Non c’è limite al peggio. Se il Porcellum di calderoliana memoria era stato quasi unanimemente bollato come una legge elettorale perversa, il Rosatellum che gli è succeduto, e con il quale il 25 settembre voteremo per la seconda volta, è, se possibile, ulteriormente peggiorativo. Nel senso che rende ancora più complicato agli elettori il mestiere di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento.

La pessima legge è stata di fatto ulteriormente peggiorata dal combinato disposto della riduzione del numero dei parlamentari (che ha ampliato la distanza fra elettori ed eletti) e dalla tendenza delle forze politiche a compiere scelte e candidature guardando soprattutto agli equilibri interni e alle esigenze di sopravvivenza del ceto politico piuttosto che agli elettori e al loro desiderio di rappresentanza.

È una osservazione che non vuole alimentare i già troppi diffusi sentimenti di antipolitica o antisistema, ma vuole essere un contributo di chiarezza e di realismo. Insomma, bisogna avere coscienza dei limiti strutturali che ha lo strumento che usiamo (la legge elettorale), per scegliere i nostri rappresentanti. Se lo conosci, lo strumento, sei più libero e meno soggetto ai tentativi della propaganda di venderti soluzioni che sono appunto solo propaganda.

Tutti abbiamo inteso che il Rosatellum è un sistema misto, maggioritario e proporzionale. Un terzo dei deputati e dei senatori è eletto con il sistema maggioritario in collegi uninominali, i due terzi con il sistema proporzionale in collegi plurinominali. Prendiamo il caso di Rimini: il territorio provinciale coincide con il collegio uninominale della Camera dei Deputati. È il collegio dove ci sarà la grande sfida fra l’ex sindaco Andrea Gnassi, Pd-centro sinistra, e il deputato forlivese Jacopo Morrone, Lega-centrodestra. Ci saranno anche altri candidati, ma se la giocano questi due. Sistema maggioritario significa che chi prende anche un solo voto in più stacca il biglietto per Roma. Gli elettori riceveranno una scheda abbastanza simile a quella che hanno ricevuto per le comunali: i candidati che sono espressione di una coalizione avranno vicino i simboli dei partiti che li sostengono. Non solo: accanto ad ogni simbolo ci sarà l’elenco dei candidati di ciascuno partito che concorre per la quota proporzionale. Nel caso del collegio di Rimini per la Camera dei Deputati i nomi che troveremo sulla scheda sono 6. Attenzione però: il collegio plurinominale ha un territorio più vasto, comprende anche le province di Forlì-Cesena, Ravenna e Ferrara. Ciò significa che il mio amico di Cesena o il mio parente di Ravenna avranno sulla scheda gli stessi listini (li chiamano così) che vedo io.

Cosa si deve fare per votare? Posso votare il candidato dell’uninominale (Gnassi, Morrone o un altro) e votare un listino di partito ad esso collegato: il voto andrà al candidato e al listino. Oppure mi interessa solo il partito e voto solo quello: in automatico il mio voto si estenderà anche al candidato dell’uninominale. Voto il candidato uninominale e basta: in questo ultimo caso il mio voto verrà ripartito ai partiti della coalizione in base ai voti ottenuti nel collegio. Due importanti avvertenze. Non esiste il voto disgiunto: se voto il candidato uninominale e un partito di un’altra coalizione, la scheda viene annullata. Quindi chi è attirato da un candidato che non rispecchia le proprie preferenze politiche ma è apprezzato per la sua personalità e per le cose realizzate, sappia che votandolo compra il pacchetto completo (candidato e schieramento politico). Così stabilisce il Rosatellum. Il voto disgiunto è praticabile fra Camera e Senato: alla Camera mi faccio guidare dalla preferenza per il candidato dell’uninominale e al Senato dal mio schieramento politico di riferimento. O viceversa. Seconda avvertenza: non c’è voto di preferenza: vi piace il candidato che è in quarta posizione nel listino del vostro partito del cuore?  Bene, fatelo sapere a lui personalmente, perché non gli potrete dare la preferenza. I listini sono bloccati: viene eletto chi si trova nella posizione migliore rispetto al numero dei seggi spettanti a quel partito. Osservazione importante: se il partito ha messo il vostro amico al quarto posto significa che non desidera che sia eletto. E non lo sarà. Tutto chiaro? Speriamo. 

Per il Senato il sistema è analogo. Essendo minore il numero dei senatori (200 contro 400 deputati) il collegio uninominale è più vasto. Oltre alla provincia di Rimini, comprende anche quella di Forlì-Cesena. Anche in questo caso sulla scheda ci sarà il listino dei partiti per la quota proporzionale. Al Senato il collegio plurinominale comprende oltre a Rimini e Forlì Cesena, anche Ravenna, Ferrara, Modena e una parte di Bologna. I candidati da eleggere con il proporzionale sono 5.

