Assemblea Pd nuovo rinvio. Mercoledì la decisione
I tre segretari del Pd (Paolo Calvano, Filippo Sacchetti, Alberto Vanni Lazzari) hanno fatto sapere che l'assemblea comunale in programma ieri è stata aggiornata a mercoledì prossimo.
"Assemblea comunale pd Rimini, seduta sospesa per fare un ulteriore tentativo di mediazione al fine di non creare spaccature e lacerazioni.
La sospensione è stata proposta dal responsabile nazionale enti locali, Francesco Boccia, che ha partecipato collegato alla seduta, d'accordo con i segretari VanniLazzari Sacchetti e Calvano, al fine di individuare una posizione unitaria del pd, senza ricorrere alle primarie, e mediante quello che Boccia stesso ha definito un patto "21-26" per il futuro della città di Rimini. Sulla proposta l'assemblea ha condiviso con 67 voti favorevoli e 3 contrari l'aggiornamento della seduta, che sarà mercoledì sera."
Il responsabile Enti Locali del Pd, prima ha fatto presente le nuove sfide (e occasioni) cui saranno chiamati i nuovi amministratori - "A Rimini, per il lavoro eccezionale fatto in questi anni, abbiamo il dovere di far prevalere la politica su qualsiasi conta. Questa città è un modello, è tra le città meglio amministrate d'Italia, non possiamo rischiare in alcun modo di lasciare a questa destra pasticciona il futuro di Rimini, la gestione dei progetti del Pnrr e il rilancio della città nel post Covid-19." (adnkronos) - e poi ha lanciato un avvertimento piuttosto duro a "chi prova a danneggiare il Partito democratico [e] si rende complice di avventure pericolose con la destra".
Intanto, in una dichiarazione sulle primarie in corso a Bologna e a Roma, e nonostante il nuovo probabile flop di partecipazione (almeno nella capitale), il segretario Letta ha ribadito: "Ai critici di questa nostra preferenza per la partecipazione dico che noi siamo fatti così. E su questo non cambieremo." (corriere della sera)
Un Chicchi puntuto riprende Gambini per attaccare Gnassi
Giuseppe Chicchi riprende un articolo di Sergio Gambini (qui) sul tema certo marginale del mercato ambulante e invoca un riformismo radicale “capace di incidere sulla struttura interna della nostra economia”. Invocazione giusta, se pur solo strumentale al dibattito sulle candidature, della quale varrebbe la pena riparlare.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Gentile Direttore
leggo su BuongiornoRimini un ampio articolo di Sergio Gambini dedicato al dibattito interno al PD. Chiedo però ospitalità solo per una questione relativa al mercato ambulante e alla “liberazione” di Piazza Malatesta (e piazza Cavour, aggiungerei) indicata da Gambini come una delle scelte più importanti dell’amministrazione Gnassi. Sono d’accordo, è stata una decisione che in prospettiva restituisce valore al quadrante “Teatro Galli-Castelsismondo”, tuttavia non fu una scelta difficile da attuare perché, nel cambio, ci hanno guadagnato gli ambulanti.
Quella di occupare il centro cittadino è un’antica richiesta degli ambulanti, sempre respinta dalle amministrazioni succedutesi nei decenni per salvaguardare il Centro Storico dai problemi che l’occupazione bisettimanale di centinaia di banchi e camioncini avrebbero creato ai residenti e ai negozianti.
Occorrono a questo punto due premesse: a) il mercato ambulante di Rimini è uno dei più grandi della regione, ha circa 400 licenze e trovare una collocazione alternativa di questa capacità è sempre stato complicato; b) la tecnica corrente in materia commerciale prevede di scollegare il commercio despecializzato (gli ipermercati e i mercati all’aperto) dal commercio specializzato. Da ciò le cinture di ipermercati che circondano le città in tutta Europa, da ciò la forte specializzazione (le firme, le nicchie, le zone pedonali, ecc.) delle reti commerciali dei Centri Storici, nei quali (ad es. in Germania) esistono piccoli mercati ambulanti di altissimo profilo merceologico.
La vulgata riminese vuole che il mercato nel cuore della città produca un tale afflusso di pubblico che tutta la rete commerciale né può trarre vantaggio. Non è così: il mercato offre prodotti commerciali a bassa specializzazione; questa tipologia di pubblico induce i negozi del centro ad abbassare la qualità dei prodotti. La differenza sta nel fatto essi devono anche remunerare la rendita immobiliare, cioè pagano l’affitto. Infatti i negozi del centro hanno cominciato a chiudere da tempo e continuano a chiudere (anche per effetto del Covid, ma non solo). Poi speriamo che non scoppi un grave incendio nel Centro Storico in un giorno di mercato, il passaggio dei mezzi dei pompieri sarebbe almeno problematico. E speriamo si trovino sempre i soldi per la continua manutenzione dell’arredo di Piazza Tre Martiri, creato per i pedoni e oggi compromesso dai mezzi del mercato.
La mia Amministrazione, dopo lunga trattativa, aveva portato nel 1998 i Sindacati d’impresa del settore a sottoscrivere un’intesa di massima per spostare il mercato lungo la via Bastioni Occidentali, da Piazza Malatesta all’Arco di Augusto, un mercato di forma lineare che avrebbe richiesto la rottamazione onerosa di una non altissima quota di licenze. Eravamo sollecitati anche dal progetto di recupero del fossato malatestiano che la Fondazione Carim pensava di realizzare avendone (allora) le risorse. Finì poco dopo il mandato amministrativo e non so dove finirono quelle carte.
