“Certamente la nostra spiaggia ha bisogno di riqualificazione, ma sarebbe un errore puntare solo sul balneare per potenziare il turismo a Riccione”. Eleonora Bergamaschi, albergatrice, presidente della società di gestione del Palacongressi di Riccione, interviene nel dibattito aperto dall'imprenditore Vincenzo Leardi con l'intervista a buongiornoRimini.

Leardini parlava di piscine, attrazioni, poli del benessere. Una spiaggia che vive anche nelle mezze stagioni.

“Quest'anno abbiamo avuto l'esperienza di Gabellini ai bagni 86/87, ed è stato un successo enorme. Se ne è parlato in Italia e all'estero, molti articoli di giornale sulla spiaggia aperta anche in inverno. La spiaggia rimane il nostro principale punto di attrazione, non sostituibile dalle biciclette o dall'entroterra. I turisti scelgono Riccione e la riviera per i servizi di spiaggia che offriamo. Quindi certamente vanno potenziati in modo che si possa ottenere l'effetto wow! Indicato dai manuali di marketing”.

Leardini sostiene anche che fieristico e congressuale non bastano a riempire gli alberghi. Qual è il suo giudizio da presidente della New Palariccione?

“E' evidente che fiere e congressi riempiono le camere e non i letti. Cioè, pur con le camere occupate, si realizza la metà delle presenze rispetto ai mesi estivi, perché c'è una sola persona per camera. Ma non è uguale a niente. Gli eventi si possono aumentare, ma non possiamo dimenticare che se a Riccione c'è movimento a gennaio è solo grazie alla presenza di Sigep alla Fiera di Rimini”.

Come New PalaRiccione cosa fate per aumentare le presenze congressuali a Riccione?

“Lavoriamo molto per ottenere eventi di formazione o di corsi motivazionali. Rispetto ai tradizionali congressi medico.-scientifici, sono eventi che creano maggiore indotto a livello turistico. I partecipanti non cercano solo 4 stelle o hotel di lusso, ma anche 3 stelle con la formula bed and breakfast. Ci sono ricadute sui ristoranti e sui negozi”.

E veniamo alla madre di tutte le polemiche, la Notte Rosa. Secondo lei è un evento da abolire?

“La Notte Rosa non è un evento, è un prodotto turistico, Come tale non va abolito, va va riformulato individuando bene il target di riferimento che non può essere il pubblico dei giovanissimi. Penso che Riccione debba rivolgersi al pubblico giovanile dei trentenni/quarantenni, un target che ha capacità di spesa. È una classe di età dove ancora non ci sono famiglie, perché la tendenza è quella di sposarsi più avanti negli anni. Non si può puntare su artisti comunicati all'ultimo minuto, senza una programmazione anticipata. Altrimenti come fanno gli alberghi a fare la promozione se il programma è comunicato qualche giorno prima? La Notte Rosa è da mantenere ma va rivista”.

Leardini ha sollevato anche il tema più generale della notte e della musica al Marano considerata una follia. Che ne pensa?

“La chiusura di certi locali è stata una scelta obbligata. Il mondo della notte va ripensato, occorrono imprenditori che abbiano voglia di investire in qualcosa di nuovo. Gli ospiti che arrivano nei nostri alberghi cercano leggerezza, spensieratezza. Occorre rendersi conto che il mondo delle discoteche è cambiato, che ha meno appeal rispetto a un tempo. Devo essere trovati i locali giusti, con la musica giusta. E poi bisogna fare anche un discorso di sinergie territoriali. Se si va a Ibiza, si scopre che c'è spazio per le famiglie con bambini e per i i giovani. Non nello stesso luogo, anche noi dobbiamo pensarci come Riviera complessiva, anche all'estero ci pensano così. Non dobbiamo essere provinciali o campanilisti, Rimini contro Riccione o viceversa. Ogni Comune può avere una sua specifica vocazione. E non bisogna essere ancorati al passato, bisogna seguire le nuove tendenze”.

Per un turismo di qualità anche gli alberghi avrebbero bisogno di riqualificazione, non crede?

“Gli alberghi si stanno riqualificando, alcuni lo hanno già fatto. A Riccione abbiamo un'offerta diversificata, non solo hotel di lusso ma anche 3 stelle e pensioni. Per investire occorre avere fiducia nel futuro ed è forse ciò che manca alle nuove generazioni rispetto ai loro genitori. Però gli investimenti sono necessari adesso, perché i cambiamenti avvengono velocemente. Certo che se la battaglia la si fa sui prezzi e non sulla qualità dei servizi, non si va da nessuna parte. Si innesta una catena che poi coinvolge anche il personale, sempre meno qualificato, perché altrimenti avrebbe costi altissimi”.

Non si investe perché i margini sono sempre più risicati?

“Questo è vero, ma non bisogna confondere gli investimenti con i costi. Se si realizza un investimento, si può alzare l'asticella della qualità dei servizi e dei prezzi”.

Il Pd di Riccione torn all'attaco della politica degli eventi dell'amministrazione comunale. "Abbandonati i grandi eventi, i concerti e la programmazione turistica, - afferma - quello che resta della capitale nazionale del turismo è solo l'imbarazzo di una amministrazione incapace di programmare una qualsiasi"proposta turistica.

Il Pd punta il dito sul fatto che "Ad oggi, 11 luglio, ai turisti (stupefatti) che si recano a chiedere informazioni sugli eventi, viene consegnato un foglietto di carta con qualche evento perlopiù privato. Gli alberghi e gli stabilimenti balneari, costretti a scaricarsi e fotocopiare una scartoffia veramente impresentabile. E' imbarazzante vedere un'amministrazione navigare a vista. E' imbarazzante guardarla mentre progetta qualcosa last minute e poi scoprire che ha cambiato idea. E' imbarazzante come questo balletto venga presentato come il frutto di un ragionamento quando in fondo è solo la triste manifestazione dell'incapacità, non solo di intrattenere i turisti presenti, ma di attrarne di nuovi. Dove finiscono gli investimenti per il marketing territoriale? E i proventi della tassa di soggiorno?".