Il meccanismo di elezione all’uninominale è semplice: chi arriva primo vince. Il proporzionale è più complesso. C’è una prima ripartizione a livello nazionale e una seconda nei vari collegi plurinominali, sempre in base ai voti proporzionalmente ottenuti da ciascuno partito.  Chi se ne intende spiega che ci sono molte variabili, meccanismi di compensazione, aggiustamenti.  Il nostro voto conta solo in parte, conta anche il complesso e perverso meccanismo che è stato allestito.

Una lista, per concorrere alla ripartizione dei seggi, deve ottenere almeno il 3 per cento a livello nazionale.  E se ottiene solo il 2,9? I suoi voti vanno ad incrementare il bottino degli altri partiti della coalizione di cui la lista fa parte. Se invece non raggiunge nemmeno l’1 per cento, sono voti completamente a perdere. Considerazioni di cui devono tener conto quanti sono attratti da un partito identitario con poche possibilità di superare lo sbarramento del 3 o dell’1 per cento.

Il Coraggio di costruire la pace è il titolo dell’incontro che si è tenuto al Palacongressi di Rimini il 6 luglio e che ha visto coinvolte circa un migliaio di persone, unite dal desiderio di testimoniare la propria unità con papa Francesco nella sua solitaria battaglia di vicinanza ai popoli ucraino e russo e di distanziamento dalle logiche dei potenti.

Due i relatori: da una parte Giovanni Paolo Ramonda, responsabile nazionale dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, e dall’altra Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione. Dunque i leader di due movimenti ecclesiali tra i più impegnati e vitali nella società italiana ed internazionale.

Cristian Lami, responsabile della comunità di Comunione e Liberazione di Rimini, organizzatrice l’incontro, introducendo chiarisce subito tuttavia che il motivo più vero della presenza dei due autorevoli relatori consiste in una esperienza di dialogo e di crescente unità a Rimini tra le due realtà ecclesiali, grazie a un sempre più intenso lavoro comune. Quindi una concreta esperienza di pace e di fraterna collaborazione, tra realtà che hanno tratti anche assai differenti e che non sempre nel passato si erano stimate. La nascita di questa affermazione del valore dell’altro, chiarisce Lami, ha una forte pertinenza con il tema dell’incontro.

Difatti, se lo spunto è dato dalla pubblicazione di Contro la Guerra, il libro che raccoglie i discorsi di papa Francesco intorno al tema della pace e contro la guerra, da subito si comprende che l’intento dell’evento non è semplicemente intellettuale o culturale ma quello di farsi costruttori, (artigiani direbbe il papa) di pace.

Dunque la pace non come assenza di guerra ma come compimento dell’uomo - sostiene Prosperi - in tutte le sue esigenza di soddisfazione, libertà e salvezza. Il papa instancabilmente richiama la pertinenza della pace con la vita quotidiana di ognuno, da cui deriva una specifica responsabilità individuale. Una responsabilità che si gioca dunque non solo con l’impegno concreto di solidarietà, di pensiero e di espressione (costruire una logica di pace) ma come lavoro personale affinché essa nasca dentro ognuno di noi quale esperienza di realizzazione delle proprie esigenze più profonde. Senza questa esperienza di pace, non si sarà mai costruttori di pace. Passaggio fondamentale e che spiega alcune insistenze del papa, come la continua richiesta di perdono per tutti i dolori inferti all’umanità, per tanti inspiegabile (Putin attacca e il papa chiede perdono). Al contrario, il papa ci porta ad una dimensione profonda e abissale dove tutti siamo implicati.

Ramonda rilancia sostenendo come nell’esperienza di fede, testimoniata non solo da Francesco, ma da tutti i papi più recenti, vi sia la radice di una pace duratura, e testimonia in maniera vivida la gratitudine di appartenere alla Chiesa: senza la presenza di un padre, non ci potremmo definire e trattare come fratelli (citando la Fratelli tutti). E la Chiesa richiama continuamente la presenza di un padre.

Non è un caso, infatti, che entrambi i relatori abbiano preso le mosse dal saluto del vescovo di Rimini Francesco Lambiasi, il quale ha ricordato come il saluto specifico della Chiesa all’inizio di ogni celebrazione liturgica sia proprio “la pace sia con voi”, a dimostrare il carattere intrinseco della pace rispetto alla esperienza cristiana.

Il livello della riflessione, dunque, è entrato da subito in una profondità esistenziale (e di sostanza che potremmo dire ontologica), in grado di togliere il senso di impotenza che si avverte nella lettura di tante analisi su quanto sta avvenendo in Ucraina. Senso di impotenza che spinge l’uomo, specie se impegnato nella società e nella politica, al cinismo ed alla convinzione che la guerra sia “normale”, tollerabile, un male necessario.

Al contrario, se si va a fondo, si comprende il realismo della posizione del papa. Lami pone in maniera diretta il problema: “questi discorsi sono avvertiti spesso come mancanti di realismo, perché le cose poi sembrano andare in un’altra direzione”.

