Riccione, la battaglia a colpi bassi fra il sindaco Tosi e la Polisportiva
Può succedere che nove su diciannove consiglieri si dimettano dal direttivo della Polisportiva Riccione (che fino al 2013 aveva nel nome anche l’aggettivo comunale) perché ritengono che la società non mantenga necessari buoni rapporti con l’amministrazione comunale? Può succedere che l’amministrazione comunale, che da convenzione deve versare contributi e fondi per le spese di manutenzione, non lo faccia mettendo a rischio la sopravvivenza della Polisportiva?
Può succedere, succede a Riccione, nell’anno settimo del regno della sindaca Renata Tosi, un anno prima delle elezioni amministrative quando il Comune tornerà contendibile fra sinistra e destra.
La Polisportiva a Riccione non è affare di poco conto. Raccoglie qualcosa come novemila soci e quattordici fra società e sezioni sportive di varie discipline. Gestisce lo Stadio del nuoto, elemento centrale non solo per l’attività sportiva dei cittadini riccionesi, ma per l’offerta turistica della città. Il turismo sportivo, che in riviera si è sviluppato soprattutto a Riccione, ha un punto di forza nei campionati nazionali di nuoto che da anni si svolgono allo Stadio gestito dalla Polisportiva. Si capisce allora che la società è oggettivamente anche un centro di potere, si comprende perché chi vuole gestire la città la voglia avere sotto controllo. Fino a qualche tempo fa era considerata un solido feudo del Pd. Non a caso Massimo Pironi nel 2008 cominciò la corsa per diventare sindaco di Riccione diventando presidente della Polisportiva.
Un’altra epoca, molta acqua è scivolata sotto i ponti. A Pironi, nel 2010 è succeduto Giuseppe Solfrini, l’attuale presidente finito sotto le “attenzioni” del sindaco Tosi. E dire che nel 2014 la sua conferma fu frutto di un’alleanza trasversale che vide molti sostenitori dell’amministrazione di centrodestra iscriversi alla Polisportiva e correre al seggio per votare Solfrini in alternativa all’ex assessore Pd Alessandro Casadei. All’ultimo rinnovo, nel 2017, è stato confermato all’unanimità.
Il 12 gennaio scorso Solfrini ha inviato una Pec per la messa in mora al Comune di Riccione e, per conoscenza, alla Corte dei Conti. Il presidente della Polisportiva lamenta il mancato pagamento di un contributo di 60 mila euro, come da convezione; della somma di 210 mila euro per le spese di manutenzione dell’impianto, e chiede un tavolo di confronto per la determinazione del ristoro dovuto per la chiusura causa Covid.
“Non ci hanno mai risposto”, lamenta Solfrini. Dal Comune, in modo informale hanno fatto sapere che i pagamenti sono congelati perché ci sarebbero irregolarità nei bilanci. “Ogni sei mesi – precisa il presidente - mandiamo una relazione con tutti i dati sulla nostra attività, compresi quelli di bilancio. Mai ci è stato contestato qualcosa. Anche ad altre Pec che abbiamo inviato nei mesi scorsi mai una risposta”. Alla polisportiva osservano che se la mancata liquidazione dei contributi attesi fosse arrivata in un anno normale, sarebbe stata sopportabile. Non nell’anno del Covid che ha visto 1,2 milioni di mancati incassi su un totale di 2,8.
È la classica situazione in cui dietro alla battaglia formale (i contributi, i bilanci) si combatte una battaglia sostanziale che persegue un altro obiettivo. “Da quel che ho capito – afferma Solfrini – ci voglion far capitolare perché il Comune vuole tornare alla gestione diretta dell’impianto. Se così fosse bisogna tener conto di un fatto. Abbiamo formato una convezione per 25 anni, dei quali ne sono trascorsi solo 6. Se il Comune si chiama fuori dovrà dare un indennizzo al concessionario, cioè alla Polisportiva”.
Secondo il gossip politico che circola a Riccione, in realtà l’obiettivo sarebbe far fuori l’attuale dirigenza in favore di un presidente e di un consiglio più in sintonia con l’attuale amministrazione. “Lo pensavamo tutti – rivela Solfrini – Ma il 31 dicembre scorso ho mandato un mio consigliere a sondare le intenzioni del sindaco. La risposta è stata che l’obiettivo è riavere la gestione diretta dell’impianto. Vedremo. Noi non abbiamo mai avuto nulla contro l’amministrazione, nonostante ciò che affermano i consiglieri dimissionari. I problemi sono cominciati quando il Comune ha deciso di non pagare”.
Da parte sua il sindaco Tosi conferma che il congelamento dei contributi dipende dai bilanci poco chiari. “L'amministrazione comunale - spiega il sindaco - ha dovuto provvedere ad accantonare e congelare l'ultima rata del contributo, comunque riconosciuto a favore della Polisportiva, fintanto non saranno chiariti alcuni aspetti del bilancio della stessa. Da tempo sono stati chiesti dei chiarimenti da parte dell'amministrazione comunale alla dirigenza della Polisportiva, per quelle che risultano essere delle inesattezze del Bilancio della stessa. Un Ente pubblico, ossia il Comune di Riccione, in base alla normativa vigente, senza avere ottenuto delucidazioni circa i conti e il Bilancio della ASD, non può procedere alla liquidazione dell'ultima rata del contributo. In caso contrario, ossia in caso di pagamenti senza le dovute e necessarie verifiche, l'Ente incorrerebbe in un richiamo da parte della Corte dei Conti”
. Il sindaco ributta la palla nel campo della Polisportiva: “L'amministrazione comunale di Riccione però non intende entrare nelle controversie di una società privata qual è la Polisportiva, ASD società sportiva dilettantistica, a tutti gli effetti una società privata. L'amministrazione invierà a breve una lettera al presidente della Polisportiva chiedendo anche le motivazioni di quello che viene definito dalla stessa un "imminente default" e il perché delle numerosi dimissioni dal Cda”. Tali dimissioni segnalerebbero “gli evidenti difficili rapporti tra i consiglieri e la governance della Polisportiva". Il sindaco Tosi non lo scrive nella sua dichiarazione ufficiale ma la tesi che è possibile raccogliere negli ambienti dell’amministrazione è che i consiglieri si siano dimessi per perplessità sulla gestione della società, per poi trincerarsi dietro la motivazione dei contrasti con la giunta Tosi.