L’Amministrazione Ravaioli puntò invece alla riduzione radicale delle licenze ma si scontrò con valutazioni economiche impraticabili.
Ora, avere finalmente acconsentito ad un’antica richiesta degli ambulanti, al loro impossessarsi dello spazio più pregiato della città, è una scelta; non mi pare però una scelta all’altezza di quel riformismo moderno di cui parla l’amico Gambini. Così credo che la drammatica situazione economica che ci lascerà la pandemia una volta sconfitta, richiederà un riformismo ben più radicale, capace di incidere sulla struttura interna della nostra economia. La Giunta Gnassi ha realizzato uno straordinario lavoro di arredo urbano diffuso, ciò ha prodotto consenso; purtroppo ciò che c’è “sotto il vestito”, rappresenta una sfida che va ben oltre il tema continuità/discontinuità a cui fa riferimento Gambini.
Giuseppe Chicchi, già sindaco di Rimini.
Prima dei fatti. Il libro dei ”Mattutini” di Sergio Zavoli su Avvenire
Da giovedì 28 gennaio sarà in libreria “Prima dei fatti. Un diario in pubblico”, un libro di Sergio Zavoli, con l'introduzione di Marco Tarquinio, la prefazione di Gianfranco Ravasi e testi di Rosita Copioli.
Prima dei fatti è il titolo della rubrica di Sergio Zavoli apparsa quotidianamente sulla prima pagina di «Avvenire» negli ultimi mesi del 2015. Un inatteso diario in pubblico, nel quale il grande giornalista intrecciava con delicatezza e sapienza i fili della memoria e dell’attualità, in un continuo susseguirsi di incontri, divagazioni e improvvise accensioni poetiche.
Riunite ora in questo volume, le parole di Prima dei fatti restituiscono una «riserva di umana ed esplicita libertà», come sottolinea nella sua introduzione il direttore di «Avvenire» Marco Tarquinio. Sono, inoltre, la conferma di una vocazione alla scrittura nella quale l’urgenza della cronaca va sempre di pari passo con la profondità e il nitore della letteratura, secondo la dinamica – per molti aspetti irripetibile – indagata da Rosita Copioli nel saggio che suggella questa edizione. Ma Zavoli era anzitutto «un credente nel senso “grammaticale” del termine», sostiene il cardinale Gianfranco Ravasi nella sua appassionata rievocazione dell’«amicizia implicita» con il più raffinato dei nostri reporter: «il participio presente ammonisce, infatti, che non si crede una volta per sempre». Anche di questa inquietudine spirituale le pagine di Prima dei fatti rendono limpida testimonianza.
Qui di seguito, alcune pagine tratte dalla postfazione, nelle quali Rosita Copioli ripercorre in particolare l’opera poetica di Zavoli.
Cronache di un poeta
di Rosita Copioli
(…) Come i libri di prosa hanno affiancato il mestiere del cronista raccontando, i sei libri di poesia (usciti con Mondadori, e anche il settimo, inedito) ne traducono il senso profondo, in quella «nitida coerenza tra pensiero e linguaggio» di cui Carlo Bo aveva pronosticato la lunga maturità della vocazione, e la luce «ancor più dichiarata e pura»: spettava loro una «disposizione verticale», perché quei versi «sono di materiale puro, derivato per un processo segreto e misterioso dalla parte più nobile del suo spirito». Grondano di vissuto, ma dal suo interno: teneri quadri familiari, luoghi, adolescenza, guerra, esperienze tragiche, testimonianze, meditazioni su realtà più segrete si intrecciano in una tessitura fitta di corrispondenze, in ricordi infinitesimali, concreti, precisi, sempre pregnanti e metaforici, secondo la lezione di Montale, che ossificava e concentrava gli oggetti di Pascoli, gremiti di anime. Nel vaglio che raffina le esperienze descritte, Zavoli le trasforma in realtà di altra sostanza. Gli è possibile farlo, dopo avere «imparato a essere mortale, / a percepire anche la trascendenza verso il basso, / la tua santa materia» - come scriveva a conclusione de L’infinito istante (2012), dove la «santa materia» di Teilhard de Chardin conforta la lode e il desiderio di prolungare la vita: «lasciami ancora un po’ gli uccelli / dentro i rami».
I primi tre titoli indicano il punto di partenza: la virtù della discrezione, cuore della civiltà contadina che è stata semidistrutta dalla seconda guerra mondiale (Un cauto guardare, 1995, In parole strette, 2000, L’orlo delle cose, 2004). Il padre e la madre appartengono a una cultura salda al Vangelo – la mano del padre è guida e nido dove granisce la piccola mano del figlio; i gesti protettivi della madre gli insegnano a stare all’orlo delle cose, pago del poco che serve: «e ancora cerco un alito di me annidato / a quella pace chiara, taciturna.». Gli ultimi tre titoli, da La parte in ombra (2009) a L’infinito istante fino a La strategia dell’ombra (2017) approfondiscono e assolutizzano il tema dell’ombra, la realtà centrale in tutti i libri di Zavoli, nella sua doppiezza e ambivalenza, terribile insegna araldica dell’uomo e della poesia, essenza della caducità: «sogno di un’ombra è l’uomo», scriveva Pindaro; forse un’origine, come pensava Jorge Luis Borges. La parte in ombra ne è una metamorfica declinazione in ogni grado di senso e metafora, dalla notte della luna amorosa, dolcezza di madre, Iside e Maria, al suo opposto: tenebra atra, estraneità generatrice di mostri: Male. L’ultimo, La strategia dell’ombra, la rende protagonista assoluta.