Netta la risposta dei relatori. Se Ramonda si richiama alla vita ecclesiale e alla sua continua costruzione di pace, sostanziandola di numerosi esempi tratti dagli innumerevoli fronti su cui opera la sua comunità, Prosperi sottolinea come sia illusoria semmai ogni altra considerazione che non poggi su testimoni di pace. Non nasconde la drammaticità del tempo che viviamo, citando lo scandalo che un’affermazione consueta in Giussani (Dio ha voluto il mondo perché in tutto vi sia un’esperienza di bene) oggi non può non provocare di fronte agli scenari terrificanti che ci si parano innanzi. Ma è proprio per questo motivo che occorre guardare chi invece già vive l’esperienza di pace, in modo che non vinca in noi il cinismo e la rassegnazione ma si affermi un’esperienza (non un’utopia, non idee o progetti, ma realtà) differente. Per entrambi dunque il problema consiste nel costruire dal basso, costruire comunità di base (Ramonda) e una dimensione di popolo (Prosperi) che siano l’inizio reale e non illusorio di processi di pace, togliendoci dall’inganno di credere che questa sia semplicemente una costruzione umana (strategie geopolitiche).

La domanda conclusiva di Lami tocca aspetti anche intrinseci delle due associazioni laicali, impegnate in una difficile fase di transizione della loro vita interna: “quale il compito specifico delle vostre comunità in questa fase della storia?”.

Ramonda risponde delineando le innumerevoli esperienze di presenza sui vari fronti di sofferenza dell’umano da parte di tanti giovani della papa Giovanni, mentre Prosperi individua nell’educazione all’umano, ambito assai caro a CL, il compito più urgente.

Le parole di Ramonda sostanziano esistenzialmente quanto detto da Prosperi. Le parole di Prosperi rendono dense di significato le esperienze raccontate da Ramonda, in una singolare unità delle differenze, offrendo una sorta di prova sperimentale della possibilità di incontro, ovvero di esaltazione delle proprie caratteristiche nel rapporto con la diversità dell’altro.

Lami, in conclusione richiama come il Meeting di Rimini quest’anno ponga a tema proprio “una passione per l’uomo”, dando continuità al percorso messo in atto dai due relatori. Ricorda infine la presenza di interviste video che approfondiscono il tema, proprio secondo il taglio offerto dall’incontro, sul sito del Portico del Vasaio.

Ma un dato è emerso tra gli altri dall’incontro. La pace emerge come un compito impegnativo ed appassionante per ognuno, non separato dal proprio quotidiano e dalle domande che ci portiamo dentro. La situazione internazionale non è altro dalla nostra vita, ma piuttosto rende per ognuno inderogabile “il” problema della vita: dove può trovare pace il nostro vivere?

Emanuele Polverelli

Stefano Caldari, il candidato del centrodestra a Riccione, è stato clamorosamente sconfitto al primo turno ma la sua perfomance è risultata migliore di quella di Renata Tosi nel 2017. L’ex sindaca aveva ottenuto al primo turno 6.236 voti, Caldari ha raggiunto quota 6.304. Un dato che smentisce l’interpretazione secondo cui il centrodestra sarebbe stato penalizzato dall’astensionismo (il calo dei votanti è stato solo di tre punti). Caldari ha perso perché la sua avversaria, la nuova sindaca Daniele Angelini, è volata a 8.378 consensi, mentre nel 2017 Sabrina Vescovi si era fermata a 5.917.  Da dove sono arrivati i nuovi voti? Certamente Angelini ha pescato nell’elettorato che cinque anni fa si era riversato su Patto Civico, la lista centrista promossa da Sergio Pizzolante (2.603 voti) e aveva dato ai 5 Stelle un risultato (2.360 voti) meno magro di quello racimolato domenica scorsa. Quello di Patto Civico era un elettorato mobile, in cerca di casa, il centrosinistra è stato più bravo ad attirarlo. Non basta che una coalizione sia unita, per vincere (a Riccione il centrodestra lo era), occorre che raccolga consensi oltre i propri confini.

A Riccione esiste un solo grande partito, il Pd, che ha sfiorato il 30 per cento dei consensi, tornando così al buon risultato (vittoria di Bonaccini) delle regionali del 2020. Nel 2017 si era fermato al 27,1. In termini assoluti le prestazioni quasi si equivalgono: 4.475 voti cinque anni fa, 4.589 il 12 giugno.

Nel centrodestra il partito più consistente è la Lega con il 5,31 per cento. E già questo dato la dice lunga. È un primato, verrebbe da dire, al ribasso: seguono a ruota Fratelli d’Italia con il 5,23 e Forza Italia con il 4,66. Tutto il centrodestra raccoglie poco più del 15 per cento, esattamente la metà del Pd. Il resto dei voti di centrodestra è andato alle liste civiche, da quella del candidato sindaco Stefano Caldari (10,15) a quelle con il brand Renata Tosi (6,95 Noi Riccionesi e 5,75 la lista intitolata all’ex sindaco). È evidente che queste liste civiche hanno drenato voti dall’elettorato tradizionale dei partiti (quasi una cannibalizzazione) e non hanno portato un voto “civico” in più. Questo è molto evidente nel caso della Lega che alle regionali del 2020 aveva superato quota 35 per cento dei consensi e ora si ritrova solo con il 5. In ogni caso, ammesso e non concesso che i voti delle civiche di centrodestra siano tutti di provenienza leghista, emerge l’estrema fluidità di un elettorato che ad una elezione c’è e all’altra quasi non c’è più. Elettorato mobile, di opinione, che non trova sul territorio una presenza politica a cui ancorarsi stabilmente.