Il sindaco ribadisce infine che “Lo Stadio del nuoto è della città su cui i riccionesi hanno investito tanto e dunque la sua salvaguardia è la priorità dell'amministrazione”. Nessun accenno sulla volontà o meno di tornare alla gestione diretta dell’impianto.
Metromare, arrivati solo 4 bus su 9 acquistati. Non ancora fissati i test dell'Ustif
Il Metromare che arriva a Cattolica, il Metromare ch si prolunga fino a Viserba. Tutto bene, ma la prima tratta, quella fra Riccione e Rimini, costata più di 100 milioni, quando entra in funzione con i bus elettrici acquistati in Belgio? A luglio, si ricorderà, era finalmente arrivato, con mesi di ritardo, il primo mezzo, ed era stato detto, da Pmr, Comune e Provincia di Rimini, che nel giro di poche settimane sarebbero arrivati tutti gli altri e che, dopo le opportune verifiche, avrebbero cominciato a circolare. Siamo a gennaio 2021 e di bus fino ad oggi ne sono arrivati solo quattro su nove acquistati. E gli altri? “Con il ritmo di uno alla settimana, presto arriveranno anche gli altri cinque”, assicura il presidente di Pmr, Stefano Giannini. Vedremo. In ogni caso non basta che arrivino i mezzi, occorre che gli stessi ricevano il nulla osta dell’Ustif (Ufficio speciale trasporti a impianti fissi), l’ufficio ministeriale che deve accertare la sicurezza dei mezzi. I bus saranno sottoposti ad un stress test che potrà comportare anche la rottura di qualche pezzo che poi dovrà essere ripristinato. Un’operazione non proprio velocissima. La data di questi stress test non è ancora fissata, del resto ancora non ci sono i bus. È stata solo deciso il luogo dove saranno eseguiti, non al deposito di Start ma nell’officina della NGV Bus di Reggio Emilia. In estate saranno finalmente in circolazione? “In estate sicuramente, spero anche prima”, risponde Giannini.
Intano continua la linea sperimentale con i bus di vecchio tipo. La linea sperimentale del Metromare è partita nel novembre 2019 ed è andata avanti fino a inizio marzo 2020: in questo periodo il numero medio dei passeggeri giornalieri è stato di 1.060, con un picco nel periodo tra il 30 dicembre e il 6 gennaio quando sono stati raggiunti anche i 2.250 passeggeri al giorno.
Il servizio, interrotto a marzo per l’emergenza Covid, è tornato a funzionare dal 25 luglio, con corse anche in orario notturno. Risulta che tra fine luglio e fine agosto, quindi nel mese centrale dell’estate, siano salite sul Metromare mediamente 1.684 persone al giorno. Nella media ci sta anche il picco registrato il 19 agosto con 2.750 passeggeri.
Come valutare questi dati? A prima vista sono certamente molto distanti dalla previsione di 20.000 passeggeri quotidiani stimati dal programma di esercizio approvato dal CIPE. Certamente bisogna tener conto che si tratta di un servizio sperimentale, non completo, ma la distanza è comunque ampia.
Un altro dato è che nel mese di agosto la linea 11 dl filobus ha avuto una media di 3.000 passeggeri al giorno, quasi il dopo di quelli saliti sul Metromare. Nei progetti iniziali il Metromare doveva andare a sostituire la linea 11 ma pare che questo obiettivo sia difficile da raggiungere. La società Pmr e le altre autorità pubbliche hanno commentato dicendo che il Metromare ha intercettato un pubblico aggiuntivo, che prima non utilizzava un mezzo pubblico per spostarsi fra Rimini e Riccione. Resta aperta la domanda sul futuro della linea 11, sul quale fino a oggi non è stata detta una parola definitiva.
Intanto però è esplosa la moltiplicazione dei Metromare. Il primo “figlio” ad essere generato è il percorso dalla stazione Fs di Rimini alla Fiera. Probabilmente la tratta più attesa, specialmente dalle strutture ricettive della zona sud che così possono ambire a conquistare una maggiore fetta del mercato delle presenze fieristiche (sperando che l’emergenza Covid sia presto superata e i padiglioni della fiera tornino ad animarsi). Nel 2020 è stato approvato dal Ministero il decreto 185 che dispone un finanziamento di 49 milioni a copertura dell’intero costo della tratta. È in corso la progettazione esecutiva, poi bisognerà indire le gare di appalto: le disposizioni ministeriali vogliono che i cantieri debbano essere aperti il 1 gennaio 2023.
Nei progetti originari, il trasporto rapido di costa doveva raggiungere anche Cattolica, con la seconda tratta dalla stazione di Riccione fino all’ex colonia Le Navi. Ma la tratta nascerà con un “buco” perché il Comune di Riccione non ha aderito all’accordo. Il bus exquicity partirà dalle Navi di Cattolica e, con sette fermate intermedie, proseguirà su corsia esclusiva fino a Misano Brasile. Il tragitto tra Misano e Cattolica durerà meno di dieci minuti, per arrivare a Riccione, con il tratto promiscuo, ce ne vorranno 23. L’investimento previsto è di 34 milioni di euro. Nello stesso giorno in cui partitiva la richiesta di finanziamento a Roma, Riccione ha inviato al Ministero una sua idea progettuale per il tratto Riccione. Non proprio un bell’esempio di coesione territoriale. Impossibile giungere ad un accordo? Le due parti ovviamente si rimbalzano l’accusa di chiusura e indisponibilità. Si sa del resto come l’argomento Trc a Riccione sia sensibile, anzi incandescente.
L’ultimo “figlio” del trasporto rapido costiero è il progetto presentato dal Comune di Rimini: una nuova bretella di 4,3 chilometri che arriverà fino a Viserba. Alle Celle, nel percorso che porta fino alla Fiera, partirà la nuova diramazione per Viserba. Sono previste sette fermate: Sacramora; Cimitero; Ceccaroni; Elvis Presley; Centro studi; Viserba FS; Beltramini. Con la fermata Centro Studi si va a servire quello che è ormai diventato il principale polo scolastico di Rimini, la fermata Beltramini è invece a poche centinaia di metri dalla sede della nuova piscina comunale. La nuova bretella del Metromare avrà comunque la funzione principale di collegare velocemente la zona sud e la zona nord di Rimini. Costi preventivati almeno 38 milioni di euro. Tempi di realizzazione difficili da stabilire, visto che il complesso iter procedurale è appena partito.
