(Rimini) “Oggi è la fine di un incubo”, sono queste le prime parole di Fabrizio De Meis, presidente dell’associazione calcistica Rimini 1912, alle lettura dell’ordinanza con cui il tribunale di Bologna ha si annulato il sequestro del 30 per cento delle quote societarie, che per circa un anno ha bloccato diverse possibilità di manovra per migliorare le condizioni economiche del club, “con effetti devastanti sulla società che rappresento”.
De Meis rende pubblici alcuni pezzi delle motivazioni che hanno portato i giudici a decidere.
"Pertanto, l'atteggiamento serbato da Luukap - è scritto nel documento - si è connotato, oltre che per un non condivisibile rifiuto di adempimento degli accordi negoziali intervenuti tra le parti, per contrasto con il canone di buona fede nell'esecuzione del contratto ed induzione di confusione circa le intenzioni effettive del cessionario, legittimando dunque appieno, quanto meno nell'apprezzamento sommario consentito nella presente fase cautelare, l'iniziativa, presa dalla società odierna reclamante, di assumere ogni provvedimento diretto a far contrastare l'inadempimento degli accordi negoziali medesimi e alla sistemazione, di conseguenza, degli assetti societari, gravemente compromessi, in uno all'immagine, anche in vista dell'imminente campionato, sistemazione assolutamente essenziale per l'economia e la conservazione della società stessa”.
Già la scorsa estate, “e quindi per tempo, ci eravamo resi conto - continua De Meis - che, dopo l'enorme sforzo economico sostenuto per vincere al primo colpo il campionato dilettanti, la società aveva bisogno di una maggiore solidità, diventata poi necessità primaria dopo le tristi vicende che nel luglio scorso hanno colpito il nostro gruppo. Abbiamo perciò cercato dei partner incappando in quello sbagliato, che non ha adempiuto un contratto nonostante la nostra, anche a volte eccessiva, disponibilità, e compromettendo poi con una serie di azioni giudiziarie (tutte) infondate e temerarie il futuro stesso della società. Il sequestro delle quote, in particolare, ci ha sostanzialmente impedito di poter valutare altre offerte e la macchina denigratoria messa in moto contro la Rimini Calcio e il suo Presidente ha spaventato non solo potenziali sponsor ma anche chi aveva intenzioni serie di partecipare o di rilevare il nostro ambizioso progetto sportivo”.
Una lotta senza sostegni esterni. “Abbiamo lottato praticamente da soli, registrando solo l'appoggio dei nostri tifosi più affezionati. Molti altri hanno alimentato una campagna di odio nei nostri confronti, con superficialità, nella migliore delle ipotesi, con complicità in altri casi. Ogni nostra trattativa per rinforzare la società è stata annullata, contaminata da questa strategia probabilmente ipotizzata sin dal primo contatto, e che ha trovato humus favorevole in una parte dei media, dei tifosi, di professionisti locali, di potenziali soci in cerca di pubblicità gratuita, sino ad arrivare con parvenza innocente a sedersi al tavolo dell'amministrazione dettando condizioni e diffamando la società”.
Oggi il Tribunale di Bologna, “dice che avevamo ragione noi e invece di essere un giorno felice è un giorno amarissimo, perché quello che ci rimane dopo questo lungo periodo di totale blocco delle attività e d'impossibilità di muoversi serenamente sul mercato dei potenziali interessati, è solo una piccola speranza: solo pochi giorni per salvare la squadra della nostra città”.
Le speranze sono poche. “Sinceramente non ci aspettiamo molto, ma se nella coscienza di chi oggi sente di aver sbagliato qualcosa in questa vicenda, anche semplicemente voltando le spalle, esiste un briciolo di amore per i colori che rappresentano Rimini, questo è il momento di fare qualcosa per non darla vinta a chi ha lavorato per distruggerci”.