Diversa la gestione delle liste civiche nel centrosinistra. Non hanno rubato voti al Pd, che sta al 30 per cento, ed hanno comunque racimolato complessivamente un prezioso 15 per cento dei voti, grazie anche all’ottima performance della lista 2030 di Fabio Ubaldi che ha sfiorato l’8 per cento. Va peraltro osservato che fra quanti sono andati a votare solo il 51 per cento ha scelto un partito organizzato e strutturato, il resto si è affidato alle liste civiche. E la disaffezione ai partiti ha colpito soprattutto il centrodestra. Un ulteriore tema di riflessione post elettorale.

Fra i candidati consiglieri, il recordman di preferenze è Simone Imola, figlio d’arte, lista Pd, che ha raccolto 631 voti personali. In consiglio entrano tre ex assessori della giunta Tosi ed anche l’ex sindaca. L’onorevole Elena Raffaelli ha battuto tutti conquistando 350 preferenze, un bottino ottimo considerando che la Lega è solo al 5 per cento. La segue Laura Galli, della lista Renata Tosi, con 286 preferenze e, più distanziato, Andrea Dionigi Palazzi, di Forza Italia, con 130 voti. L’ex sindaca entra in consiglio per Noi Riccionesi, ma con sole 274 preferenze. Renata Tosi battuta nei consensi personali dalle sue assessore. Quasi la fotografia di una giornata da dimenticare.

Martedì, 07 Giugno 2022 10:07

A proposito di referendum (e giustizia)

Il 12 giugno si torna a votare per un referendum abrogativo che questa volta ha a che fare con la giustizia. I quesiti sono cinque (di difficile comprensione) e vanno dalla incandidabilitá dei condannati per reati gravi, ai limiti della costodia cautelare, alle regole che disciplinano la carriera dei magistrati.

In questi giorni, se ne è parlato in qualche classe di scuola superiore e in qualche dibattito fra amici e già questa potrebbe essere una notizia: la richiesta di ragazzi e professori di essere informati e di comprendere la posta in gioco per poi poter esercitare il loro giudizio a ragion venuta. Nel silenzio generale (e voluto) sul tema, infatti, il rischio è che importanti questioni vengano decise o quantomeno indirizzate in un clima di pressoché totale disinformazione dei cittadini, i quali, salvo un’iniziativa personale e statisticamente sempre meno rilevante, rimangono all’oscuro delle implicazioni del voto o dell'astensione.

Il silenzio generale deriva certamente dal fatto che il fronte politico dei no punta sull’astensionismo e il fronte del sì, in vista di una verosimile sconfitta, non vuole esporsi. Si guarda come sempre - e questo ormai è un segno dei tempi - solo al proprio orticello. Ma dipende anche dal fatto che alcuni quesiti che riguardavano argomenti più scottanti (eutanasia, liberalizzazione droghe leggere, responsabilità magistrati) e che avrebbero forse acceso maggiormente il dibattito, non saranno invece oggetto del referendum perché non hanno superato il vaglio di ammissibilità da parte della Corte Costituzionale.

Vale anche la pena registrare che, in una democrazia rappresentativa, lo strumento del referendum popolare ha natura residuale ed eccezionale: può capitare che, su tematiche di particolare importanza o controverse, la rappresentatività del parlamento non sia ritenuta sufficiente e si renda pertanto necessaria una consultazione popolare. Così, fino agli anni 90, il popolo italiano è stato chiamato a votare in occasione di referendum solo eccezionalmente (ogni 4 o 5 anni), su grandi temi (si pensi al divorzio o all’aborto) e con quesiti chiari e semplici. Dagli anni 90 in poi, invece, abbiamo assistito a un ricorso frequente allo strumento referendario, su tematiche sempre più particolari e tecniche e dunque di difficile comprensione per gran parte della popolazione, anche per via di campagne condotte a colpi di slogan spesso fuorvianti. Uno dei motivi principali di questo abuso dello strumento referendario è la debolezza della politica e l’incapacità del parlamento, su alcuni temi, di svolgere il compito di legiferare realizzando una mediazione tra istanze ed identità differenti e a volte contrapposte. Non riuscendovi, si ricorre al popolo perché tolga le castagne dal fuoco in una sorta di deresponsabilizzazione dell’organo che, al contrario, sarebbe a ciò deputato.