La conclusione è: "Non si amministra una città con slogan e ancora peggiore con gli umori mattutini. La politica è fatta di programmi e di idee e una città senza una seria programmazione è spacciata".

“Leardini vuole abolire la Notte Rosa? Beh, ricordo che nei primi anni uno dei migliori addobbi era proprio quello del suo albergo. Quindi ci credeva anche lui...”. Daniele Imola, ex sindaco di Riccione, esponente di primo piano del Pd della Perla Verde, parte da qui per contestare i contenuti dell'intervista di Vincenzo Leardini con buongiornoRimini.

Vorrà dire che poi è rimasto deluso....

“Certamente. D'altra parte se gli eventi non li gestisci bene e non li valorizzi... Però l'idea originale ancora sta producendo molto, ci siamo inventati un secondo Ferragosto. Il pubblico viene per quello che offri. Se offri solo musica per quindicenni, quelli vengono. Se fai i concerti di Carmen Consoli, di Fiorella Mannoia e di tanti altri, forse arriverà anche altra gente”

Converrà che rispetto alla novità dei primi anni, adesso si scivola sullo scontato, si ripete una formula.

“Questo è vero, anche se pure quest'anno cose belle sono state organizzate, come il concerto di De Gregori. Sicuramente c'è meno fantasia, meno inventiva, meno partecipazione degli operatori. I primi anni non c'era un albergo, un ristorante, una attività, che non si inventasse qualcosa per quella sera. Bisogna lavorare sulla qualità dell'evento, piuttosto che buttare a mare anni di lavoro”.

Cos'altro non condivide dell'intervista di Leardini?

“Mi sembra esprima una visione ristretta della politica turistica. Non bisogna dimenticare che a Riccione ci sono 450 alberghi, 150 bagnini, centinaia di negozi, bar e ristoranti. Quindi bisogna creare una prospettiva per tutti, non solo per qualcuno. La sua è una visione molto elitaria”.

Beh, l'idea di poli del benessere sull'arenile assomiglia molto all'idea di Parco del Mare che propugna Gnassi per Rimini.

“A Riccione gli interventi sulla spiaggia sono già stati fatti dieci anni fa. Molte hanno le piscine, gli idromassaggi, servizi innovativi. Ma non si può pensare che questa offerta accontenti tutti. L'idea che Riccione possa vivere senza la musica, che la musica possa essere fatta solo per i clienti di qualche albergo, non va bene, non basta”.

Però se la spiaggia lavora più di quattro mesi all'anno, anche gli alberghi ne traggono beneficio. O no?

“La spiaggia non può contenere tutto, balneazione e divertimento, giorno e notte continuamente, su tutti 150 bagni. Qualcosa si può fare, tenendo presente che deve poter lavorare tutta la città”.

Quando dice che Riccione non può vivere senza musica intende dire mondo della notte, ballo, divertimento?

“Togliere la musica e il divertimento a Riccione è come togliere la spiaggia: cosa rimane? Tutta la storia di Riccione è così, non solo gli anni '90. Il Savioli, ai suoi tempi, mentre faceva cantare Mina, Celentano e Morandi, era trasgressivo, perché a quell'epoca cantavano Luciano Tajoli e Nilla Pizzi”.

Imola, cosa dice? Un conto è lo sballo, un conto è trasgredire perché cambiano i gusti musicali.

“Anche allora succedeva che le serate finissero a botte. Basta ascoltare i racconti di chi ha lavorato al Savioli. Ogni epoca ha le sue trasgressioni e le sue degenerazioni, ma le abbiamo sempre governate. Riccione non può vivere senza giovani”.

Leardini sostiene che è folle trasformare la spiaggia in una discoteca.

“Condivido solo in parte. Non c'era alcuna idea di fare discoteche sulla spiaggia. I locali sull'arenile non sono nati come alternativa alle discoteche, che erano in calo già da prima. Sulla spiaggia in molte parti del mondo si fa musica, si vive la notte. E infatti la gente va da altre parti. Si lavori per qualcosa di alternativo, si ragioni, ma non si dica chiudiamo la notte, perché è una scelta che porta solo alla decadenza”.

Cosa vuol dire che il mondo della notte può essere governato?

“Secondo me possono avere ancora un ruolo le discoteche della collina, anche se con numeri diversi rispetto al passato. La gente si vuole divertire, ed è sbagliata l'idea che si divertano solo i giovani, basta guardare a quante auto di lusso si vedevano al Marano. Quello costruito nella zona del marano è che un fenomeno che non è morto come esigenza da parte del pubblico, tanto che lo stanno riproponendo in Croazia, in Grecia, in Spagna. Invece che governare i fenomeni, noi sono alcuni anni che mandiamo solo messaggi negativi: la musica si spegne a mezzanotte, non si può girare con le bottigliette in mano.

Erano un messaggio negativo anche i giovani sbandati ubriachi...

“Certamente, ma su cinquemila che c'erano al Marano saranno stati 500 gli sbandati, gli altri si divertivano. Con le generalizzazione si fanno solo disastri, non si risolve. Anche perché poi gli sbandati tornano lo stesso, lo si è visto anche quest'anno. Si sono divertiti poco e si sono accoltellati ugualmente. Non va bene. Bisogna invece lanciare messaggi positivi e governare le situazioni. Anche a me il Marano ha fatto paura qualche sera, la mia reazione è che la sera dopo ci andavo con il doppio degli uomini”.

I critici del Marano sostengono che quello era un tempio del mordi e fuggi, nessuna ricaduta positiva sulla città.

“Anche questa è una verità parziale. Arrivavano persone di tutte le estrazioni e di tutti i portafogli. Ce n'era una parte, anche consistente, che fruiva solo della notte, però qualcosa lasciava comunque. Consumava e pagava”.

Che immagine di sé sta proponendo oggi Riccione?

“Non quella di una città vivace, allegra e divertente. Passa invece un'immagine spenta, un po' elitaria che non assomiglia per niente all'identità vera di Riccione: far divertire insieme generazioni e classi sociali diverse”.