Il «padrone di tante voci umane – maestro del “mestiere di chiedere”» senza «alzare i toni», è ancora di fronte alla sfida che sempre gli suscita un «sacro allarme»: «bastava una lingua di chiarore / per stare nel mistero del confine / all’infinito bivio». Ancora è d’accordo con gli antichi Greci e Cioran, per il quale né l’atarassia in vita, né il nirvana, sono desiderabili, perché l’uomo è vivo, e vero, soltanto nella sua inquieta gioia-dolore, affidata allo scorrere del tempo mortale. Ancora è l’uomo che sta sulla soglia, la cui fede «non cola lungo i ceri, non conosce il viola del martirio», ma sosta su un punto del varco, «come le foglie contro gli scalini». Perlustra la tenebra incombente: che cosa è la parte di ombra con cui conviviamo? Come ne domiamo la terribilità? Perché l’ombra si allontana ma ci precede, legata all’eco o sembianza-alterità?
Dopo le impossibili utopie, le domande estreme, le hybris di scienza e potere, le invocazioni per la pace e alla pietà, testi bellissimi come quello sul bambino spiaggiato, che fra i tanti, il mare dondola e consegna (e compare anche qui, in uno dei primi “mattutini”, il 12 ottobre), come in tutte le sezioni conclusive dello schema triadico – al culmine la figura di Cristo – indirizza a Francesco la fides infirma di Agostino e di sua madre. Porta in congedo la speranza delle lucciole nuziali, «il simbolo che dica / vincerà la vita». (…)
Crisi Valentini, in arrivo proposte di acquisto
Sono arrivate proposte di acquisto per la Valentini Industrie di Rimini, che dovranno essere formalizzate entro venerdì prossimo. Per questa ragione il tavolo di crisi, convocato questa mattina in Regione per affrontare la situazione della storica azienda riminese che produce mobili per la casa e l’ufficio, si riunirà nuovamente a metà della prossima settimana. Questo per poter disporre di elementi certi sul complesso delle vicende e delle proposte legate all’azienda, per affrontare in modo adeguato i problemi emersi sia dal punto di vista della continuità industriale che occupazionale.
Nel corso dell’incontro di questa mattina, convocato dall’assessore regionale allo Sviluppo economico e Lavoro Vincenzo Colla, i sindacati hanno manifestato preoccupazione per la situazione, soprattutto per l’avvicinarsi del prossimo 5 febbraio, giorno in cui l’azienda deve presentare il concordato e giorno in cui scade la Cassa integrazione straordinaria. Su quest’ultimo aspetto, già domani l’azienda avrà un incontro tecnico con l’Agenzia regionale del Lavoro per la definizione di nuovi ammortizzatori sociali. Peraltro, nella crisi del marchio storico dell'industria riminese è coinvolto anche un indotto produttivo considerevole, fatto di realtà medio piccole del territorio e non solo, legate alla filiera della lavorazione del legno.
Attualmente i lavoratori colpiti dalla crisi sono 152, e usufruiscono della cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale. A questi, si aggiungono anche una quarantina di lavoratori di Pianeta Servizi, che operano in due reparti della Valentini Industrie.
All’incontro di stamani erano presenti anche l’assessore del Comune di Rimini Mattia Morolli, Simone Gobbi per la Provincia di Rimini, i sindacati Cgil, Cisl e Uil, le Rsu e i vertici dell’azienda. /gia.bos.
Elezioni Rimini 2021. Strategia civica… di partito
Anche solo seguendo la traccia delle notizie che escono ufficialmente dai due schieramenti, risulta ormai chiaro quale sia l’atteggiamento assunto dai partiti verso il ‘civismo’ per le prossime elezioni.
A sinistra, in modo più che esplicito, Gnassi ha chiamato a raccolta le liste civiche che l’hanno appoggiato nel 2016 per fare muro contro la candidatura di Emma Petitti e, nel caso si dovesse comunque andare alle primarie, per provare a compensare con i loro voti quei voti di appartenenza stretta al partito che la ‘voce del popolo’ attribuisce in larga parte alla Presidente del consiglio regionale. Una tattica a metà tra la linea Maginot e la guerriglia vietcong. Da una parte per provare a disinnescarne la candidatura stessa, dall’altra – nel caso non si faccia ‘dissuadere’ – una strategia di erosione di quei settori, anche solo valoriali, nei quali la Petitti potrebbe provare ad allargarsi: in questo modo costringendola a rimanere prigioniera nel cliché, ben più facile da contrastare (peraltro sia da destra che da sinistra), del candidato di apparato, tutto partito e ritualità autoreferenziali.
A questa ‘raccolta’ di liste, la cui genesi civica coincide comunque fin dall’inizio con la scelta di farsi rappresentare da ciò che il PD offriva in quel momento, si aggiunge la neonata Sarà. Al momento l’associazione è fuori dai radar della politica sui giornali ma certamente non si sente neutrale nella partita sul sindaco che si gioca a sinistra; tanto che proprio la sua nascita ha accelerato l’autocandidatura di Emma Petitti.
A destra, potremmo dire che rispetto alle ultime tornate elettorali, la ‘gestione’ del civismo è ritornata all’antico.