Il professor Luigino Bruni racconta l'economia di Francesco
L’incontro internazionale The Economy of Francesco, svoltosi online nel novembre scorso, doveva tenersi originariamente a fine marzo, in pieno lockdown da pandemia. Quindi sarebbe sbagliato affermare che è stata la crisi da pandemia a suggerire al papa di convocare giovani economisti di tutto il mondo per immaginare il futuro economico del pianeta. È però anche vero che le conseguenze economiche della pandemia hanno reso ancora più urgente e attuale il lavoro indicato da Francesco.
Lo si intuisce leggendo il discorso che il 28 dicembre scorso Francesco ha rivolti ai membri della curia romana e tutto centrato sul valore positivo della crisi. Il primo passaggio è un’autocitazione di Francesco dal memorabile discorso del 27 marzo nella piazza san Pietro deserta. La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità, lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. (…) Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.
Il secondo passaggio è rintracciabile laddove Francesco afferma che “La crisi della pandemia è un’occasione propizia per una breve riflessione sul significato della crisi, che può aiutare ciascuno”.
E spiega: “La crisi è un fenomeno che investe tutti e tutto. È presente ovunque e in ogni periodo della storia, coinvolge le ideologie, la politica, l’economia, la tecnica, l’ecologia, la religione. Si tratta di una tappa obbligata della storia personale e della storia sociale. Si manifesta come un evento straordinario, che causa sempre un senso di trepidazione, angoscia, squilibrio e incertezza nelle scelte da fare. Come ricorda la radice etimologica del verbo krino: la crisi è quel setacciamento che pulisce il chicco di grano dopo la mietitura”. Francesco, visto il pubblico a cui si rivolge, declina poi il discorso sulla crisi della Chiesa contemporanea.
In questa riflessione sulla crisi da pandemia e sugli interrogativi che suscita sulla nostra vita sociale ed economica, si colloca l’incontro online proposto dal centro culturale il Portico del Vasaio di Rimini per martedì 19 gennaio alle ore 18,30 sui propri canali Facebook e Youtube. Il titolo dell’incontro, proposto unitamente al Progetto Culturale della diocesi e alla Fondazione Tadei, è “Una traccia di umanità nuova nel mondo. L’economia di Francesco”. Ospite dell’incontro è proprio un protagonista dell’evento voluto da papa Francesco, il professor Luigino Bruni, che ne è stato il direttore scientifico. Docente alla Lumsa di Roma, Bruni è uno dei protagonisti delle ricerche e degli studi sull’economia di comunione e sulla economia civile di mercato. Insieme al professor Zamagni è promotore e cofondatore della Sec, Scuola di economia civile.
Riccione, lettera di patronage Aeradria: un pasticcio ancora non concluso
Martedì sarà esaminata in commissione, poi sarà portata all’approvazione del consiglio comunale. Si tratta della delibera con cui l’amministrazione Tosi sancisce che non può essere considerato un debito fuori bilancio la lettera di patronage firmata nel 2009 dal sindaco Massimo Pironi in favore di Carige. Siamo negli anni immediatamente precedenti al fallimento della società aeroportuale, quando Aeradria batteva cassa dai soci pubblici per avere i finanziamenti necessari per realizzare gli investimenti richiesti da Enac. Il Comune di Riccione ritenne di non partecipare alla ricapitalizzzazione, ma offrì una garanzia (la lettera di patronage, appunto) perché Carige erogasse un prestito di 1,5 milioni.
Già nel novembre del 2014 il sindaco Renata Tosi aveva scritto ai legali di Banca Carige per sostenere che la lettera di patronage firmata da Pironi non era stata votata dal consiglio comunale e quindi aveva il difetto di una obbligazione giuridica non perfezionata. Insomma, era un titolo che non impegnava il Comune. Il sindaco Tosi aveva poi usato un altro argomento. La lettera era in favore di Aeradria, che però non può essere considerato un servizio pubblico locale, quindi la partecipazione al capitale sociale di quella società va vista unicamente come “mera rappresentanza di un interesse generale”, e pertanto la lettera si presenta come “estranea alla sfera funzionale dell’Ente, derivando da ciò la carenza dell’altro indispensabile presupposto richiesto dal legislatore per l’applicazione dell’istituto del riconoscimento del debito fuori bilancio.”
La lettera del sindaco non aveva soddisfatto Carige, che reclamava il rientro dei soldi erogati; pertanto la società aveva inoltrato un ricorso al Tar sostenendo che il sindaco non aveva il potere di decidere di non riconoscere il debito fuori bilancio. Curioso notare che nel giudizio non si sono costituiti nè il Fallimento Aerradria nè l'ex sindaco Massimo Pironi. Il 16 dicembre scorso è stata pubblicata la sentenza del Tar dell’Emilia Romagna che stabilisce che in effetti solo il consiglio comunale ha il potere di decidere sulla sussistenza o meno di debiti fuori bilancio. Il Tar scrive nella sentenza che comunque la situazione può essere sanata con una delibera del consiglio comunale.
Ed è proprio ciò che il consiglio comunale si appresta a fare. Nella delibera si ricorda che il regolamento comunale riconosce la legittimità di debiti fuori bilancio solo nei casi di sentenze esecutive; copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali, di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto; ricapitalizzazione di società di capitali costituite per lo svolgimento dei servizi pubblici locali; procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità; acquisizione di beni e servizi nei limiti dell’utilità ed arricchimento dell’ente relativamente a servizi e funzioni di propria competenza.
Secondo il Comune di Riccione questa casistica non si può applicare alla lettera di patronage firmata da Pironi. Nella delibera si stabilisce anche di inviare tutti gli atti alla Procura della Corte dei Conti, che valuterà come e contro chi procedere. Con questa delibera il messaggio che manda il Comune di Riccione è che Carige, per riavere i soldi prestati, deve rivolgersi ad un altro indirizzo.
Lettere di patronage, in favore di Unicredit, erano state sottoscritte anche dai tre soci pubblici di Rimini Congressi (Comune di Rimini, Provincia, Camera di Commercio) nell’ambito del piano finanziario per la realizzazione del Palacongressi. Anche in quel caso non vi era stata delibera del consiglio comunale. La vicenda si è però conclusa positivamente grazie alla quotazione in Borsa di Ieg, i cui ricavi hanno estinto parte del debito e ottenuto la cancellazione delle lettere di patronage da parte di Unicredit.