Valerio Lessi

 

 

 

 

 

 

Smettere di fare la Notte Rosa. Chiudere definitivamente con la fesseria del Marano. Allungare la stagione ma non con fiere e congressi, con i quali non si fa da nessuna parte. Occorre investire sulla spiaggia: piscine, aree attrezzate, un polo del benessere aperto nei mesi di marzo-aprile e settembre ottobre, eventi da realizzare sull’arenile. Vincenzo Leardini, imprenditore turistico con interessi diversificati (alberghi, spiaggia, agriturismo, ristorazione, catering) non nasconde le proprie idee forti sul rilancio del turismo a Riccione.

Parte da un’analisi: “Il turismo balneare tiene. Nelle mie strutture giugno è stato ai livelli dell’anno scorso, con qualcosa in più grazie al bel tempo. Maggio invece è stato sconfortante, a riprova della meteo-dipendenza della nostra offerta. A parte qualche week end di primavera, non abbiamo nulla per allungare la stagione”.

Nemmeno fiere e congressi?

“La grande promessa di fine anni 90 e inizio 2000, avere un forte turismo d’affari, non si è realizzata. La Fiera di Rimini, basta guardare il calendario, è occupata per appena 55-60 giorni all’anno. Fra le manifestazioni, mi risulta che ci sia solo il Sigep che riempie tutti i padiglioni. Le fiere portano poche presenze, non è come negli anni passati che con eventi come Pianeta Birra, o le defunte fiere dell’attrezzatura alberghiera e dell’alimentazione si riempivano le strutture. Per non parlare della delusione assoluta del Palacongressi che secondo i vari consulenti doveva portare fra le 600 mila e le 800 mila presenze e invece arriva appena a 200 mila. Anche quello di Riccione realizza la metà delle presenze di quelle preventivate. Secondo i vari business plan dovevano essere 150 mila all’anno, il 2018 si è chiuso con 86 mila. Il mercato è pesantemente condizionato dall’offerta di numerose strutture per congressi e dalla crisi che ha indotto molte aziende a tagliare questa spesa. Finita la stagione, il 15 settembre aprono le scuole e noi entriamo in una fase negativa”.

Nemmeno i numerosi eventi promossi dall’amministrazione comunale aiutano?

“Sono eventi che muovono il turismo del week end nei mesi di aprile e maggio. Se c’è bel tempo puoi contare sul cosiddetto turismo di prossimità. La terza corsia dell’autostrada e i treni Frecciarossa consentono che Riccione sia raggiungibile da Milano nel giro di due o tre ore. Cosa che non accade per le destinazioni del sud. L’amministrazione, grazie all’imposta di soggiorno, dispone di un importante budget. In una certa misura viene speso per l’ordinaria amministrazione (verde pubblico, ecc.), per il resto negli eventi. Le associazioni di categoria però non sono coinvolte. Più volte gli albergatori hanno proposto un tavolo tecnico ma non è stato realizzato, non c’è concertazione”.

Occorre puntare su un turismo di qualità. È quasi un tormentone nel dibattito riccionese. Secondo lei cosa è necessario fare?

“Innanzitutto, smettere di fare la Notte Rosa. Le categorie economiche già erano contrarie alcuni anni fa. È un evento che non ha senso, non è mai stato valorizzato con idee forti, tutto si è ridotto ad un concerto in piazzale Roma e a quattro palloncini rosa e due moquette negli alberghi. Una tristezza infinita. Addirittura gli alberghi migliori invitavano gli ospiti a non venire per quel week end: non venite perché troverete sbandati con la bottiglia in mano sulla spiaggia e nei giardini gente con il sacco a pelo. Inoltre, ci ha danneggiato la grande fesseria del Marano, una delle scelte scellerate del Pd di Riccione. Un conto è promuovere belle e grandi discoteche con servizi qualificati, un altro è pensare che un’area demaniale senza attrezzature possa diventare un polo del divertimento notturno a scapito delle discoteche in collina che avevano una storia e una immagine ed anche caratteristiche di sicurezza. Grazie al Marano hanno chiuso le storiche discoteche in collina e si è prodotto un inquinamento acustico che ha generato lamentele in tutta l’area”.

Il presidente della Confcommercio di Rimini, Indino, a proposito del silenzio imposto alla notte ha parlato di un’operazione Chianciano.

“Non è vero, venga Indino a vedere il mio stabilimento balneare, vi troverà fior di famiglie, fior di imprenditori. Abbiamo gente che viene per godersi il mare, se facciamola Notte Rosa o altre iniziative discutibili le allontaniamo”.

Però l’immagine di Riccione è sempre stata legata al divertimento notturno…

“Sì, ma un certo divertimento notturno è morto, basta considerare il caso di Operà, che ha aperto una notte e poi è stato chiuso perché non era in regola. Lo dice il bagnino Vincenzo Leardini: come fai a realizzare una discoteca sulla spiaggia quando io per fare un chiringuito di tre metri per tre ci ho messo dieci anni? Il mondo della notte va ripensato tutto, se è il mondo della cocaina, chiudiamo il libro prima di aprirlo. Devono essere gli imprenditori del settore a ripensare la notte in modo che sia compatibile con un moderno turismo di qualità”.

Per un turismo di qualità vanno ripensate anche le strutture ricettive, crede?

“In effetti, abbiamo molte strutture datate, risalenti agli anni ‘60 e ‘70, di piccole dimensioni e con servizi ridotti. Una strada nuova è quella dei condhotel, che è nata su mia sollecitazione per il Savioli. L’idea è stata introdotta nel novembre 2014 all’art.31 dello Sblocca Italia di Renzi, poi il decreto attuativo è arrivato a giugno 2018 e la Regione Emilia Romagna, che ci ha sempre creduto, ha emanato la sua norma nel giro i pochi mesi. È interessante perché permette di avere una quota di residenziale all’interno di immobili esistenti che necessitano di grossi investimenti. Consente di poter alienare il 40 per cento della vecchia superficie destinata alle camere permettendo così di finanziare una riqualificazione integrale dell’albergo”.

Ma lei cosa farebbe per rilanciare Riccione?