Come noto, il tema della giustizia è in Italia uno di quelli scottanti per eccellenza: da quando in particolare la magistratura ha iniziato a svolgere un ruolo nella vita politica (da tangentopoli a Berlusconi e fino ai giorni nostri), si è iniziata ad invocare la riforma della giustizia che fino ad oggi tuttavia nessun governo è mai riuscito a realizzare. Del resto, non si tratta di un compito facile: occorre un dialogo senza arroccamenti fra avvocatura e magistratura e fra le forze politiche alla ricerca dei giusti compromessi tra le esigenze in gioco che sono a volte contrapposte.

Ad esempio, non vi è dubbio che in Italia ci sia un enorme problema legato all'utilizzo della custodia cautelare che, come noto, priva l'indagato della libertà personale senza che sia intervenuta una sentenza di condanna e solo sulla base di gravi indizi di reato e di esigenze cautelari (pericolo fuga, inquinamento prove, reiterazione del reato). Ma, limitare fortemente la possibilità per lo stato di ricorrere alla misura in caso di pericolo di reiterazione è la giusta soluzione? Si tratta come è ovvio di trovare il giusto contemperamento tra la presunzione di innocenza e la libertà personale da un lato e l'esigenza dello Stato di reprimere i reati e tutelare la collettività e forse non sarà sufficiente l'esito eventualmente positivo del referendum a risolvere il problema.

Analoghe considerazioni possono valere per la separazione delle funzioni che può rappresentare un primo passo verso l’auspicabile separazione delle carriere (che è tema ben più ampio) o la valutazione dei magistrati. Problemi complessi per i quali il referendum non sembra essere lo strumento più adeguato. Mentre dovrebbe essere vista favorevolmente l'abolizione del decreto Severino (automatica incandidabilità o sospensione per i condannati per reati gravi), introdotto in Italia sulla spinta di un giustizialismo che non dovrebbe mai prevalere sulla presunzione di innocenza e che conferisce al potere giudiziario, non sempre "distaccato", il potere di interferire pericolosamente nella vita polica del paese.

D'altra parte, prendere posizione è un dovere: che il popolo ci sia ed esprima le sue indicazioni, contribuendo al dibattito parlamentare sui questi temi, costituisce un argine a quel potere che tutto cospira a tacere di noi, che ci vuole distratti o addormentati.

A ben guardare, come sempre, la vera emergenza sembra essere quella che riguarda le persone: in parlamento e in magistratura, come sul lavoro o in famiglia o davanti ad un appuntamento elettorale, occorrono uomini e donne di un “certo tipo”: con ideali un po' più grandi della sola Coltivazione del proprio orticello, capaci di dialogo e mediazione, capaci di rinunciare a qualcosa nel perseguimento di un bene maggiore, capaci di ricredersi quando la realtà, guardata senza paraocchi, mostri una evidenza contraria all'idea che ci si era fatti... solo così sarà possibile riformare la giustizia, perchè la legge è strumento fondamentale, ma sempre in mano agli uomini (almeno fino a quando non saremo sostituiti dagli algoritmi).

Tirato per la giacchetta da vari amici, specifico alcune cose che, volutamente, avevo omesso, nella riflessione di qualche giorno fa. Riflessione che ho cercato di incentrare sul tema della progressiva scomparsa delle banche locali, coinvolte in logiche e regole più grandi della dimensione che fino a qualche anno fa aveva loro consentito una sopravvivenza più che buona.
Nella gestione bancaria il tema della dimensione aziendale è inestricabilmente coinvolto all'operatività di qualunque istituto e alla "scala" che esso vuole adottare per il proprio modello di business: e come qualunque studente del terzo anno di economia sa bene, la dimensione significa capitale di rischio, per tutelare i risparmiatori. In un mondo dove la dimensione conta e il processo di concentrazione avanza, anche se sei stato "bravo" a fare il tuo mestiere, devi ragionare prospetticamente di alleanze, fusioni, acquisizioni.
I dati di bilancio di una popolare come la Valconca, cooperativa per sua natura (anche se poi trasformata in spa in ossequio a quanto richiesto dalla Vigilanza), dicono peraltro che il tema non è stato affrontato in maniera adeguata dal nuovo consiglio insediatosi nel 2019: ove si tenga conto che il capitale, in banche come queste, aumenta di fatto solo con gli utili, l'attuale governance dell'istituto, bilanci alla mano, ha totalizzato perdite per complessivi 6,5 mln di €, erodendo il capitale in pari misura.
Che tale esito non sia solo il frutto avvelenato del passato, peraltro, è testimoniato dalle numerose ispezioni della Vigilanza che, certamente prima del 2019, hanno evidenziato il progressivo scadimento della qualità del credito: evidentemente la nuova gestione, espressione di un azionariato che si voleva discontinuo con il passato, non ha saputo delineare un modello di business adeguato per territori come quelli della provincia di Rimini, dove prevale la clientela retail ma il radicamento territoriale non è più sufficiente a garantire un'operatività profittevole. 
Infine, solo una considerazione sul rapporto di concambio: occorrono ben 282 vecchie azioni BPV per una azione del veicolo della Popolare Lazio. Più che di una fusione, si dovrebbe parlare di un'assorbimento nummo uno, o quasi. L'augurio è che la Valconca, rinvigorita dall'acquisizione, fortunatamente rimasta nell'ambito delle popolari, possa continuare a meglio adempiere il proprio ruolo e rispettare la propria vocazione di banca del territorio.
A.B.