A Riccione invece la vicenda rimane aperta. Bisognerà vedere quali azioni a questo punto intraprenderanno Carige e la Corte dei Conti.
Dad o presenza? La vera questione è quale proposta educativa per gli studenti
“La didattica a distanza non è peggiore o migliore della didattica in presenza, è diversa”. È il primo punto fermo che fissa Paolo Valentini, direttore scolastico delle scuole Karis e preside dei licei classico e scientifico. “Le dinamiche che accadono e le modalità con cui il docente propone la sua attività didattica – spiega - sono oggettivamente diverse, ci sono aspetti positivi ma anche negativi. Con la Dad sono stati compiuti passi in avanti nel coinvolgimento dei ragazzi, ma abbiamo anche perso aspetti tipici dell’insegnamento, a partire dalla relazione fra docente e studente, che è diversa online. In presenza il docente mentre parla e spiega, osserva e basta un’occhiata per capire come sta seguendo il ragazzo”.
Anche per le scuole Karis la doccia fredda del 5 gennaio, con lo slittamento del ritorno in classe, ha gettato nello sconforto. “Fino a Natale – racconta Valentini – avevamo tentato tutte le strade possibili per non lasciar solo solo ogni studente, raggiungendoli uno a uno. Abbiamo individuato nelle singole classi i bisogni emergenti e cercato di sostenere ogni studente nel miglior modo possibile. Abbiamo utilizzato le modalità in presenza consentite, come i laboratori , abbiamo avuto attenzione che nell’orario del mattino ci fossero momenti di sportello per la ripresa delle attività. Tutto questo lavoro ci ha fatto arrivare a Natale contenti ma stremati. Abbiamo lavorato nel collegio docenti anche durante le vacanze, cosa che di solito non succede, abbiamo dovuto trovarci per riformulare la proposta della presenza prima al 75 e poi al 50 per cento. Avevamo preparato il piano come tutte le scuole, eravamo pronti a tornare. Speravamo di fare gennaio in presenza, in modo che il quadrimestre fosse almeno per metà in presenza. Così non è stato…”.
Cosa cambia fra Dad e presenza?
“Programmare un mese con la Dad o in presenza non è solo in problema di orario, è un problema di prospettiva didattica, di obiettivi da raggiungere. Nello specifico ho maturato un giudizio. Nel fare scuola con i ragazzi adolescenti a casa, il rischio più grave che vedo è che si assopiscano, che si spenga la loro vivacità, che venga meno il desiderio. Questo non dipende dall’assenza di una proposta ma proprio dalla modalità con cui la proposta è veicolatta, non sempre favorevole. Il ragazzo può estraniarsi con la telecamera e il microfono acceso, certo lo può fare anche in presenza ma è chiaro che siamo fatti di carne e di ossa. E la differenza c’è. Noi vediamo ragazzi che fanno fatica a tenere il passo del lavoro richiesto, fanno fatica a vivere lo studio come un momento di ripresa di quello che avviene in classe; allo stesso tempo per fortuna ci sono tanti sprazzi di luce, tanti momenti di positività che accadono perché ci sono due passioni che si incontrano, la passione del docente che propone e del ragazzo che cerca di restare aggrappato alla relazione con la scuola”.
Gli insegnanti cosa fanno per tenere desti l’interesse e il desiderio degli studenti?
“Ognuno di noi sta affrontando nella propria disciplina varie modalità di intervento. Si cerca di fare lezione partendo da un loro interesse o da un lavoro, anche di gruppo, loro affidato. Per esempio, nella lezione di letteratura non è il professore che legge per la prima volta una canto di Dante o un brano di Manzoni, ma l’insegnante invita a leggere il testo a casa e a parlarne insieme nella lezione successiva. Con le classi più alte funziona, mi ha sorpreso, ci sono state scoperte nuove. Un’altra modalità è valorizzare un’opportunità offerta dalla Dad, ovvero far entrare in classe persone che sono a distanza e che farebbero fatica a venire in presenza. Sono intervenuti docenti universitari, ricercatori, giornalisti. Venerdì per esempio, con le quarte e le quinte, ci incontreremo con il giornalista Mattia Ferraresi per una valutazione della situazione americana. Questo è il toccasana? No, anche in questo caso è necessario che ci sia una proposta chiara e un coinvolgimento. Però è bello poter interloquire con una persona che sta a Roma, a Bari o a Londra”.
Spesso di questa situazione viene offerta una lettura drammatica. Una generazione è bruciata, rischiamo di perderla. Condivide questo sguardo pessimista?
“Quando un adulto parla di giovani non può farlo senza esercitare una responsabilità educativa. Certo, la situazione è drammatica, ma ciò che mi preoccupa di taluni commenti è che manca la prospettiva. Gli studenti sono coloro che avvertono di più questa mancanza. Sono però disponibili a muoversi di fronte a una proposta. Per cui la domanda non è Dad o presenza, ma c’è una proposta per i giovani? Qual è la proposta? Leggere che la Dad non funziona getta nello sconforto, perché è ciò che i ragazzi vivono. Se diciamo che non funziona, significa che noi stiamo fallendo. Non sopporto il lamento senza proposta. Non basta analizzare il dramma, bisogna credere in ciò che si propone. Certo che la presenza fa la differenza, lo vediamo quando vengono per i laboratori, fa impressione il sussulto di umanità che i ragazzi esprimono. Quindi, la domanda è sulla proposta che facciamo ai giovani e non solo come fare per uscire meno ammaccati da questa situazione. La pandemia ci porta a interrogarci sulla funzione della scuola, su ciò che occorre fare perché i ragazzi non si assopiscano e non riducano la portata del loro desiderio.
In questo momento va sottolineato che per molti ragazzi la scuola è un ambiente distensivo, dove si allentano le tensioni che vivono nell’ambiente famigliare. È vero anche il contrario, però in questo momento sono in maggiore difficoltà i ragazzi che vivono tensioni nell’ambiente quotidiano”.
A proposito di famiglie, come hanno reagito?