La prassi politica abituale, almeno fino alla candidatura Spigolon, prevedeva infatti la creazione di liste civiche di appoggio per allargare la base elettorale ‘diretta’ della coalizione, ed è solo con la crisi dei partiti tradizionali che nasce il civismo così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi lustri. Quando i partiti cessano di attirare energie, risorse, idee, uomini significativi della vita cittadina, e in sostanza non sono più in grado di rappresentare i vari ‘mondi’ che compongono la vita di una città, ecco dunque che questi ‘mondi’ decidono di presentarsi in prima persona. Tanto è vero che anche tecnicamente i partiti fanno un passo indietro. Era stato così all’inizio dell’avventura di Tadei, lo è stato con la candidatura della Spinelli e, pur in modo diverso, anche con la Tosi a Riccione.
Si trattava di liste civiche ‘spontanee’, potremmo definirle ‘di base’, che si assumevano il compito di raccogliere le domande e le esigenze più urgenti tra i cittadini, provando ad aggregare personalità e soggetti dell’impresa, del sociale, della cultura intorno a una ‘visione’ più o meno dettagliata di una città desiderabile e desiderata. Di contro l’atteggiamento dei partiti, almeno nell’esperienza riminese, era improntato a un più o meno benevolo laissez faire, in attesa che da esse si materializzasse quel candidato perfetto – conosciuto, stimato, politicamente vergine, interclassista, con un bacino proprio di voti – che potesse regalare loro la vittoria. Poi, se questo non fosse accaduto, ognuno per la sua strada; con i partiti che sarebbero stati liberi di capitalizzare in modo identitario i propri voti in attesa di tempi migliori.
Esattamente come ha fatto la Lega cinque anni fa con Dreamini e con la cosiddetta ‘lista dei curiali’. Quando né la prima, né la seconda hanno offerto soluzioni valide, ha elevato motu proprio Marzio Pecci al rango di portabandiera locale del centrodestra. Proprio come Forza Italia, a suo tempo leader del centrodestra, fece ‘inventandosi’ il nome di Bucci all’ultimo momento.
Oggi, sembra appunto si sia ritornati all’antico. La Lega, guidata in prima persona da Jacopo Morrone, ha preso l’iniziativa e deciso di dar vita in proprio a una lista civica, convocando attorno a sé un raggruppamento selezionato di liberi cittadini: riunioni aperte a ‘mondi’ diversi, a personalità varie, imprenditori, gente conosciuta, abituata alla scena pubblica.
Naturalmente, quello delle relazioni, è un mestiere che i politici hanno sempre svolto - e anche le liste di appoggio non erano certo scomparse durante il periodo del ‘civismo’ strettamente inteso -, ma in questo caso sembra si voglia replicare una certa dinamica di rappresentanza pur con uno strumento approntato e confezionato direttamente dai partiti.
Come a dire, se dobbiamo scegliere chi lanciare come sindaco all’interno del mondo cittadino, tanto vale fare noi direttamente la selezione dei potenziali candidati piuttosto che aspettare una proposta da terzi (con trattative e mercanteggiamenti compresi). Di positivo vi si può intravedere un atteggiamento che desidera mantenere l’unità del centrodestra evitando spinte personalistiche o direttive romane; di negativo, che questa riaffermata centralità e capacità di rappresentanza dei partiti tradizionali inevitabilmente assume nei confronti del territorio un sapore strumentale. In poche parole, quella che viene uccisa nella culla è l’autonomia culturale e di scelta propria delle liste civiche che nascono indipendentemente dai partiti, autonomia che peraltro dovrebbe essere proprio ciò che attira il voto verso il civismo (e il riscontro della percentuale dei votanti ci dirà se quella dei partiti è una ‘pretesa’ fondata o meno).
In questo senso anche il movimento promosso da Paesani, pur con un linguaggio proprio, diretto e anche ruvido, sembra assolutamente sintonico con i contenuti e i modi più ‘populisti’ del centrodestra. Un soggetto che nasce certamente dal ‘basso’, ma che non sembra intenzionato a smarcarsi, non sembra ricalcare quella distanza dai partiti che invece attirava i delusi della politica, rompendo anche le abitudini di voto degli elettori.
A questo proposito, tra destra e sinistra, è difficile ricollocare il movimento (o l’ex movimento) grillino, l’ultimo appunto ad aver scompaginato gli schieramenti tradizionali, ma che oggi si configura come una forza partitica a tutti gli effetti.
In sintesi, sembra davvero difficile che a destra, a sinistra o anche al centro (se non altro per la sua incerta consistenza elettorale) possa nascere qualcosa di autonomo rispetto ai partiti e a quanto già esiste o è stato programmato. In ogni caso, in attesa di qualcosa che ci sorprenda, speriamo che i partiti storici sappiano far tesoro di questi rapporti cui oggi tengono tanto ma di cui si ricordano solo alla vigilia di ogni nuova elezione.
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À la guerre... Battaglia dentro il Pd in vista delle comunali
È dei giorni scorsi la presentazione della lista dei ‘ragazzi’ di “Sarà”, accreditati di un rapporto preferenziale con l’attuale sindaco e accompagnati da una figura cittadina di rilievo come quella dell’avvocato Maresi.
Che un gruppo di giovani si appassioni alla cosa pubblica dovrebbe essere una piccola notizia positiva, ma la lettura politica, peraltro comune a tutti gli schieramenti, è prevalsa su qualsiasi altra valutazione. “Sarà” è stata infatti accolta – e soprattutto all’interno del Pd – soltanto come lo strumento di Andrea Gnassi per sondare una candidatura di Moreno Maresi o comunque per supportare un prossimo candidato sindaco a lui vicino. E tutto il resto non conta.