“Bisogna puntare su eventi e spiaggia. Il futuro è immaginare che la spiaggia possa diventare un luogo per eventi nei mesi di marzo aprile e settembre ottobre. Passare da una stagione di quattro mesi ad una stagione del benessere che dura otto mesi. Quindi piscine con coperture leggere, vasche idromassaggio, sauna e bagno turco nelle cabine, parchi divertimenti. La spiaggia che diventa un luogo dove giocare a paddle, tennis, golf. Se ci riduciamo solo al periodo giugno-settembre siamo finiti. Non abbiamo altri tipi di turismo su cui contare. Dobbiamo puntare tutto su una spiaggia che continua a vivere anche nelle mezze stagioni”.

Come lei ben sa la Soprintendenza è pronta a mettersi di traverso…

“La politica deve far capire alla Soprintendenza che a Riccione non basta un turismo di tre mesi. Mi dicono che sono un visionario. Però sono quello che nel 1989 andò in Comune a chiedere che fosse fatto il lungomare e nel 2008 è arrivato. Ricordo che l’ingegnere capo del Comune mi disse: Leardini lasci stare, lei vede troppi film americani. Sono stato il primo albergatore a prendere la spiaggia, il primo a realizzare un chiringuito, il primo a fare le piscine, tanto che Maurizio Melucci mi chiese: ma come hai fatto a fartele autorizzare? Quello che dico non è un pensiero campato per aria, si basa su ciò che ho realizzato”.

Valerio Lessi

Trent’anni fa la Rivera di fronte alla sfida delle mucillagini ebbe la capacità di reagire. E oggi, quali sono le sfide che il sistema turistico locale deve vincere per essere all’altezza della domanda contemporanea? Giriamo la domanda a Maurizio Ermeti, oggi presidente del Forum del Piano Strategico, albergatore da sempre e, da più di un decennio, anche presidente dell’associazione.

“Di fronte alle mucillagini, un’emergenza improvvisa, sconosciuta, scioccante – risponde Ermeti - si è data una risposta istintiva, improvvisata. Si è cercato di contenere un danno del quale neppure si conoscevano le cause e nemmeno erano chiari i rimedi. Non era come se fosse caduto un ponte che si poteva ricostruire. Non si sapeva se quel bene primario che è il mare sarebbe tornato nelle condizioni normali. La Riviera in quegli anni viveva esclusivamente del turismo balneare. Era il periodo in cui la domanda era prevalente sull’offerta, Rimini era riconosciuta a livello internazionale come una destinazione di successo. Le mucillagini sconvolsero questo assetto e determinarono soprattutto il crollo della domanda straniera”.

E in cosa è consistita quella che lei ha chiamato una reazione istintiva?

“Si sono presi provvedimenti immediati, come fare le piscine negli alberghi, spesso piccole e inadeguate. Si è poi puntato sul mondo della notte, sui parchi tematici di divertimenti. Si è insomma cercato di guardare oltre il mare, di inventarsi prodotti nuovi e diversi perché non c’era la certezza che il mare sarebbe tornato una risorsa disponibile. Ancora non si sapeva che il fenomeno non dipendeva dall’inquinamento ma aveva cause naturali”.

E trent’anni dopo la Riviera è pronta per affrontare le nuove sfide?

“Secondo me c’è una differenza fondamentale rispetto a trent’anni fa, ovvero il fatto che Rimini, da anni, ha preso coscienza che, per poter cavalcare per altri decenni la scena del turismo nazionale e internazionale, occorreva intraprendere un percorso improntato a una visione efficace nel medio-lungo periodo. Per questo è stato avviato un piano strategico in grado di concepire una città che fosse adeguata e coerente con le sfide poste dalla contemporaneità. Il piano strategico ha offerto una visione di sviluppo che mette a valore i punti di forza del nostro territorio. Rimini, infatti, dispone di una piattaforma logistica che non ha uguali, grazie alla capacità di accoglienza, all’organizzazione dei servizi, al sistema fieristico-congressuale. Da questi punti di forza si può immaginare un forte rilancio della nostra capacità competitiva”.

In concreto cosa significa?

“Sono state compiute alcune scelte radicali. Innanzitutto, quella di salvaguardare la qualità delle acque del mare con un grande progetto, unico in Italia, che consentirà di non riversare più acqua sporca nel nostro mare. Sappiamo tutti, infatti, come la sensibilità ambientale sia un argomento sempre più sentito nella scelta della destinazione di vacanza. Parallelamente a questo, si è deciso di riqualificare complessivamente il waterfront, con un grande cambiamento fisico della nostra destinazione, che toglie al lungomare tutti gli elementi di urbanizzazione massiva che hanno caratterizzato negli anni anche il nostro fronte mare (traffico, rumore, smog, pericolosità, ecc..) per fare spazio a una nuova infrastruttura ambientale – un parco urbano, per l’appunto – dove verde, percorsi ciclo-pedonali, strutture per lo sport, relax e sicurezza consentiranno alle persone di godere di un ambiente profondamente improntato alla qualità della vita, al benessere, alla cura del corpo. Questo elemento, oltre ad essere un prodotto in sé e per sé, rappresenta anche uno straordinario elemento di comunicazione che consente a Rimini di emanciparsi dagli stereotipi che nel tempo l’hanno connotata”.

Quindi il Parco del Mare, di cui ancora non si è visto nulla, è sufficiente a rilanciare il turismo riminese?

“Come dicevo, il Parco del Mare è l’infrastruttura logistica in grado di aggiungere qualità al soggiorno. Da qui si può partire per aggiungere alla tipica offerta balneare una serie di nuove esperienze come quelle legate all’offerta culturale che Rimini è in grado di proporre, anche grazie agli interventi di riqualificazione urbana che hanno caratterizzati il centro storico. A ciò si aggiungono la straordinaria offerta paesaggistica, culturale ed enogastronomica del nostro entroterra e la straordinaria posizione di Rimini rispetto ad alcune delle più importanti mete turistiche italiane. Questo ci pone nella condizione di affrontare una nuova sfida, ovvero quella di intercettare un nuovo pubblico mosso da interessi anche diversi da quelli tipici della vacanza balneare, e ci consente di promuovere il nostro prodotto su mercati anche molto più lontani da noi che cercano esperienze di soggiorno in Italia alternative alle mete più tradizionali”.