“Le famiglie hanno seguito e hanno compreso tutti i nostri tentativi, hanno condiviso lo scopo. Cioè la scuola non è chiamata solo a evitare il diffondersi della pandemia ma a proporre il bene per i loro figli. Le famiglie riconoscono il valore di quello che stiamo facendo, ci ringraziano. Alcuni genitori si soffermano ad ascoltare le lezioni online e rimangono colpiti, ci segnalano che se vedono il figlio che si distrae, lo riprendono: avessi avuto io queste opportunità! È chiaro che il loro desiderio è che ritornino presto in classe”.
Ci sono stati Flash Mob in piazza, anche a Rimini. Che ne pensa?
“Comprendo la frustrazione, comprendo chi chiede scuola in presenza, è un’esigenza profonda vera, non un capriccio. Il punto è capire che non si tratta di tornare semplicemente alla normalità ma di fare una proposta a tutto tondo. Sta cambiando la società, sta cambiando anche la scuola. Questo non va dimenticato”.
Valerio Lessi
Campagna acquisti della Lega; i civici pro Gnassi bocciano Petitti
Da una parte la campagna acquisti della Lega che intende rafforzare la propria squadra, dall’altra le liste civiche che sostennero Andra Gnassi nel 2016 che chiedono continuità e bocciano la candidatura Petitti. Dopo la pausa delle feste natalizie la politica riminese è tornata a muoversi in vista delle elezioni amministrative. Pur non ancora definite come data (maggio o settembre?), ma che certamente ci saranno.
La prima notizia del giorno è il passaggio di due storici esponenti della destra riminese, Claudio Di Lorenzo e Gennaro Mauro, nella fila della Lega. Il passaggio è stato celebrato con un post su Facebook con il marchio della Lega che dà il benvenuto ai due esponenti politici. È l’espressione della nuova politica inclusiva che il segretario regionale Jacopo Morrone ha avviato a Rimini in vista delle elezioni. Apertura a personale politico di esperienza e di lungo corso, coinvolgimento della società civile nella scelta del candidato sindaco e delle candidature di lista.
Di Lorenzo e Mauro sono entrambi ex militanti di Alleanza Nazionale rimasti senza casa politica dopo il dissolvimento del Pdl berlusconiano. Di Lorenzo nel 2019 aveva dato vita a una lista civica a sostegno della candidatura di Lucia Bergonzoni alle regionali, Mauro è un consigliere comunale uscente espresso da una civica promossa insieme a Di Lorenzo. Vista la loro storia, il loro approdo naturale poteva essere Fratelli d’Italia, ma a Rimini questo partito. o meglio chi lo dirige, ha fatto la scelta di limitarsi a curare il proprio orticello. A fatica è stato accolto Nicola Marcello, che contava sull’appoggio del coordinatore regionale, ma sono rimasti fuori della porta altri consiglieri comunali uscenti, pure alla ricerca di una nuova casa politica: Carlo Rufo Spina, che ha lasciato Forza Italia, e Filippo Zilli, nel 2016 eletto da una civica ma ora desideroso di entrare in un partito.
“Lega e Fratelli d’Italia sono due partiti allo specchio – osserva di Lorenzo, per spiegare la sua scelta – Insistono sugli stessi temi, hanno le stesse prospettive. Sono due partiti gemelli in concorrenza. A Rimini da parte della Lega c’è stata un’apertura concreta, anzi la richiesta esplicita di Morrone per un impegno nel partito”.
Contenti i militanti storici del Carroccio? “Ho ricevuto le telefonate di benvenuto di Zoccarato, di Oscar Fabbri, dell’on. Raffaelli ed altri”. Di Lorenzo dice anche di essere particolarmente in linea con le scelta civiche di Morrone, che ha saldamente in mano la partita delle candidature. Pare che abbia incontrato già diverse persone, anche se ancora non vi è stata alcune scelta o decisione.
Nell’ambito del centrodestra, chi è ancora fermo al palo è Forza Italia. I due consiglieri eletti nel 2016 se ne sono andati, nuovi acquisti all’orizzonte non si vedono. Certo che per un moderato desideroso di fare politica appare come un contenitore vuoto pronto a farsi riempire. Oltretutto, gli ultimi sondaggi danno in ripresa il partito di Berlusconi.
La seconda notizia di giornata è il neo nato coordinamento delle liste civiche che nel 2016 sostennero Gnassi, coordinamento che ha scelto Kristian Gianfreda come portavoce. Hanno sottoscritto un documento di intenti Daniela De Leonardis, Mirco Muratori ed Enzo Zamagni per Patto Civico; Kristian Gianfreda di Rimini Attiva, Luca Pasini di Rimini Futura; ad essi si è unito il consigliere Andrea Bellucci, che era all’opposizione di Gnassi, essendo stato eletto da Obiettivo Civico dell’ex grillino Camporesi, anch’egli espressione di una lista civica.
Questi civici partono dalla premessa che in questi anni Rimini ha avviato un processo di cambiamento che non può essere fermato. Ciò è vero non solo per i contenuti ma anche per il metodo: “il centrosinistra non può pensare a un devastante e suicida ‘ritorno al Passato’ in cui il civismo era una foglia di fico utile solo a catturare qualche voto in più. In vista delle elezioni comunali del 2021 c’è da costruire e scrivere un piano ambizioso che, nel condurre in porto senza indugi i programmi avviati, lo aggiorni alle nuove esigenze di un mondo travolto dalla pandemia con la stessa volontà di innovare. E per farlo occorre un confronto libero, aperto e paritario”.
Tanto per non essere ambiguo, il documento precisa: “E’ indiscutibile che nella individuazione della figura che meglio può aggregare un ampio schieramento politico e sociale vada ricercata la massima coerenza con il percorso avviato in questi anni. E uno sforzo unitario all’altezza. In questo senso non giovano autocandidature (Petitti, ndr), perché non costituiscono il miglior viatico possibile per un percorso unitario e coerente, comprensibile ai riminesi.” Dal documento si capiscono due cose: che i civici non sono disponibili a sostenere Emma Petitti, e che, se come sembra dentro il Pd si andrà a primarie fra Petitti e Jamil Sadegholvaad, i civici saranno dalla parte dell’assessore uscente che si è espresso chiaramente per la continuità con Gnassi.