E così alla fine i nuovi soci di maggioranza (dal 2019) della Banca Popolare Valconca si sono dovuti assoggettare alla moral suasion di Bankitalia, dal momento che sulle banche less significant vigila ancora Via Nazionale e non Francoforte. Un po’ di proclami fatti a suo tempo per vincere le elezioni nella neo trasformata società per azioni sono andati prontamente a scontrarsi con la dura realtà, fatta di una dimensione modesta, di un business model bancario obsoleto e che, se non rafforzato nelle componenti patrimoniali (di questo parla il Sole24Ore di oggi, 17 maggio 2022) è ormai strutturalmente incapace di generare profitti.

Size does matter, la dimensione conta: così le Bcc del territorio riminese, chi nel Gruppo Iccrea, chi nel Gruppo Cassa Centrale Banca, sono state inglobate nel patto di coesione che le lega a gruppi -questi sì- significant, con tutte le conseguenze del caso, ovvero un’inevitabile, seppur lenta, progressiva perdita di autonomia.

La storia della Valconca racchiude in sé numerosi spunti di riflessione ed è quasi un manuale di quel che non si dovrebbe fare in banca. Dapprima con l’assegnazione, voluta dal precedente DG Sartoni, di un potere spropositato ai dipendenti, del quale nelle assemblee è stato fatto un uso esclusivamente politico; in seguito, ma questa è stata una costante della banca fino all’inizio della crisi intervenuta a metà del primo decennio del 2000, con l’autovalutazione delle azioni sempre più alta (13 €), fino all’avvenuta quotazione sul mercato telematico HMTF dove il titolo è crollato, diventando sostanzialmente una penny stock, ovvero un’azione dal valore di poco superiore a zero.

Autovalutazione, tuttavia, che ha consentito nel passato l’ingresso di nuovi soci, soprattutto dal Ravennate e dal Pesarese, ingolositi dalla “crescita “ del valore del titolo e che hanno perso molto, se non tutto, a seguito dell’emergere del credito deteriorato accumulatosi in passato: soci incattiviti dalle perdite e, probabilmente anche da una lettura della banca in chiave meramente speculativa, visione che non si adatta ad una Popolare, sia pure nel frattempo trasformatasi da cooperativa in spa.

Con l’assorbimento di Valconca in Popolare Lazio (una azione di nuova emissione contro ben 282 azioni della banca di Morciano) scompare, dopo Cassa dei Risparmi di Rimini, l’ultimo protagonista almeno formalmente locale del credito nella provincia di Rimini. Nelle province limitrofe, se non avanzano i gruppi, avanzano realtà sempre più grandi e ormai transprovinciali quando non transregionali (BCC Ravennate, Forlivese e Imolese tra tutte). Anche su questo, oltre che sulle numerose novità regolamentari, dovrebbero cominciare a riflettere gli imprenditori e le loro associazioni di categoria, al momento fermi su una sola richiesta: prorogare le moratorie. Che Dio ce la mandi buona, e senza vento.

A.B.

Lunedì, 28 Marzo 2022 08:52

Emergenza Ucraina

Se desideri dare il tuo contributo, puoi sostenere i progetti di: 
Avsi: https://www.avsi.org/it/campaign/emergenza-ucraina-helpukraine/88/ 
Apg23: https://emergenze.apg23.org/
Caritas: https://www.caritas.it/home_page/attivita_/00005388_Ucraina.html
Caritas Rimini: https://www.facebook.com/caritasrimini/photos/a.897847813603810/4918023708252847/
Regione Emilia Romagna: https://www.regione.emilia-romagna.it/ucraina

Se desideri donare generi di prima necessità, puoi contattare:
Mir - Rimini per l’Ucraina: 800 106 300 - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. (qui puoi dare la tua disponibilità anche come mediatore culturale)
Team Bota: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - 351 6644641 - 329 4845931
Post service group: 320 7566 294
Associazione Zeinta di borg: 0541 670306

È iniziata questa mattina la campagna elettorale di Daniela Angelini, candidata a Sindaco per una coalizione che vede insieme sei liste, tre civiche (Uniamo Riccione, Riccione nel Cuore e 2030 Riccione) e tre politiche Pd, Movimento 5 Stelle, Coraggiosa.

Al di là del programma, “che verrà costruito dal basso”, Daniela Angelini ha messo in evidenza nella sua presentazione i caratteri principali di discontinuità su cui si baserà la sua proposta, sottolineando soprattutto un “passaggio dall’io al noi” e una apertura della città alla collaborazione. ai giovani, al confronto.

Eccon alcuni passaggi del suo intervento.

Ho scelto di candidarmi perché amo la mia città e sono consapevole della necessità di un cambio di passo. Ci troviamo ad affrontare una fase molto complicata, il Covid ha modificato profondamente le nostre vite, i comportamenti delle persone. È arrivato il momento di introdurre una nuova visione di città che non può prescindere dall’inclusione, dalle competenze e dalla determinazione nell'unire piuttosto che dividere. Oggi più che mai è necessario il passaggio dall’io al noi.