Vuol dire che Rimini deve intercettare quello che è stato chiamato il turismo delle esperienze?

“Si è un po’ abusato del tema “turismo esperienziale”. Ma, al di là di tutto, c’è un fondo che rimane valido: le persone oggi mirano a trascorrere il loro tempo libero coltivando i loro interessi, le loro passioni, e a creare relazioni con il luogo visitato. Soprattutto su questo ultimo punto, ovvero la capacità di creare relazioni, Rimini può giocare una partita vincente in un mondo in cui, invece, l’individualismo tende a farla da padrone. La sfida di Rimini deve, dunque, essere quella di personalizzare la propria offerta rispetto alle esigenze di vacanza dell’ospite”.

Lei ha insistito sugli aspetti pubblici della riqualificazione, ma non c’è un tema urgente che riguarda le strutture alberghiere? Per la maggior parte non sono inadeguate alla nuova domanda di turismo?

“Vero. Anche se già molti alberghi hanno intrapreso la strada della riqualificazione, c’è però bisogno di un adeguamento che non tocca solo le strutture ricettive, ma anche la ristorazione, gli stabilimenti balneari e, più in generale, il sistema dei servizi che il territorio offre. Per favorire questo cambio di rotta, è indispensabile innescare un clima di fiducia che porti a compiere nuovi investimenti. Rimini ha, infatti, coinvolto gli operatori privati nel Parco del Mare, ottenendo fino ad oggi un riscontro positivo. Ora è il momento di dare segnali concreti del cambiamento che sta arrivando. Sono fiducioso che, vedendo partire le opere di riqualificazione anche della parte pubblica, possano cadere tutti i tabù, dando spazio agli investimenti. Per fare in modo che questo accada è indispensabile che si realizzi una speciale alchimia. Da una parte, la spinta pubblica, che ritengo stia dimostrando la propria forte determinazione; dall’altra, i privati che devono, però, contare sul supporto delle istituzioni, con finanziamenti dedicati per la ristrutturazione e riqualificazione, come quelli previsti dalla Regione insieme a Cassa Depositi e Prestiti. Assieme a questo, serve agire sul fronte della semplificazione. I tempi per ottenere le autorizzazioni non possono essere lunghi. Parallelamente, il “cappio” burocratico che grava sulle concessioni balneari, ancora non risolto, sta facendo pagare gravemente le sue conseguenze. Si tratta, quindi, di una macchina articolata e complessa che deve mettersi in moto e funzionare efficacemente, ma sono fiducioso, perché il volano è avviato e penso che Rimini non si farà scappare questa occasione. Nella immobilità generale in cui ristagna il prodotto italiano, l’iniziativa di Rimini può essere uno “choc”. Abbiamo, infatti, la possibilità di un rilancio, questa volta intelligente e non istintivo, che duri nel tempo”.

«I quarant'anni del Meeting? Sono stati anni in cui parole come incontro, dialogo, identità, costruzione comune, bellezza, creatività non sono stati solo temi di dibattito, ma esperienze condivise tra centinaia di migliaia di persone». Così Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione Meeting per l'amicizia fra i popoli, sulla manifestazione che quest'anno avrà come titolo "Nacque il tuo nome da ciò che fissavi", tratto da una poesia di Karol Wojtyla.

Martedì 2 luglio alle 18 a Roma nella sala conferenze dell'Associazione Stampa estera in Italia la quarantesima edizione del Meeting è stata presentata da Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, monsignor Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, da Enrico Giovannini, portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, e dalla presidente Emilia Guarnieri. Da Parigi si è collegato Enrico Letta, presidente dell'Istituto Jacques Delors.

«Il titolo del Meeting di quest'anno 'Nacque il tuo nome da ciò che fissavi' indica un'urgenza», ha esordito Emilia Guarnieri, «l'urgenza di persone che hanno un nome, un'identità certa e consapevole della propria irriducibile natura di uomini. Indomabili nel difendere questa natura prima delle proprie idee». Secondo la presidente del Meeting «oggi non è ragionevolmente immaginabile costruire benessere, convivenza e democrazia senza ricostruire relazioni ad ogni livello tra le persone. Anche il Meeting vuole contribuire a questo, favorendo occasioni di dialogo, di incontro, di valorizzazione delle socialità intermedie e mostrando esempi positivi in atto».

Il sottosegretario alla Presidenza con delega allo sport Giancarlo Giorgetti, già presente al Meeting 2018 nell'ambito dell'Intergruppo per la Sussidiarietà (confermata la presenza anche per questa edizione), oltre a rallegrarsi per il quarantesimo anniversario della manifestazione, si è soffermato sul tema sportivo, che quest'anno al Meeting ha un rilievo superiore alle precedenti edizioni, con la presenza di numerosi campioni. Giorgetti ha ricordato le riforme che il governo ha introdotto nel mondo e nell'organizzazione dello sport e ha ricordato i traguardi raggiunti, ultimo dei quali la vittoria di Milano e Cortina per le Olimpiadi invernali 2026.

«In 40 anni il Meeting è stato luogo di incontro e di costruzione di ponti. Il Meeting ha aiutato il dialogo e contribuito a rompere le diffidenze a livello europeo e mondiale», le parole di Enrico Letta. «Oggi che i muri hanno ripreso ad alzarsi e la voglia di dialogo è più debole rispetto allo scontro e all'affermazione di sé, c'è bisogno in Europa come in Italia di più Meeting. Lo spirito del Meeting deve diffondersi e abbattere i nuovi muri, a partire da questo nuovo clima di ostilità, interno all'Europa, tra Est e Ovest. Come negli anni Ottanta quando, attorno alla magnifica avventura umana e cristiana di Giovanni Paolo II, il Papa polacco, il Muro tra Est e Ovest cominciò a sgretolarsi. Con lo stesso spirito bisogna combattere i nuovi muri e far vincere lo spirito di dialogo». In sintonia anche le dichiarazioni di monsignor Zuppi, che nel suo intervento ha fornito alcuni spunti sul titolo del Meeting e sul valore di questo evento nel contesto culturale e generale e in particolare nella situazione della Chiesa oggi.