Sanpa e la mancanza di una memoria condivisa. Le domande inevase dal docu-film
Ora che si è fermato il clamore delle prime reazioni, spesso esagerate e scomposte, è possibile una riflessione pacata sulle questioni sollevate dal docu-film SanPa, mandato in onda dalla piattaforma Netflix.
Le reazioni fin qui emerse sono state sostanzialmente di due tipi. Da una parte i sostenitori storici della comunità fondata da Vincenzo Muccioli, che hanno visto nel documentario un attacco vergognoso a SanPa. I fatti ricordati (catene, omicidio Maranzano, suicidi sospetti) sono veri o falsi? Questa domanda è elusa, di San Patrignano si può e si deve solo parlare bene perché ha salvato tante vite umane in tempi in cui in lo Stato non faceva nulla contro la tossicodipendenza. L’altro tipo di reazioni è rinvenibile fra persone aderenti all’area vasta della sinistra. Ai tempi dei fatti ricordati dal docu-film gli esponenti della sinistra, politici e intellettuali, erano più che diffidenti, quando non ideologicamente ostili a San Patrignano. Dopo che intorno alla comunità si è creato un clima di consenso generalizzato, anche costoro si sono adeguati. Di fronte al documentario non si sono scandalizzati (in fondo è quella l’immagine che essi hanno introiettato nel profondo), hanno colto l’occasione per fare sapere che adesso sostengono il cammino della comunità e la sua attività di recupero dei tossicodipendenti.
In tutto questo appare evidente come intorno a SanPa non si sia ancora consolidata una memoria condivisa. Basta evocare certi fatti e subito gli animi tendono a dividersi, a scontrarsi, come se il tempo non fosse passato e le ferite fossero ancora aperte, brucianti. Un po’ come accade ogni 25 aprile, quando la sinistra celebra la festa della Liberazione, e la destra ripete che si trattò solo di un mito funzionale alla conquista comunista del potere.
Quasi allo stesso modo, quando si torna sui fatti drammatici e violenti che hanno segnato la storia di San Patrignano, scoppia la contrapposizione con gli ultras della comunità che non tollerano si possano evidenziare ombre. A questo atteggiamento contribuiscono due fattori. Il primo è una narrazione che vuole Vincenzo Muccioli un eroe isolato in una guerra alla droga che vede la latitanza dello Stato e delle altre agenzie educative. È una narrazione sbagliata. Il Ceis di don Mario Picchi era stato fondato nel 1971, la Comunità Incontro nasce nel 1979 a Molino Silla, la prima comunità terapeutica di don Oreste Benzi apre nel 1980. Quando si celebrò il processo delle catene (1985), le comunità terapeutiche erano un arcipelago che raggiungeva centinaia di giovani. Eppure si diceva che Muccioli era l’unico ad intervenire e come tale doveva essere assolto da ogni colpa. L’altro fattore è la campagna mediatica che la comunità, con le risorse e le relazioni dei finanziatori (coniugi Moratti), ha condotto a suo tempo per mettere a tacere ogni voce critica e dare spazio solo a illustri testimonial che celebravano i successi di Sanpa.
Una strategia di difesa e di sopravvivenza che però ha impedito che l’opinione pubblica potesse essere coinvolta nei processi di cambiamento che dalla morte di Muccioli in poi si sono innescati nella comunità. Finché era vivo Muccioli, nel bene e nel male San Patrignano coincideva con il suo magnetico carisma, morto il fondatore a reggere poteva essere solo un metodo, un percorso, chiamiamolo come si vuole. I fatti delle catene e dei reparti punitivi denunciavano un grosso limite in SanPa: in che modo la libertà e la responsabilità dei giovani erano sollecitate nel percorso di uscita dalla dipendenza. È un tema che né gli ultras né i neo-sostenitori di oggi si pongono, ed è invece oggettivamente centrale.
Da questo punto di vista il limite vero del docu-film è che non ha riservato nemmeno una puntata a ciò che è diventato San Patrignano dalla morte di Muccioli (1995) ad oggi. Cercando probabilmente solo l’effetto scandalo, hanno compromesso la completezza della loro narrazione, senza provare minimamente a documentare come siano stati affrontati e risolti i temi della libertà e della responsabilità.
Dove la libertà non può essere ridotta alla libertà di scelta in base al proprio sentire. Che è invece il concetto che sta dietro ai detrattori storici di San Patrignano e delle comunità terapeutiche in genere. Non accettano che la libertà di un giovane possa essere sollecitata (certo, non con l’imposizione, tanto meno con le catene) ad aderire a ciò che è bene per la sua vita. Vengono in mente a proposito la campagna “Educare senza punire” che alla fine degli anni Ottanta condussero radicali e sinistra e in genere le tante campagne di “riduzione del danno”, nelle quali si voleva esplicitamente evitare un approccio valoriale alle dipendenze e ai comportamenti ‘trasgressivi’. Campagne che trovarono il consenso anche di numerose associazioni cattoliche. Non di don Oreste Benzi, il quale sosteneva che educare è anche punire. Non in un carcere che induce alla recidiva, ma in comunità che sollecitino la libertà e la responsabilità dei giovani. In base alla propria esperienza, lui ricordava che due fatti inducevano i giovani ad avviare un percorso di recupero: il trauma del carcere e la cacciata da casa da parte dei genitori. Una posizione che documenta quanto libertà e responsabilità siano centrali quando si parla di uscita dal tunnel della droga.
Tornando a SanPa, i fans “a prescindere” dovrebbero seriamente riflettere su due risposte fornite da Andrea Muccioli in una recente intervista al Corriere della Sera. Alla domanda se i metodi coercitivi usati in quegli anni siano stati incidenti di percorso ha risposto: «Non lo penso. Credo anzi che siano stati errori gravissimi». La seconda, su quello che sarebbe stato l’errore del padre. «Voler salvare tutti. – ha risposto Andrea - L’accoglienza incondizionata ha un prezzo alto da pagare. Lui questo non lo accettava e così facendo a volte ha dato ai ragazzi una responsabilità più grande di quella che erano in grado di gestire. Ha aperto troppo rispetto alle nostre capacità organizzative. Il risultato è che ha delegato anche persone impreparate a gestire ragazzi in difficoltà».
Quelli posti da Andrea Muccioli potrebbero essere i primi mattoni di una storia condivisa.