Negli ultimi anni Riccione è stata chiusa, chiusa alla collaborazione con le altre istituzioni, chiusa ai giovani, chiusa al confronto. É ora di riaprire le porte della nostra città. C'è un impegno a recuperare una fascia di elettorato che ha perso fiducia nella politica, soprattutto da parte dei giovani. Non possiamo prevedere il futuro ma lo possiamo costruire e lo dobbiamo fare con il coinvolgimento di chi in quel futuro dovrà vivere, i giovani. Dobbiamo restituire a loro la fiducia e la speranza. 

Dobbiamo cogliere la determinazione dei riccionesi, che hanno affrontato con coraggio il periodo più duro dal dopoguerra ad oggi, nonostante una amministrazione ferma. Riccione ha saputo andare avanti grazie agli investimenti privati. Abbiamo una idea per la Riccione del futuro: una città dove l’impresa sia messa in condizione di operare creando lavoro. Il “Comune” un luogo aperto e di supporto per l’economia sana. Con un occhio di riguardo a chi produce lavoro per fare in modo che non rimanga indietro nessuno”.

Insieme a Daniela Angelini, sono intervenuti i coordinatori delle sei liste: Alberto Arcangeli (PD), William Casadei (Uniamo Riccione), Eleonora Ruggeri (Movimento 5 Stelle), Francesca Sapucci (Coraggiosa), Federica Torsani (Riccione nel Cuore) e Fabio Ubaldi (2030 Riccione).

Il centrodestra sembra ormai avviato alla trattativa finale tra le componenti ‘civiche’ o, per meglio dire, tra le liste che faranno capo a Renata Tosi e i partiti che ne appoggiano la giunta attuale. A tema, l’assegnazione in caso di vittoria della carica di vicesindaco, dei vari assessorati e di alcune presidenze. Pare dunque che l’iniziale resistenza di quegli stessi partiti alla presenza di Renata Tosi nella prossima giunta sia stata superata con l’accordo di un futuro da assessore invece che da vicesindaco; allo stesso tempo accantonando qualsiasi dibattito su contenuti e impegni dell’eventuale prossimo mandato, delegati all’attuale sindaco in una logica di continuità assoluta.

Come abbiamo scritto più volte, la vittoria di Renata Tosi nelle due tornate elettorali scorse trova il suo fondamento nella disponibilità della città, e soprattutto delle sue componenti produttive, a correre un rischio che mai prima aveva accettato: quello cioè di verificare se il proprio sviluppo e il proprio benessere possano essere garantiti da un’amministrazione non di sinistra. Una disponibilità cui certo la grande partita del TRC ha fatto da innesco inaspettato.

Gli esiti di questa verifica – come accade sempre e con le Amministrazioni di tutti i colori – sono controversi. Alcuni parlano di un governo “modesto”, ma è anche vero che i numeri dicono che il sistema ha tenuto, in particolare quello turistico, pur avendo dovuto attraversare la grave crisi provocata da questi anni di pandemia.

Ma poiché siamo a pochi mesi dalle prossime consultazioni, occorre anche domandarsi cosa abbia generato dal punto di vista politico questa esperienza amministrativa inedita. In poche parole, si tratta di capire se l’esperienza appena passata coincida unicamente con la leadership di Renata Tosi o se invece questi anni possano rappresentare anche a un esempio di governo di centrodestra.

Nel primo caso questi due mandati saranno stati solo una parentesi, incapace di andare oltre l’occasione che l’ha propiziata e incapace di generare un soggetto politico con una identità e idee proprie. Una volta esaurita la novità Tosi, il centrodestra si troverebbe dunque a dover ricominciare tutto da capo, aspettando un altro evento o personaggio con il quale potersi identificare.

Nel secondo caso, il centrodestra potrebbe chiedere il voto alle prossime elezioni in nome di una continuità politica e non personale, di un progetto di città che prosegue, che potrebbe essere portato a compimento o anche migliorato, innescando così un confronto con la sinistra in una ottica di parità e dunque di reale alternanza.

Al di là del fatto che il personalismo sia poco elegante e soprattutto possa trasformare le prossime elezioni in una sorta di referendum (caricando così di peso politico spigolosità caratteriali e ripicche di paese), ad oggi il centrodestra – tra le due opzioni – sembra avere ammesso candidamente la mancanza di un proprio progetto di governo; come si fosse accorto, svegliandosi da un lungo torpore, di non aver costruito in questi anni alcuna identità politica o condiviso realmente una pratica di governo con l’attuale sindaco.

È allora normale e a suo modo coerente, di fronte a questa debolezza di visione e di classe politica (e un po’ anche d’orgoglio), che Renata Tosi chieda di rappresentare direttamente la continuità con se stessa.

