaco di Cesena; l’ex sindaco di Rimini Giuseppe Chicchi, che si era ripromesso di non parlare mai pubblicamente dei problemi della città e cede invece alla tentazione; il presidente della Camera di Commercio Fabrizio Moretti; ed infine seduto fra il pubblico, ma protagonista del gran finale, Maurizio Ermeti, presidente del Forum e amministratore dell’Agenzia del piano strategico.
Nel suo intervento iniziale Pivi si fa interprete del sentimento diffuso fra quanti si sono sentiti sedotti e poi abbandonati dalla sirena del piano strategico. Ricorda il grande investimento che su quello strumento ha fatto il mondo cattolico, esalta il ruolo del defunto Luciano Chicchi e della Fondazione Carim, osserva poi mesto che dopo la bella stagione in città è tornata la cultura della conservazione e delle fazioni contrapposte.
L’architetto Preger non si sofferma sul piano strategico ma infila alcuni dati che forse hanno fatto fischiare le orecchie al sindaco Andrea Gnassi. Fin dalle prime battute si capisce che vuole demolire lo slogan “stop al consumo di suolo”, specialmente quando resta uno slogan senza contenuti nuovi. Preger ricorda che negli ultimi quindici anni la popolazione di Rimini è cresciuta del 14 per cento, le famiglie sono aumentate addirittura del 26 per cento. Non era mai successo dagli anni Cinquanta. Nello steso tempo si scopre che il 20 per cento delle famiglie vive in coabitazione, cioè due famiglie sotto lo stesso tetto. Un dato che si affianca a un altro apparentemente contradditorio: il 30 per cento delle famiglie è unipersonale, la superficie media degli appartamenti è di 90 metri quadri: case troppo grandi per persone sole. Tutto questo per dire che non è vero che non c’è bisogno di nuove case e che certamente si devono poter ristrutturare gli edifici esistenti. Preger indica due piste di lavoro: con gli indici ridicoli che si mettono per frenare il consumo di suolo non si va da nessuna parte, occorre un pensiero nuovo, costruire in altezza (non grattacieli ma palazzi di otto piani); vanno riqualificate le aree dismesse, a Rimini si può considerare tale l’area della stazione, intervenire su essa ha alto valore strategico perché ricompone la cesura fra le due città, il mare e il centro storico.
La palla passa all’ex sindaco Giuseppe Chicchi che arriva subito al punto: per ridare benzina al motore che produce ricchezza noi negli anni Novanta abbiamo la scelta delle grandi opere (fiera, darsena, Caar, palasport, ecc.), il punto è che oltre all’hardware non si è prodotto anche un software, cioè una cultura moderna e professionali i servizi di alta qualità. Chicchi va alla lavagna e traccia un disegno che lui propone dl 1989, l’anno della grande paura per le mucillagini. Il succo è che c’è una filiera turistica che ha un picco nei tre mesi estivi e poi si blocca negli altri mesi. Anche le infrastrutture pubbliche, a partire dalla depurazione, sono state costruite per reggere il picco, nel resto dell’anno sono investimenti improduttivi. I dati più allarmanti dell’economia locale sono quelli che indicano che si sta riducendo il numero degli alberghi annuali. Chicchi avverte che quando si decide di far ripartire il motore, oggi bisogna stare attenti all’equilibrio complessivo. E cita tre esempi. Si sta ricostruendo il teatro Galli con 670 posti, quando il teatro ottocentesco ne aveva 900 con una città cinque volte più piccola. Quel teatro è orientato al deficit in modo costitutivo. Le colonie: sono rimaste al palo senza interventi perché la Provincia nel piano regolatore Benevole ha cassato la possibilità di destinarle anche a residenze. Il Palazzo dei Congressi: nel 2006 il parlamento ha diminuito l’Iva per i congressi perché già erano evidenti i segni di crisi e a Rimini si è costruito un Palazzo da oltre 100 milioni.
Intermezzo del presidente della Camera di Commercio Moretti che si scaglia contro i grattacieli di Dubai, facendo finta di non aver sentito che Preger aveva parlato solo di otto piani, e che soprattutto rilancia la grande opportunità del piano strategico, che sta funzionando perché grazie ad esso, per esempio, si sta risolvendo il problema delle fogne. Un invito a nozze per Ermeti che prende subito la parola per assicurare che il piano strategico non è morto, è vivo e lotta insieme a noi. Il piano ha compiuto le scelte fondamentali della salute del mare e della rigenerazione della zona turistica. Ed anche lui cita le fogne, i prossimi bandi per il lungomare, la futura pedonalizzazione del ponte di Tiberio, la prossima sistemazione di piazza Malatesta con il trasferimento del mercato (già nel 1999 – obietta Chicchi – avevano firmato un protocollo di intesa con le associazioni degli ambulanti), le rotatorie su via Roma con tanti espropri che prima non erano mai stati fatti (dal pubblico l’ex vice sindaco Zavatta ricorda che lui per via Roma di espropri ne aveva fatti 500).
Di fronte all’eloquio torrenziale di Ermeti, Chicchi sbotta: “Ma quanto costa alla città il piano strategico?”. Ermeti risponde che costa 240/260 mila euro all’anno ma grazie ai suoi progetti ha portato a casa finanziamenti per 30 milioni. Ermeti sostiene che il Comune ha ottenuto i finanziamenti per le fogne o si è fatto regalare dallo Stato il lungomare grazie alla visione che il piano strategico ha prodotto.
Chicchi non ci sta: “A questo punto non so più chi sia il sindaco, tutto quello che Gnassi afferma essere farina del suo sacco dici di averlo fatto tu!”. E spiega che per lui il piano strategico è un riformismo senza popolo, perché il popolo si esprime attraverso gli strumenti della democrazia rappresentativa. Qui non c’è il popolo, solo alcune associazioni di categoria. Tutto ciò che è stato fatto una buona amministrazione efficiente avrebbe dovuto realizzarlo anche senza piano strategico. Il Psc adottato nel 2011 è fermo al palo e ancora non si è risposto alle 2.500 osservazioni dei cittadini. Lì il popolo si è espresso e non ha avuto risposta. Il tempo di dire che le fogne le pagheranno i cittadini con il 7% di aumento delle tariffe e che lui ha dubbi che possa funzionare il sistema ideato da Hera, e il dibattito si chiude. Forse una nuova serata in parrocchia sarà dedicata interamente al piano strategico. Amen.