Il fatto inaspettato, però, è come questa ‘mossa’ di Gnassi - o questa nuova iniziativa civica, a seconda di come la si voglia leggere - abbia accelerato nei giorni a seguire, e fino a oggi, lo scontro all’interno del Pd in vista delle prossime elezioni comunali.
A parte le ovvietà retoriche – per le quali ognuno dice di volere l’apertura alla società civile, ma in realtà si riferisce solo con quella che lui porta, e così per il cosiddetto confronto programmatico, che dovrebbe sostituire le ritualità veteropolitiche, ma al quale tutti preferiscono regolamenti o discipline di partito – esistono solo due possibili strade per la scelta del prossimo candidato del Pd (e nessuna di queste prevede un accordo ‘fraterno’ tra due anime del partito ormai troppo distanti tra loro, al di là di quello che ci verrà detto pubblicamente): o le primarie, di coalizione o di partito che sia, nelle quali il ‘grosso’ del Pd a guida del ‘militante semplice’ Maurizio Melucci otterrebbe vittoria facile, oppure un nome ‘imposto’ (nel senso di certificato) dalla massima autorità regionale, cioè Bonaccini; che sarebbe anche l’unica possibilità per Andrea Gnassi di lasciare la città in mano a una persona da lui indicata.
A sentire oggi il segretario provinciale del Pd Sacchetti, Emma Petitti avvrebbe avanzato la propria candidatura senza avvisare il presidente Bonaccini, in questo modo sottintendendo (o almeno lasciando pensare) che questo ‘scavalcamento’ dimostrerebbe la sua impossibilità di ottenere dal presidente un avallo alla propria candidatura. Per questo, dunque, Petitti e chi la sostiene si appellerebbero alle primarie. Allo stesso tempo, se confermato, ciò potrebbe significare che l’incarico di trovare e selezionare un candidato sarebbe stato messo da Bonaccini nelle mani dell’altro contendente, cioè Andrea Gnassi (anche se, avvisato o meno, la consuetudine politica obbliga più a pensare che il presidente della Regione possa aver scelto di non schierarsi e di non spendersi per nessuna delle due parti).
L’unica cosa certa, dall’uscita di “Sarà” a oggi, è questo improvviso e davvero violento e poco edificante scoppio di litigiosità all’interno del Pd; una guerra di dichiarazioni che ha fatto cadere l’ultima foglia di fico sui rapporti che davvero esistono all’interno del partito.
Noi volentieri ci appassioneremmo di più a commentare una qualche progettualità innovativa e soprattutto per un linguaggio diverso, cioè per una lettura e una descrizione nuova che una realtà completamente nuova, come quella post covid, richiede con urgenza, ma siccome tutto questo ancora non si sente, vi proponiamo in sequenza un estratto di questa escalation nelle parole dei protagonisti. Perché se il linguaggio nuovo ancora non c’è, certo queste dichiarazioni sono un bell’esempio di quello vecchio.
[rg]
In ordine di ‘esternazione’: Juri Magrini, Emma Petitti, Filippo Sacchetti e Alberto Vanni Lazzari
Juri Magrini, consigliere comunale, in un suo post su Facebook del 31 ottobre
«E’ di ieri invece la discesa nell’agone politico dell’avvocato Moreno Maresi tra le file del centrosinistra. Questa uscita pubblica una cosa l'ha già chiarita tra le righe, ovvero le primarie per la scelta del candidato Sindaco saranno di coalizione e non solo del PD. Sarà interessante confrontare le "sue" proposte sia con quelle che porterà il PD sia con quelle del resto della coalizione che vorrà partecipare alle primarie. Ps: in bocca al lupo al mio amico ed ex segretario comunale del PD Federico Berlini per questa avventura "civica".»
Emma Petitti, nel comunicato stampa del 7 novembre
«(…) Un lavoro programmatico importante, che dovrà trovare spazi per una discussione con tutte le forze politiche del centrosinistra. Un centrosinistra di ampio respiro, che unisca le forze politiche e che sia capace di dare slancio e voce al mondo civico, alla voglia di esserci e di farsi sentire di tante ragazze e ragazzi che vogliono essere protagonisti del loro futuro. Penso, in tal senso, al civismo organizzato che ha visto l’esperienza positiva di Patto Civico già in questa legislatura e che si è fatto portatore di interessi plurali.
(…) Per tutti questi motivi, ho deciso di mettere la mia esperienza politica a disposizione della comunità del Partito Democratico, del centrosinistra e della città di Rimini, per le prossime elezioni amministrative; un’esperienza acquisita in questi anni in Parlamento e al Governo della nostra Regione al fianco di Stefano Bonaccini.
Anche in passato ho deciso di assumermi la responsabilità delle scelte, senza attendere i riti della politica. Non è più tempo. Ci vuole coraggio, chiarezza ed iniziativa personale. La politica, come dice Easton, è "assegnazione imperativa di valori alla società, un sistema di interazioni e non un'organizzazione" (…).»
Filippo Sacchetti, segretario provinciale del Pd in una nota di oggi, domenica 8 novembre
«(…) Diversi operatori dell’informazione mi hanno chiesto un commento sulla disponibilità data da Emma Petitti a impegnarsi per le elezioni di Rimini nel 2021. Da segretario provinciale del Partito Democratico raccolgo questa disponibilità. Ma senza entrare nella sostanza della cosa, ora ovviamente non sarebbe il caso e un comunicato stampa neppure il luogo, non posso fare a meno di registrare come la Presidente dell’assemblea regionale non abbia condiviso né informato di questo suo passo né me, né la segreteria regionale del PD, tanto meno il presidente Bonaccini con cui ho parlato ieri in serata.