Valerio Lessi
Gran movimento a destra per non giungere spiazzati al 2021
S’odono a destra squilli di tromba. E non sono più gli scontati avvisi di sfratto imminente che periodicamente vengono mandati all’amministrazione guidata da Andrea Gnassi. Qualcosa sembra muoversi più in profondità.
Il week end ha portato una novità che ancora non si era vista: una Lega dialogante, inclusiva, pronta a recepire l’apporto di altri. Il segretario regionale Jacopo Morrone ha inaugurato una serie di dirette Facebook in vista di Rimini 2021 e ha invitato a parteciparvi, oltre al proprio Matteo Zoccarato, anche i consiglieri Filippo Zilli e Gioenzo Renzi, esponenti di altri partiti. Al di là dei contenuti emersi, condivisibili o meno, ciò che rileva è il metodo inclusivo: per un giudizio sul decennio Gnassi ci si avvale anche del contributo degli altri consiglieri dell’area di centrodestra. Non è più la Lega che, forte del vento in poppa, non esita due secondi a imporre nel 2016 il candidato Marzio Pecci.
Se il week end aveva portato questa novità, la settimana si è aperta con la proposta di una costituente di centrodestra lanciata dai consiglieri comunali, espressione di tutti i partiti, Roberto Maggioli (di Bellaria, ma vice coordinatore provinciale di Forza Italia), Nicola Marcello (approdato in Fratelli d’Italia), Gennaro Mauro, Carlo Rufo Spina, Filippo Zilli.
La grande Costituente di Centro Destra dovrebbe essere “chiamata a discutere programmi, idee, contenuti, sinergie ed esigenze dei riminesi, attraverso il coinvolgimento di tutte le sensibilità imprenditoriali, associative, culturali e sociali presenti sul territorio”.
Fra le righe c’è un messaggio implicito: il candidato a sindaco del centrodestra deve essere scelto a Rimini, fra persone, partiti e movimenti locali; basta con i nomi imposti da tavoli e accordi romani o regionali. L’interpretazione autentica è che questa uscita non vuole essere un attacco a Morrone o alla Lega (peraltro fra i promotori c’è Zoccarato, che è un fedelissimo del segretario regionale); vuole semplicemente mettere un punto fermo: le decisioni si prendono ai tavoli riminesi, dopo un lavoro di confronto fra i partiti e con la società civile. Non a caso le parole chiave indicate sono Collegialità, Dialogo, Confronto, Prospettive, Crescita.
Filippo Zilli, che è uno dei più convinti fautori della costituente di centrodestra, aggiunge anche che i cittadini riminesi, dopo dieci anni, sono certamente stanchi delle diatribe interne al Pd, ma anche delle solite facce candidate per il centrodestra. Basta con i soliti noti. “Quel che vogliamo far capire – afferma – è che il centrodestra c’è, è unito e non è affatto vero che non ha voglia di vincere”.
Anche il mondo civico, nell’ottica di Zilli, può dare un contributo valido alla costituente di centrodestra. E guarda con attenzione all’attivismo di Lucio Paesani, titolare del Coconuts e leader del MIO (Movimento imprese ospitalità) che ha portato in piazza numerosi operatori del turismo. “Penso che il lavoro che sta facendo Paesani si sposi perfettamente con quello che io chiamo costituente del centrodestra. C’è il mondo delle piccole imprese, del commercio, del turismo che sta soffrendo moltissimo. Se lui riesce ad organizzare quel mondo che nel 2016 era confluito in Patto Civico, penso che possa naturalmente unirsi a noi”. Da parte sua Paesani ha dichiarato che è pronto a metterci la faccia per fare qualcosa per il bene della città. Bisognerà vedere che si accontenterà di un contributo con la lista civica o metterà in campo una sua candidatura a sindaco.
Secondo Zilli, la crisi che sta vivendo il mondo delle imprese non dipende solo dall’attuale situazione di pandemia, ma ha origine anche in questi dieci anni di gestione Gnassi. “Non si deve buttar via tutto ciò che ha fatto l’attuale sindaco, specialmente gli interventi nel centro storico, ma bisogna fare molto di più per creare le condizione affinchè il PIL possa riprendere quota”.
In questo senso è in piena sintonia con il segretario della Lega Jacopo Morrone, secondo il quale fra i limiti degli amministratori Pd ci sono anche la “scarsa attenzione (e i mancati investimenti) a favore del mondo delle imprese e la supponenza nei confronti delle esigenze delle associazioni e delle categorie che ruotano intorno al turismo, motore storico dell’economia locale”.
Non basta la candidata Petitti per far vincere il centrodestra a Rimini
Le prime reazioni nel campo del centrodestra sono abbastanza scontate: Emma Petitti è la migliore candidata, nel senso della più facile da battere. Basta cucirgli addosso il vestito che lei stessa ha sempre mostrato di preferire: donna di partito, espressione dell’apparato, fedele alla linea Melucci, insomma di colore rosso antico, per dirla con il nome di un liquore in voga negli anni Settanta.
Se può essere facile cucire tale vestito alla Petitti, non è però sufficiente per vincere le elezioni. Molto dipenderà dall’avversario che il centrodestra sarà in gradi mettere in campo. E dall’aggregazione che questo candidato alternativo saprà coagulare, andando oltre i confini dell’elettorato dei partiti. “Deve essere un uomo che ami profondamente questa città, appassionato ai suoi problemi, desideroso di misurarsi anche con l’attività amministrativa. Non deve essere un uomo di partito ma comunque un uomo che ha famigliarità con la politica e i suoi meccanismi. Un esterno, non un estraneo ai partiti”.
A tracciare questo identikit del futuro sindaco di Rimini, è Claudio Di Lorenzo, ex An, fra i promotori alle ultime elezioni regionali della lista civica a sostegno della candidata Borgonzoni. Per completare l’identikit osserva che nelle città dell’Emilia Romagna dove c’è stato di recente il ribaltone (Forlì e Ferrara) è diventato sindaco un politico che già aveva svolto l’incarico per un Comune più piccolo.
Di Lorenzo non sembra nutrire più di tanto fiducia nel rilancio di Rete Civica (portavoce il sindaco di Coriano Mimma Spinelli), alla quale lui stesso ha attivamente partecipato. “Voleva essere un soggetto politico per conquistare uno spazio non raggiunto dai tre partiti del centrodestra. Alla luce dei fatti quello spazio si è mostrato esiguo, sotto al 2 per cento, mentre le aspettative erano maggiori”.