«Il Meeting è da sempre una straordinaria opportunità per riflettere sul presente e il futuro dell'Italia e del mondo», ha aggiunto Enrico Giovannini. «L'attenzione posta nell'edizione di quest'anno sui temi dello sviluppo sostenibile non solo è giustificata dalla gravità della situazione attuale e dai rischi di catastrofi che gli scienziati sottolineano, ma coglie la necessità di un cambio di paradigma dell'attuale modello di sviluppo, come ha sottolineato tante volte Papa Francesco».

Domenica 18 agosto l'incontro inaugurale della XL edizione del Meeting per l'amicizia fra i popoli vedrà la presenza della seconda carica dello Stato: il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Il giorno seguente l'approfondimento sul tema del Meeting "Nacque il tuo nome da ciò che fissavi" sarà svolto da Guadalupe Arbona Abascal, docente di Letteratura spagnola e di Letteratura comparata e scrittura creativa all'Università Complutense di Madrid. Domenica 18 e lunedì 19 saranno anche i giorni in cui andrà in scena "Midnight Barabba", spettacolo inaugurale del Meeting 2019, nel Teatro Galli di Rimini, riportato di recente al suo antico splendore.

Anticipazioni sul programma del Meeting 2019

“Molto favorevole” all’avvio di un nuovo corso di laurea in Medicina in Romagna si dichiara l’on. Jacopo Morrone, sottosegretario alla Giustizia. “Ho letto e molto apprezzato le dichiarazioni del rettore dell’Alma Mater, Francesco Ubertini, che afferma di vedere possibilità di sviluppo per una scuola di medicina in Romagna e, a breve, ci incontreremo per valutare la fattibilità di questo progetto. Vedremo in seguito quale potrà essere la collocazione ideale, se Forlì o Ravenna. Ciò che importa ora è sedersi attorno a un tavolo con tutti i soggetti coinvolti per delineare un progetto, con le necessarie risorse e spazi adeguati. Ma questo non ci spaventa perché siamo convinti che si possa realizzare senza troppe difficoltà”.

Trent'anni fa, l'8 luglio 1989, l'Adriatico fu coperto dalle mucillagini. "La nostra Riviera, quell’anno, e la sua industria turistica, ha dichiarato il sindaco di Rimini Andrea Gnassi -  toccarono con le mani come il mare non fosse (e non sia) una risorsa naturale infinita, semmai fragile, da curare con attenzione e non trascurar per disinteresse. Proprio l’8 luglio di 30 anni fa, le cronache e le immagini dipinsero il quadro lunare di un mare immobile e limaccioso, la disperazione di operatori e turisti, l’affannarsi di istituzioni e esperti per mettere in piedi in fretta e furia soluzioni senza capire bene la natura del problema. Quando si parla di anno orribile per il turismo locale, forse bisogna partire dai numeri: se ancora nel 1987 le presenze estere ammontavano al 36 per cento del totale, nel 1990 queste crollavano al 21 per cento, perdendo più di un giorno di permanenza media (da 8,7 a 7,3 giorni). Di quei difficili momenti, in cui tutto pareva perduto, in tanti ancora hanno ricordi intensi. Ma quello che emerse immediatamente dopo fu la straordinaria capacità della nostra gente di non cedere al fatalismo e reagire a quello che qui più o meno equivaleva al crollo della Borsa americana nel 1929. Il lavoro sulle infrastrutture dello sviluppo, a partire da Rimini Fiera, sul mondo della notte, su un’analisi non banale della situazione, cercando di anticipare un cambiamento già in atto precedentemente al 1989 nel modo di fare vacanza, ha consentito- cosa non scontata- a Rimini e alla Riviera romagnola di non scomparire e anzi di confermarsi leader in Italia nel settore strategico dell’ospitalità (la Riviera di Rimini è oggi al secondo posto  in Italia per presenze turistiche, dietro Roma, e davanti a Venezia, Firenze e Milano)".

Gnassi mette in relazioni questo anniversario con quello della caduta del Muro di Berlino. " Un mondo nuovo all’improvviso, nel mondo e sotto casa nostra. A 30 anni di distanza è evidente come molte di quelle speranze siano andate deluse. I muri, ogni tipo di muro, vengono tirati su, la ricchezza è concentrata sempre più nelle mani di una esigua minoranza di persone, la preoccupazione verso l’ambiente viene ignorata se non addirittura pubblicamente sbeffeggiata. Ma Rimini, ancora una volta, dà una scossa in controtendenza. Dopo 30 anni, Rimini non smette la sua leadership, ha strutturato e rinforzato la sua capacità di essere capitale delle vacanze per 12 mesi all’anno. E torna a guardare al mare, a cui inconsciamente aveva ‘voltato le spalle per sopravvivere’ quell’8 luglio. Il Piano di salvaguardia della balneazione è entrato nella fase avanzata della sua realizzazione, anche simbolicamente, quel primo belvedere che verrà aperto tra pochi giorni in piazzale Kennedy segna l’atteso ritorno del ‘guardarsi negli occhi’ tra riminesi e il proprio mare. Ma quello che conta davvero è la lezione di quella nerissima estate 1989: la straordinaria capacità di reazione della nostra gente, l’intuizione e l’elaborazione di una strategia sotto una pressione insopportabile, la preoccupazione (oggi a quanto pare tiepida o addirittura assente nella politica nazionale e internazionale) verso la fragilità dell’ambiente. Il turismo vive di relazioni e non solo di connessioni: e anche adesso, come nel 1989, stiamo reagendo alla paura investendo sul risanamento ambientale, sulla cultura e sulle piazze come quel Parco del Mare i cui lavori partiranno tra due mesi.  Io vedo che la città che sta procedendo adesso con i suoi investimenti nell’ambiente e nella cultura è la degna erede di quella Rimini che non si è arresa allora e non si arrenderà domani.”.