Per carità si può fare tutto nella vita e in politica. Compreso, aggiungo, fare spallucce rispetto al fatto che, appena 10 mesi fa il PD di Rimini si è battuto affinché la Regione riconoscesse le ragioni del nostro territorio con l’elezione di Emma Petitti. Ma se si sceglie la strada della corsa in solitaria, voltando la schiena al partito e al confronto aperto con società e movimenti, mentre ci troviamo in mezzo a un percorso di ricerca di una soluzione unitaria, a partire dai programmi e poi nelle candidature, il PD non può fare la Ola.
Raccolgo la disponbilità di Emma Petitti e sul resto, che è poi quello che conta, ci confronteremo con tutti al tempo e nel luogo giusto.»
Alberto Vanni Lazzari, segretario comunale del Pd in una nota inviata oggi pomeriggio come “circoli pd rimini”
«Sono rimasto sorpreso della nota stampa del segretario provinciale Filippo Sacchetti. Sorpreso per il metodo e per i toni. Sul metodo il segretario provinciale lamenta la mancata informazione da parte di Emma Petitti sulla decisione di candidarsi alla carica di Sindaco di Rimini. Nella giornata di ieri come segretario comunale PD, sono stato informato dalla stessa Petitti sulla decisione di candidarsi alla carica di sindaco di Rimini. La stessa informazione,mi è stato riferito, era prevista per il segretario regionale e provinciale e le altre cariche istituzionali. Da tempo si vocifera sulla stampa di probabili candidature tra cui quella della Petitti, e l’ufficializzazione toglie per lo meno equivoci e fa chiarezza.
Vi è anche un aspetto di merito. La competenza per la realizzazione del programma, del confronto con le altre forze politiche e dell’individuazione del candidato a sindaco spetta per statuto all’unione comunale di Rimini. Da settimane è in corso nel Partito Democratico comunale un confronto programmatico intenso che vede il coinvolgimento di decine di esponenti iscritti e non iscritti al PD. Nella serata di Venerdì in assemblea virtuale eravamo oltre 50 a parlare di ambiente e forestazione urbana.
Faccio inoltre notare che da sempre lo statuto del Partito Democratico prevede per l’individuazione della candidatura a sindaco due modalità: attraverso il ricorso alle primarie di coalizione o con le primarie di partito, a meno che la decisione di utilizzare un diverso metodo, concordato con la coalizione, per la scelta del candidato comune non sia approvata con il voto favorevole dei tre quinti dei componenti dell’Assemblea del livello territoriale corrispondente.
Proprio per la gravità della situazione sanitaria, economica e sociale è ora di lasciare perdere i riti e le liturgie del passato che non servono a nessuno.
Serve un’assunzione di responsabilità da parte di tutti.»
Il virus che ammorba la scuola e i suoi anticorpi
C’è un virus ancora più grave del CoronaVirus. È più subdolo, nascosto, eppure assai più devastante. Non riguarda i corpi. Non riguarda la nostra biologia. Qui non c’entrano mutazioni, diffusioni, fattori RT di contagio. Riguarda l’anima, riguarda l’intelligenza e la volontà. Riguarda la libertà.
C’è un virus che sta uccidendo la nostra libertà, perché sta uccidendo la nostra capacità di confrontarci con la realtà, chiudendoci in una dimensione meccanica e priva di passione per le cose.
Questa pandemia è particolarmente attiva nella scuola, il luogo dove si dovrebbero crescere le anime, formare le persone, aprire le menti. Invece oggi è il luogo dove vige la potenza di questo virus occulto e non dichiarato. Eppure nella scuola ci sono forti anticorpi, che hanno permesso alla stessa di resistere fino ad ora. La scuola, malgrado sia così infetta e maleodorante, resta un luogo dove persone vive si incontrano.
Le persone che portano questi anticorpi talvolta sono i docenti. Dovrebbe essere questo il loro compito precipuo. Certamente non sempre è così. Possiamo dire che il virus, in questo secondo caso, trova la sua vittoria. Portatori sani di anticorpi, spesso, sono gli stessi studenti. Con la loro baldanzosa naturalezza, con una incredibile e spontanea energia, sparigliano spesso le carte. A loro basta poco. Una domanda, una considerazione, un gesto magari poco opportuno ma che porta tutto il desiderio di una vita vera, di una conoscenza non artefatta, di una passione non spenta nei confronti di quanto si va facendo. Basta poco, e la lezione rinasce. In questo tempo di Lockdown nella scuola sono accadute cose di grande portata profetica, per chi intenda guardarle.
Due esempi. Uno del virus ammorbante. Uno degli anticorpi più forti del virus.
In questi giorni, studenti e insegnanti si sono visti traditi nel loro sforzo di dare un senso al proprio percorso. Salvato l’anno scolastico a marzo scorso, inventando una didattica a distanza che non era dovuta da contratto, messo in piedi a settembre tutto un apparato di sicurezza per cui a scuola senza dubbio ci si sentiva in un luogo sicuro (non vi è stata diffusione del CoronaVirus tra le aule, ma semmai in altri luoghi), a causa delle mancanze di altri attori (in primis il problema dei trasporti) docenti e studenti si sono visti settimana scorsa di nuovo costretti ad una sconfortante didattica a distanza (che comunque resta sempre meglio che nulla). Dapprima per il 75 % delle classi, ora per il 100%. A fronte di questa forte e palpabile delusione, la beffa. Increduli, i docenti di numerose scuole hanno letto in circolari comprovate da normative varie, che se anche tutti i propri studenti della mattinata fossero stati destinati a casa, il prof doveva essere “in presenza”. In presenza nell’assenza. Costretto da circolari bizantine a fare lezione a distanza, ma da scuola. Così la scuola diveniva di fatto un “non luogo”.