Rete Civica, capitanata dalla Spinelli, può adesso vantare anche l’arrivo di un consigliere comunale, Davide Frisoni, che prima apparteneva alla maggioranza del consiglio comunale di Rimini, cioè al gruppo di Patto Civico. Le mosse di Frisoni sembrano puntare ad una sua eventuale candidatura a sindaco per l’area di centrodestra. “Ognuno – commenta Di Lorenzo – nutre legittime aspirazioni personali. Poi bisogna verificare se ci sono le condizioni politiche”.
Secondo Di Lorenzo la parola decisiva sul candidato a sindaco la diranno i partiti della coalizione, a partire dal segretario regionale della Lega, Jacopo Morrone. La Lega, pur dilaniata da evidenti contrasti interni, resta il primo partito. Forza Italia è sparita, in consiglio comunale non ha più nessuno. Poi c’è il caso curioso di Fratelli d’Italia, alla quale è di recente approdato l’ex forzista Nicola Marcello. Ma in consiglio, oltre a lui e a Gioenzo Renzi, ci sono altri due consiglieri che vedono nel partito della Meloni il loro approdo naturale, Filippo Zilli e Gennaro Mauro, nel 2016 eletti in liste civiche. Si è visto però quanto ha dovuto penare Marcello per passare dagli annunci sulla stampa all’ingresso ufficiale nel partito. È inimmaginabile che a breve Renzi possa dare il via libera ad altri ingressi che oscurerebbero definitivamente il suo primato.
La domanda che resta è se nelle elezioni del 2021 ci sarà spazio per liste civiche di destra. L’impressione è che alcuni fenomeni siano stati riassorbiti dai partiti. Alcuni (in ambito cattolico), dopo la riuscita elezione di Matteo Montevecchi, combattono una battaglia interna alla Lega. Altri sono in fase di avvicinamento a Fratelli d’Italia. Qualche altro moderato potrebbe tentare l’ingresso in Forza Italia, che al momento è una scatola vuota in attesa di essere riempita. “A mio parere – sostiene Di Lorenzo - sarebbe quanto mai opportuna la presenza nel centrodestra di liste civiche tematiche. Penso ad esempio ad una lista che metta insieme il modo del commercio, del turismo, delle piccole imprese. Se si vuole vincere a Rimini occorre tornare a parlare con questi mondi, che all’elezione precedente hanno votato Gnassi”.
Chi si rivede! Nanà, abbandonata la Tosi, è impegnato a lanciare la Petitti
Che c’azzecca Natale Arcuri con Emma Petitti? Lui non è forse stato il fautore della vittoria di Renata Tosi a Riccione, mandando per la prima volta il Pd all’opposizione? E lei non è forse, oltre che consigliere e presidente dell’assemblea legislativa regionale, la persona che si è messa a disposizione per fare la candidata del Pd e del centrosinistra a Rimini?
Sì, le persone sono le stesse ed è legittima la sorpresa nel vederle accomunate dallo stesso destino. Chi aveva dato il contributo decisivo a cacciare il Pd dall’amministrazione comunale di Riccione, ora è a disposizione della donna che vuole garantire il Comune di Rimini al Pd, in discontinuità con Gnassi. L’unico elemento in comune fra le due scelte è l’avversione a Gnassi: per motivi diversi, infatti, sia l’una che l’altra vedono un avversario da battere nell’attuale sindaco di Rimini.
Già alle ultime elezioni regionali è capitato di incrociare Arcuri che in una tasca aveva i “santini” di Andrea Dionigi Palazzi, l’assessore di Riccione candidato nelle liste di Forza Italia, e nell’altra quelli della signora Emma Petitti, che alle regionali faceva le prove generali del consenso intorno alla propria persona.
Il rapporto non si è concluso con l’ottenimento delle ottomila preferenze. Anche adesso Arcuri, per gli amici Nanà, è al fianco della Petitti nel tentativo di diventare prima candidata ufficiale e poi sindaco di Rimini. Al punto che ci sarebbe la sua regia anche in alcune recenti uscite sulla stampa locale.
Arcuri, da parte sua, conferma di essere candidato ad essere lo spin doctor dell’eventuale candidata Petitti. “E’ il mio mestiere, lo faccio di professione, non è una scelta politica”, sottolinea. Nanà non avverte nemmeno alcun problema di coerenza con il precedente impegno con Noi Riccionesi e per il decollo della candidatura Tosi a Riccione. Si potrebbe osservare che lui, da sempre vicino al Pd e alla sinistra, è tornato, anche professionalmente, alla casa madre. “Quello era un impegno civico, che si è concluso. Era determinato dalle particolari condizioni di Riccione. Con la Tosi i rapporti si soni interrotti da ormai due anni. Lei ha voluto dare un significato politico a quell’esperienza, mentre per me doveva restare sul piano civico. Guardo anzi con preoccupazione a ciò che sta facendo”.
Non è la prima volta che Arcuri cerca di esportare le proprie competenze di spin doctor a Rimini. Nel 2016 era stato ingaggiato dall’associazione Progetto Rimini, formata da cattolici vicini alla Curia. L’operazione doveva reggersi su una candidatura a sindaco che poi si è rivelata inesistente. Ora ci riprova partendo dal candidato. Il punto ancora da sciogliere è se la Petitti, al di là della sua disponibilità, sarà capace di unire tutto il Pd e di coagulare forze civiche a proprio sostegno.
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Dopo la pubblicazione dell'articolo Natale Arcuri ha inviato la seguente precisazione:
Non ricevuro alcun incarico per dare il mio contributo professionale alla campagna elettorale di Emma Petitti , in vista della sua camndidatura a sindaco di Rimini. Ho solo risposto d una domanda in cui mi si chiedeva se ero disponibile a tale incarico. ho quindi semplicemente detto che gestire campagna elettorali è uno dei miei aspetti professiona. E ch se mi venisse richiesto ne valuterei l'opportunità e le possibilità. Non nascondo che ho infinita stima personale per Emma Petitti. Ma al momento non ho in programma e non ho ricevuro richieste per seguirne la eventuale campagna elettorale.
L'articolo infatti non verteva sui rapporti contrattuali fra Arcuri e Petitti, ma su una vicinanza politica, che lo stesso Arcuri conferma.