(rg)

Martedì, 15 Febbraio 2022 01:07

Elezioni Riccione. Quasi una sfilata

Tra interviste e dichiarazioni elettorali, nella cronaca riccionese di questi ultimi giorni vale la pena evidenziare l’uscita pubblica del presidente della provincia Riziero Santi; e che sia stata una sorta di autocandidatura o invece un intervento da padre nobile, preoccupato per la deriva del Pd, poco importa. Qui non interessa infatti la sua votabilità, ma il fatto che un partito, attraverso un suo esponente, dia un segnale di residua vitalità e di pur minima autostima necessarie a non autoescludersi dal dibattito cittadino. E accoglieremmo allo stesso modo un qualche cenno da qualsiasi altro partito.

Perché a ben guardare non si tratta più, nel caso specifico di Riccione, dell’auspicato ingresso della società civile nella gestione della cosa pubblica, ma di una sorta di ‘rapimento’ della politica, di sostituzione di un sistema di rappresentanza incentrato sui partiti (che è anche un po’ strano dover difendere) con un altro sistema quasi ‘balcanizzato’, con tante aggregazioni cresciute e confezionate su misura su una singola persona, come se la città fosse esplosa in mille schegge diverse. O come se, ormai certificato che il Pd non è più garante esclusivo di niente (e figuriamoci gli altri partiti), ci si fosse infine accorti che è possibile giocare in proprio, senza intermediari. Un ragionamento logico e lineare secondo quelle che sono le pratiche comuni nel business e come se la buona amministrazione coincidesse appunto con una buona pratica imprenditoriale.

Che dunque nel mare di personalismi che è oggi la scena politica riccionese, qualcuno – chiunque – provi a parlare di politica e non solo di se stesso, riavvii un confronto pubblico nel quale infine identità, valori, visioni, contino di più dell’immagine del candidato e del suo ultimo posizionamento, è una buona notizia e una novità che potrebbe risolvere l’impasse attuale in entrambi gli schieramenti.

A dettare l’agenda nella Perla, come amano chiamarla in modo confidenziale molti candidati nelle loro dichiarazioni, al momento sono infatti una serie di personalità cittadine che costruiscono la loro offerta politica proprio sulla notorietà di cui godono. Il primo è stato Claudio Cecchetto, l’ultimo, Attili Cenni. Nel mezzo, Fabio Ubaldi e, naturalmente, il sindaco Renata Tosi. Di certo qui nessuno vuole mettere in dubbio il merito di questa notorietà o la ‘bontà’ delle persone, ma solo evidenziare una dinamica comune, come cioè – pur in modo diverso uno dall’altro – ognuno di essi proponga se stesso come una sorta di brand commerciale, un ‘marchio’ che dovrebbe catalizzare i voti degli elettori per le caratteristiche legate al proprio successo e che una persona che è riuscita nel proprio campo deve certamente possedere (dalla tenacia alla competenza alla capacità di leadership eccetera eccetera), oltre che per il loro valore simbolico, quasi l’annuncio di un sicuro ritorno agli antichi fasti cittadini.

È quanto accade pur forzatamente per Renata Tosi perché, non essendo ricandidabile, non potrebbe neppure proporlo, un proprio progetto per la città (che invece spetta, o almeno spetterebbe, al candidato sindaco di cui vorrebbe farsi vice), e può così solo offrire se stessa come una sorta di certificazione di qualità.

Come è anche per Cecchetto e Cenni, che nelle loro dichiarazioni parlano in un modo ugualmente generico e molto simile tra loro di turismo e di buche nelle strade; e soprattutto evocano un ritorno ai tempi d’oro come se questo potesse dipendere tutto dalla loro autorevolezza, dalla 'fortuna' delle loro rispettive carriere; invocando in nome di esse una sorta di fiducia che dovrebbe valere più di ogni progetto o visione.

E come è pure per Fabio Ubaldi, o meglio per tutti i suoi di Riccione 2030. Perché sono tutti fighissimi, da far invidia a qualunque povero militante della vecchia politica; stilosi, eleganti, e per scelta fuori da ogni litigio o polemica, impersonando una terzietà che è stilistica prima che politica e una proposta che, come insegnano quelli della comunicazione, è soprattutto un tono di voce.

Ecco, a Riccione il dibattito politico assomiglia al momento più a una sfilata che a qualcosa che abbia a che fare con la vita e la carne dei cittadini, con la passione delle idee e magari le bollette; una sfilata nella quale ognuno si offre a tutti, offrendo il successo ottenuto nella vita come garanzia di un ritorno elettorale. Naturalmente dicendo le cose più banali possibili perché possano essere condivisibili a destra come a sinistra, dichiarando neutralità e assenza di preclusioni perché il loro successo 'può tenere insieme tutti e può far bene a tutti'.

Ben venga dunque chiunque rompa questo surplace, questo gioco di equilibri in cui ognuno aspetta di essere il prescelto senza sporcarsi le mani, senza scendere cioè nel merito delle scelte che, nella realtà, non sono mai unanimi. Così che si possa anche capire in cosa crede ognuno, oltre che in se stesso.

(rg)

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