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Dopo le mucillagini, la Riviera ha puntato sul mondo della notte. È la lettura semplificata che normalmente si fa della svolta maturata trent'anni fa, quando quell'8 luglio 1989 sembrava voler cancellare decenni di turismo riminese. Pier Pierucci oggi si ocupa di comunicazione e marketing per Aquafan, ma ha un passato nel mondo della notte. “Sulla notte – precisa – non è stato fatto alcun investimento pubblico. La notte, come si dice oggi per il web, è cresciuta organica, non ha avuto alcuna spinta. È chiaro che le politiche pubbliche hanno creato l'humus in cui potesse, crescere. All'arrivo delle mucillagini la notte c'era già, anzi aveva bisogno di riconvertirsi”.

Come era la notte in Riviera negli anni Ottanta?

“La notte era quella di Gianni Fabbri, quando un locale da ballo era un rotocalco, qualcosa che evidenziava la contemporaneità. Nella discoteca potevi far vedere le tendenze del momento. Nel linguaggio della notte poteva entrare di tutto: potevi organizzare una mostra fotografica in un locale da ballo e andava bene, adesso avrebbe invece bisogno di spazi e contesti specifici. Allora invece si accettava che la notte contaminasse tutto. I primi anni Ottanta erano quelli dell'edonismo reganiano, della cultura della Coca Cola evocata a proposito dei famosi “palloni” di Vittoria Cappelli sul porto. Si parlava di effimero, ma non era tale, era una subcultura, un processo estetico. In quegli anni è nato ciò che l'Eurisko poi sanzionò a metà degli anni Novanta: se volete vendere i vostri prodotti, cominciate ad uscire quando si accendono le luci. Bisogna cioè vivere la notte per capire qual è il mercato dei desideri nel mondo in cui siamo”.

E lei cosa faceva negli anni Ottanta?

“Nel 1982 facevo l'obiettore di coscienza all'Arci e riorganizzai lo Slego, che era stato abbandonato per un contrasto fra la Casa del popolo e in ragazzi che lo gestivano. Poi sono stato impegnato in Onu, insieme a Riccardo Fabbri e a Moreno Neri e molti altri. Con Onu abbiamo fatto attività imprenditoriale, gestito locali. Negli anni Ottanta, prima grazie alle radio libere e poi alla notte, ci sono stati stati ventenni che sono diventati imprenditori, che hanno trasformato una passione di un mestiere. Un po' come accade adesso con il web”.

Torniamo alle mucillagini. Come era il mondo della notte quando apparvero?

“Le discoteche non erano affatto al top, anzi erano messe in discussione. C'era la pressione delle stragi del sabato sera. Io dicevo che erano un falso problema, ma comunque un problema lo erano. C'erano 200 morti all'anno, tantissimi, anche se nessuno diceva che i morti sulle strade erano allora 7.000. C'era un evidente problema di educazione stradale. Anche il fenomeno dello sballo era fortissimo. In quegli anni stava uscendo il fenomeno della musica techno, dei rave party, degli after hours. All'inizio degli anni '90 esplose il fenomeno del Cocoricò. Si può dire che, dopo il balneare, l'elemento di identità della Riviera che, nel bene e nel male, più è passato al grande pubblico, è stata la notte. C'era allora un'offerta di 140 locali”.

Che caratteristiche aveva quel mondo della notte?

“Erano discoteche in cui andavi e avevi due possibilità di scelta: o le vivevi o guardavi alla finestra, in ogni caso facevi un'esperienza. Potevi essere il cliente ideale che tira tardi, bottiglie, tutti i vizi del mondo, un animale notturno, insomma. Avevi un'estetica per cui era importante alzarsi a mezzogiorno e fare il racconto delle avventure notturne. Poi c'erano quelli che erano semplicemente incuriositi, che volevano vedere, sapere. Ancora di più se tirava l'ormone. Un po' come per l'Expo di Milano, in quanti si sono mossi solo per vedere cosa lì succedeva? Possiamo dire che la Riviera in quegli ani è stata come l'Italia per gli albanesi, una scoperta da fare”.

Erano gli anni della trasgressione...

“Certamente le discoteche hanno cavalcato la tigre della trasgressione, con tutte le conseguenze che quella tigre ha portato. Il punto erano i comportamenti a rischio. Fare mattina non è un problema in sé, ma solo se alle cinque poi decide di metterti in autostrada per andare a un after hours a chilometri di distanza”.

Alla fine è stato un boomerang.

“Le discoteche non curavano più il prodotto, hanno cercato di sopravvivere, di respingere gli attacchi. Solo qualcuno lo ha fatto, il Cocoricò, puntando su una offerta artistica di livello. Invece di fare un salto di qualità, hanno forzato la loro proposta per andare incontro ad un pubblico sempre più giovane perché quella era la domanda forte che veniva dal mercato. Finché a fine anni Novanta ci si è accorti che in discoteca andavano solo quelli di 20-22 anni”.

Dopo la crisi delle mucillagini cosa è successo?

“Sono nati alcuni fraintendimenti. Si pensava che realtà come Aquafan ne fossero avvantaggiate perché c'erano le piscine. In realtà con meno turisti in Riviera tutti lavoravano meno. Già negli anni Ottanta era andato in crisi il modello albergocentrico: il turista che scegli un albergo e tutto ciò che c'è lì vicino, dalla spiaggia al bar. Abbiamo cominciato ad avere turisti che si muovevano seguendo degli interessi, dei segni in cui si identificavano. La leggenda raconta che la discoteca che forniva più clienti al Grand Hotel di Rimini era il Cocoricò. C'era gente che faceva chilometri e viaggi per vedere un locale al top. Dopo le mucillagini la notte è arrivata nelle pagine delle brochure perché non se ne poteva fare a meno. Però, non si è mai enfatizzato che il divertimento notturno era un driver strategico della Riviera. Quando la notte ha cominciato a tentennare, il discorso finalmente è venuto fuori, prima no”.

Quando è arrivata la crisi?

“La crisi è arrivata alla fine degli anni Novanta quando nessuno si è più posto la domanda dove andiamo stasera, una domanda che prima si faceva a qualsiasi ora. La domanda non veniva più posta perché si stava già bene dove si era. Sul divano, al ristorante, con gli amici. La notte alla fine degli anni Novanta è tornata ad essere quello che è sempre stato, il luogo dell'intimità”.

E oggi?