Quegli stessi insegnanti che hanno salvato l’anno scolastico con un impegno a casa propria che non era previsto da nessun contratto e che risultava perfino illegittimo (erano tenuti a marzo a non firmare il registro, perché risulta “illegale” far lezione da casa, con conseguenza di una complicatissima procedura per assegnare voti e assenze), ecco, proprio costoro che, senza tirarsi indietro di un millimetro hanno ostinatamente voluto “far lezione”, ora vengono chiamati a una sorta di “lavoro forzato”, ovvero ad uno sforzo senza altro significato se non quello che può essere immaginato quale “punitivo”.
Difatti, fatta salva ovviamente la possibilità di accogliere a scuola quei docenti che mancassero di strumenti, non si capisce perché mai un prof debba fare da scuola - mentre la nazione intera tenta di limitare i contatti sociali e gli spostamenti - quel che può fare con più efficacia da casa. Come era facile prevedere, per aggiungere note di grottesco a questo noir dai sapori stantii, si è subito visto come le scuole non siano affatto preparate ad accogliere l’interezza delle lezioni via web. Cadute di connessione, computer non predisposti, disturbo dato da una organizzazione oggettivamente complessa hanno portato mediamente (stima data dal racconto degli insegnanti stessi e degli alunni) a una perdita del tempo di lezione che si avvicina ad un terzo rispetto al lavoro che poteva essere fatto da casa (in certi casi anche oltre la metà).
In una classe vuota, con i ragazzi sul monitor, la domanda spontanea era se tutto questo fosse uno strano sogno. Una specie di incubo, un “sonno della ragione”. Ora qualcuno sembra essersene accorto. Paiono essere mutati i bizantinismi interpretativi. Meno male. Ma resta indelebile questa settimana di follia giuridicamente corretta (o forse no?).
Ma veniamo agli anticorpi.
Si potrebbe parlare di tante cose ma per capire quali siano gli anticorpi che salveranno la scuola, e di conseguenza l’intera società, basta un semplice episodio. Banale e inconcludente. Ma salvifico.
Due giorni fa mi accorgo che un ragazzo sta seguendo dal terrazzo. Accadeva anche a primavera, talvolta. E, tra me e me, dicevo “fan bene, lo farei anche io se potessi!”. E magari ci usciva anche una battuta sugli Aristotelici che facevano lezione passeggiando… Ma a novembre no. Qualcosa non torna. Oggi, dalle 8 del mattino, è ancora sul terrazzo, avvolto in un pesante piumino invernale.
E allora incuriosito chiedo, “ma perché sei sul terrazzo, non hai freddo? Ci sono problemi di silenzio o di spazio in casa…?”. La risposta è stata fulminante nella sua semplicità: “Prof, mi sono appena trasferito e non ci è arrivato ancora il wi fi. Ho finito in una giornata i giga del mio cellulare, ma ho scoperto che c’è un wi fi libero qui vicino. Purtroppo prende solo da qui. Così seguo le lezioni dal terrazzo. Mi sono costruito una copertura, una tenda… Il problema è che ieri c’era nebbia e si bagnavano i fogli! Così dopo 3 ore son dovuto entrare in casa e disconnettermi”. Sono a bocca aperta. Questo ragazzo, un normale nostro studente non particolarmente “secchione”, pur di seguire le lezioni è stato per una settimana intera ogni mattina sul suo terrazzo per 5 ore di fila. Senza dire nulla. Senza lamentare difficoltà di connessione. Senza trovare scusanti per una più che comprensibile assenza, magari autorizzata dai genitori. In questo gesto semplice, ma decisamente significativo, in questo moto della libertà del tutto personale e “disarmato”, si cela qualcosa che c’entra con la possibilità di una rinascita della scuola e della società.
Possiamo starne certi. Vinceremo il virus. E non intendo certo il Covid, che, a fronte dell’assurdità in cui siamo immersi, è poca cosa davvero (ed è tutto dire).
Emanuele Polverelli
Terapia intensiva, in regione allestiti 634 posti letto, al momento occupati al 10%
La Regione Emilia-Romagna è ormai prossima al raggiungimento dell’obiettivo sulle terapie intensive fissato dal ministero della Salute dopo la diffusione della pandemia.
Si tratta di 634 posti letto di terapia intensiva già allestiti, e quindi subito attivabili in caso di bisogno - secondo l’ultimo dato disponibile, aggiornato a questa mattina -, e i rimanenti in fase di realizzazione, il traguardo da raggiungere per l’Emilia-Romagna è ormai vicinissimo: 641, definito dal dicastero sulla base del rapporto tra numero di cittadini e posti letto (14 posti ogni 100mila abitanti). Rispetto ai pazienti Covid ricoverati a ieri in Emilia-Romagna in terapia intensiva, 61 in totale, risulta occupato circa il 10% dei posti letto della rete regionale.
Dei 634 posti totali, 301 sono quelli di terapia intensiva già dedicati ai pazienti Covid: 129 pronti e in parte utilizzati, ulteriori 128 allestiti e liberi in caso di necessità, a cui se ne aggiungeranno 30 da inaugurare nei prossimi giorni al Policlinico di Modena e 14 al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, a completamento del Covid Intensive Care, l’hub regionale di terapia intensiva.
