Tende Avsi: Erbil, asilo aperto in due settimane
Ha ventotto anni, una laurea triennale in scienze motorie, dopo la quale si è specializzato in studi sulle disabilità e studi internazionali, lavora per Avsi dalla fine del 2013 che lo ha mandato prima dieci mesi in Kenia (dal maggio del 2014), poi, dallo scorso aprile a Erbil, capitale kurda. Giacomo Fiordi ha raccontato i suoi primi otto mesi in Iraq ieri sera a Rimini in occasione dell’incontro di presentazione della campagna Tende Avsi 2015-2016 al centro Tarkovskj assieme a Giampaolo Silvestri, segretario generale di Avsi, e a Luciano Marzi, responsabile dei progetti per l'accoglienza dei profughi della Caritas diocesana. Giacomo è responsabile dei progetti Avsi per i rifugiati iracheni, dal titolo ‘Ricominciare a Erbil’.
“Attualmente sono più di tre milioni i profughi iracheni scappati per via dell’Isis. Un milione e mezzo è andato nel kurdistan, dove viene garantita la pace dai militari curdi, l’altro milione e mezzo in altre regioni a sud di Bagdad. Tra i profughi ci sono tanti arabi, ma a contare è di più la definizione religiosa. Tra i profughi iracheni solo il 6 per cento sono cristiani, i più sono musulmani, ci sopo poi yazidi e altre minoranze”.
Il lavoro di Avsi in Iraq è partito a settembre dello scorso anno. “Inzialmente abbiamo finanziato la Caritas irachena nell’assistenza primaria con la distribuzione di beni di prima necessità”. Poi a Giacomo è stato chiesto di partire alla volta di Erbil. “Mi è stato proposto di andare lì di persona per capire meglio la situazione e per analizzare le possibilità di sviluppo: come è possibile costruire il futuro di queste persone?”.
Giacomo è arrivato in aprile a Erbil. All’inizio si è dovuto occupare di questioni burocratiche e logistiche, poi ha iniziato a conoscere i profughi, le loro storie, le loro esigenze. Da questo lavoro sono nati i primi tre progetti Avsi.
“Il 27 aprile abbiamo aperto un asilo in collaborazione con le suore domenicane. Accoglie 125 bambini, tutti figli di profughi (quasi tutti cristiani, tranne 3 yazidi). Si chiama ‘Casa del bambino Gesù’ e si trova in un quartiere della città dove abitano 1.200 famiglie di profughi”.
Adesso si sta lavorando a un secondo asilo, questa volta dentro a uno dei numerosi campi profughi di Erbil, ”per una settantina di bambini tra i 4 e i 5 anni, che non vanno all’asilo da almeno un anno. Stiamo lavorando, inoltre, per aprire dei corsi di formazione linguistica e professionale per i ragazzi più grandi. Dovrebbero partire a metà febbraio”.
Tra le difficoltà del ‘mestiere’, Giacomo segnala quella “della lingua: dover lavorare con l’interprete limita il rapporto diretto con le persone, mentre il metodo di Avsi prevede proprio che tutte le idee nascano dall’incontro, dall’ascolto dei bisogni. Sono loro che ti chiedono di cosa necessitano e allora tu ti adoperi per procurarlo. L’asilo, per esempio, è nato in sole due settimane, affittando i locali, dall’incontro con le suore che ne avevano uno a Qaraqosh (città da cui sono fuggiti 100mila cristiani, ndr) e avevano già tutte le insegnanti a disposizione. Questo è il metodo dell’Avsi: non sei tu che decidi cosa fare, prima di tutto incontri le persone, pian piano diventa un’amicizia e insieme si costruisce”.
Dopo l’apertura degli asili per i piccoli, la sfida ora per Giacomo è “dare speranza lavorativa ai genitori ospitati nei campi profughi senza sapere che fare tutto il giorno. E’ una condizione difficile, a livello umano, quella di un padre che che non può mantenere la propria famiglia”.
Erbil, racconta Giacomo, “è una grande città, con strade a quattro corsie, i grattacieli, la wifi in casa, gli abitanti vivevano come noi. Poi si sono ritrovati a dover accogliere in massa centinaia di migliaia di profughi e la situazione si è fatta difficile”. Della sua esperienza in Iraq, Giacomo è stupito dall’aver “incontrato tante persone con le quali stanno nascendo dei rapporti di amicizia, un’esperienza molto arricchente a livello umano e culturale”. I profughi, racconta Giacomo, “sono persone aperte all’accoglienza nonostante abbiano perso tutto. Sono felici di incontrare te straniero che arrivi anche se non gli porti niente dal punto di vista materiale, sono contenti semplicemente di incontrarti. Questo tipo di approccio all’altro non è sempre così scontato in Europa, un’ospitalità gratuita che non ti aspettavi”.
Molte le persone intervenute all’incontro. “E’ stato bello - sottolinea Sacha Emiliani, referente Avsi a Rimini - vedere dialogare due realtà, Avsi e la Caritas, che a seguito della richiesta di papa Francesco di adoperarsi per accogliere i profughi si sono mosse, hanno iniziato a guardarsi e possono collaborare insieme operativamente”.
Marzi della Caritas ha precisato: “Aiutiamoci perché c’è bisogno che questi profughi siano accolti”. Accogliere, ha ricordato, “vuol dire non avere paura. In provincia di Rimini sono meno di 500 i profughi ospitati: non si può certo parlare di un’invasione”.