“Ciò che oggi emerge è che i city users cercano destinazioni dove si vive una buona qualità della vita. I turisti non vogliono andare in un territorio per turisti, ma dove si vive bene. Quindi non bisogna sbagliare strategia. La domanda non è cosa faccio perchè la notte tiri, ma cosa faccio per cittadini e city users. L' offerta della notte ha senso se c'è questo. Se ho dieci Cocorico e niente altro, non succede niente. Se ho una destinazione che fa una promessa ed è capace di mantenerla, ci vado”.

 

Valerio Lessi

“Quell'anno è stato certamente una mazzata, soprattutto a livello psicologico. Perché i bilanci erano certamente in calo ma nessuno è fallito, nessuno ha chiuso l'albergo perché c'erano state le mucillagini. L'anno dopo l'attività è ripresa”.

Giorgio Paesani, figura storica del turismo riminese, dal 1976 al 1989 direttore di Promozione Alberghiera, offre una lettura diversa del grande dramma che la Riviera visse a partire dall'8 luglio 1989 quando il mare su coperto da una vischiosa gelatina giallognola. Secondo lui è non è stato lo spartiacque epocale di molte interpretazioni. “Quell'anno – ricorda – ero uscito da Promozione Alberghiera e gestivo l'Hotel Duomo, in centro. Con la barca di un amico andammo a fare un giro in mezzo a quella melma. Un vero disastro. Anche perché non si sapeva quali fossero le cause. Si pensa all'inquinamento, poi emerse che era un fenomeno naturale. Qualcuno se ne andò, qualcuno non venne, ma non ci fu un tracollo. E l'anno dopo, ripeto, si è ricominciato”.

Molti altri osservatori ricordano che il colpo mortale fu sul turismo estero, un dimezzamento delle presenze, tedeschi e nord europei che ci hanno abbandonato. “Sì, ma la crisi sul mercato estero era già cominciata. Da una parte dipendeva dalla nostra incapacità di fare una promozione efficace. Soprattutto gli enti pubblici erano carenti e noi privati non riuscivano a supplire le loro mancanze. Dall'altra, la novità era la concorrenza, Spagna, Grecia e in seguito tutti gli altri Paesi del Mediterraneo. Da un giorno all'altro il prodotto dei nostri alberghi era invecchiato. I grandi tour operator europei cercavano grandi strutture da centina di camere, con piscine, servizi. Lo sviluppo del trasporto aereo aveva avvicinato località un tempo lontane, e proprio in quegli anni il nostro aeroporto cominciava a perdere colpi. Quando mi chiedevano come era andata la stagione, rispondevo che era andata un po' meglio di quella dell'anno prossimo”. Un paradosso che rende l'idea del cambiamento d'epoca: da indiscussa capitale balneare a località in concorrenza con altre. Paesani è un pozzo di ricordi e di aneddoti. A proposito di turisti stranieri, ricorda che all'inizio degli anni Sessanta un tour operator che portava norvegesi disse a suo padre che ci volevano i bagni in camere e l'acqua calda. “Passi per i bagni, ma l'acqua calda in estate per noi era inconcepibile”. Per far arrivare i norvegesi, il tour operator si accollò le spese dell'investimento, che poi detraeva dalle presenze che doveva pagare. Da un certo momento in poi neppure questi accordi furono sufficienti a far arrivare turistici dal nord europea. Ci volevano le grandi strutture e in Riviera non c'erano.

Le mucillagini però indussero molti hotel a ristrutturare, grazie anche alla legge Carraro-Vizzini. “Lasciamo stare. – scrolla la testa Paesani – La Carraro-Vizzini è stata un disastro, molti operatori ci hanno rimesso l'Hotel. L'ho usata anch'io per il Duomo e so di cosa parlo. L'istruzione della pratica già costava un sacco di soldi. Quando poi ricevevi un finanziamento, pagavi il tasso di interesse stabilito, anche se nel frattempo sul mercato si erano abbassati. Quindi per dieci anni pagavi un tasso maggiore di quello che avresti ottenuto agendo privatamente. Io me la sono cavata perché avevo chiesto una piccola somma, però altri ci hanno lasciato le penne”.

Eppure c'è stata la corsa a chiedere i finanziamenti. “Perché non si era capito bene il meccanismo. Comunque è stato avviato un processo di riqualificazione. “C'è stata anche la corsa a fare la piscina, anche se piccola. Per fortuna sono state cassate idee balorde come quelle di chi voleva fare una grande piscina, dalle scogliere alla battigia. Gli alberghi con il tempo sono cambiati, ma non per merito della Carraro-Vizzini. Hanno ridotto il numero delle camere e allargato i bagni. Un tempo ridurre il numero delle camere sarebbe sembrata una bestemmia, invece la scelta ha pagato. Si è capito quello che diceva sempre Aureliano Bonini: in vacanza uno vuole stare meglio che a casa sua. E a casa sua sta bene”.

Le mucillagini sono state anche una spinta verso la politica di destagionalizzazione. “Sì, ma questa era già cominciata prima. Promozione Alberghiera era stata all'avanguardia. Ci sono stati tre geni che hanno posto le basi del turismo del futuro: Marco Arpesella, Nicola Sanese e Luciano Chicchi. Loro tracciarono il solco e noi nei tredici anni successivi abbiamo proseguito su quella strada. Quel che facevamo noi in Promozione Alberghiera poi si stendeva a macchia d'olio in tutta la Riviera”.

Giorgio Paesani offre la sua interpretazione su cosa è avvenuto dalle mucillagini ad oggi: “Gli albergatori bravi sono andati avanti, i somari sono rimasti al palo. Quelli bravi lavorano come prima, più di prima. Hanno riqualificato, curano l'accoglienza e l'ospitalità, sono attenti alle esigenze del cliente e al mantenimento della struttura, applicano le moderne attività di marketing, anche attraverso Internet.. Mi chiedo perché la gente continua a venire a Rimini quando da altri parti c'è un mare stupendo? Significa che siamo bravi, che resiste la nostra diversità. L'ospitalità è nel nostro Dna. Forse non siamo più un modello ma ancora stiamo a galla. Per questo dico quest'anno un po' meglio del prossimo”.

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