Già nella fase del picco epidemico, la scorsa primavera, il piano regionale di rafforzamento della rete di terapia intensiva era riuscito ad assicurare la disponibilità di 690 posti, di cui 573 dedicati a pazienti Covid, che nei mesi successivi sono stati riconvertiti al loro precedente utilizzo.
Aggiornamento coronavirus 17 ottobre. 67 nuovi casi. Altini, la rete ospedaliera sta tenendo
Coronavirus, l'aggiornamento regionale: su oltre 13.300 tamponi effettuati, 641 i nuovi positivi, di cui 282 asintomatici da screening regionali e attività di contact tracing. Le persone guarite salgono a 27.175 (+20), 261 quelle già in isolamento al momento del tampone
Effettuati anche 3.110 test sierologici. Oltre il 95% dei casi attivi con sintomi lievi in isolamento a casa. 5 nuovi decessi
Per quanto riguarda la situazione nel territorio regionale, i nuovi casi sono così distribuiti: Bologna (153), Modena (81), Reggio Emilia (74), Ferrara (71), Rimini (67), Piacenza (53), Parma (42), Ravenna (27). Poi Forlì (38), Cesena (23) e Imola (12).
A Rimini e provincia dei 67 casi registrati, 41 sono maschi e 26 femmine; 48 asintomatici e 19 con sintomi, tutti in isolamento domiciliare, la maggior parte già al momento della diagnosi. Nel dettaglio: 13 pazienti sporadici per sintomi; 41 per contatto con casi certi per la maggior parte famigliari; 1 per rientro estero (Albania); 12 per test professionali in vari luoghi di lavoro.
Il decesso è quello del paziente con altre patologie, di 67 anni, residente a coriano. Non sono state invece comunicate guarigioni.
Sul fronte scolastico, risultano casi di positività in un nido di Rimini (1 bambino, 1 classe in quarantena) e in un istituto di scuola suuperiore di Rimini (positivo 1 allievo e un membro del personale scolastico, classe in quarantena) e in un istituto superiore di Santarcangelo (positivo 1 alunno, no quarantene).
In merito alla situazione il direttore sanitario dell'Ausl Romagna Mattia Altini evidenzia quanto segue. "L'incremento dei casi che stiamo vedendo in questi giorni, comune a tutt'Italia, deve mantenere la nostra attenzione sull'importanza del contact tracing, cioè di individuare precocemente i casi, al fine di una presa in carico il più possibile veloce per migliorare l'approccio al singolo paziente e allo stesso tempo limitare il diffondersi del contagio.
E deve anche far ricordare alla cittadinanza l'importanza della prevenzione, seguendo scrupolosamente le ormai note linee guida legata a distanziamento, igiene, mascherina. Altrettanto importante quest'anno è fare la vaccinazione contro l'influenza stagionale, soprattutto per le classi a rischio, che rappresenta anche una forma di contrasto del covid.
Va però ben evidenziato che al di là del numero di contagiati la situazione attuale è molto diversa rispetto a quella del marzo-aprile scorsi, in quanto la maggioranza dei pazienti può essere adeguatamente seguiti a domicilio, mentre allora vi erano altissime percentuali di ospedalizzazione e in tanti, purtroppo avevano poi bisogno della terapia intensiva. Oggi non è più così, tanto che al momento la rete ospedaliera sta tenendo molto bene: nel piano dinamico che abbiamo predisposto, i ricoveri sono ancora al limite tra livello verde e preallerta di livello arancione. Ma siamo ben lontani rispetto alla occupazione di posti letto che vi era, nei mesi scorsi, quando avevamo un numero di contagi alto come quello attuale".
La Regione recepisce l'ultimo DPCM e 'stringe' sulle riaperture
Il Decreto nazionale impone la cessazione delle attività, che sulla carta sarebbero però potute riprendere nei minuti o nelle ore successive. Esclusi gli esercizi situati lungo le autostrade, negli interporti e nelle aerostazioni. La Regione Emilia Romagna recepisce ultimo DPCM del Governo ma impedisce l'eventuale ripresa delle attività dopo la mezzanotte o dopo le 21 in assenza di consumo al tavolo.
Le attività di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, e quelle di ristorazione, saranno consentite solo dalle 6 del mattino alla mezzanotte con consumo al tavolo. E dalle 6 del mattino fino alle 21 in assenza di consumo al tavolo. Inoltre, la consumazione sul posto o nelle adiacenze il punto vendita di alimenti e bevande da asporto è vietata dopo le 21 e fino alle 6 del giorno seguente (mentre la vendita può avvenire senza limiti di orari).
E’ quanto precisa una ordinanza firmata dal presidente della Regione, che recepisce quanto stabilito dal DPCM del Governo 13 ottobre, Decreto nazionale che impone la chiusura delle suddette attività alla mezzanotte o alle 21, e lo stop al consumo sul posto di alimenti e bevande da asporto, non impendendo però sulla carta la ripresa delle medesime attività nei minuti o nelle ore successive. L’ordinanza regionale esclude invece questa possibilità. Il provvedimento è valido in Emilia-Romagna da oggi 17 ottobre e fino al 13 novembre (data fino alla quale rimarrà in vigore il DPCM). Le misure in esso previste non si applicano agli esercizi situati lungo le autostrade, negli interporti e nelle aerostazioni.