“Io? Il posto più lontano dove sono stato è Brisighella, dove ho conosciuto Vincenzo Cammerucci”. Un incontro che a Fabio Rossi, chef del ristorante Vite a San Patrignano, stella Michelin ai tempi dell’Acero Rosso al borgo san Giuliano a Rimini, ha cambiato la vita o meglio la prospettiva che appena ventenne ne aveva.
“Quando ho iniziato la scuola alberghiera a Riccione, un po’ l’ho fatto perché mi piaceva cucinare, un po’ però anche perché non avevo le idee chiare su cosa avrei fatto da grande”. L’incontro con Cammerucci, per cui Rossi è andato a lavorare finita la scuola, le idee gliele ha chiarite. “La passione per la cucina è cresciuta sempre di più (e davvero oggi non rimpiango nulla)”, fino a portarlo all’apertura di un ristorante tutto suo assieme a suo cognato a Rimini. “L’Acero Rosso. Lì è arrivata la prima stella Michelin a Rimini”, dice con un pizzico di orgoglio. “E’ arrivata per lo stile e la filosofia della nostra cucina, in quegli anni, in realtà, poco comune in città”.
Tra i frequentatori dell’Acero Rosso ce ne è uno in particolare che sceglie Fabio, la sua umanità e la sua classe tra i fornelli, per un progetto speciale. E’ Andrea Muccioli che a un certo punto gli chiede di gestire Vite per una prossima apertura al pubblico, “prima funzionava come laboratorio interno alla comunità”. Un’avventura, quella a SanPa, che inizia nel 2008. “Andrea cercava qualcuno in grado di tradurre la loro filosofia in un’esperienza gastronomica”. E ha trovato Fabio.
“Vite è ancora oggi una grande sfida, un’esperienza complicata e complessa, ma dà davvero grandi soddisfazioni”. E’ che Fabio gode di una manodopera speciale, gli ospiti della comunità terapeutica per tossicodipendenti della collina riminese, fondata da un altro Vicenzo, Muccioli. Una manodopera che definisce il luogo, per molti occasione di rivalsa, ma non per tutti. “I ragazzi che arrivano ci mettono tutto l’impegno, altri proprio non ne hanno voglia, alcuni hanno voglia ma sottovalutano l’impegno che necessita il lavoro in cucina. Poi capita che un ragazzo scopre una grande passione e diventa bravo. Ne abbiamo mandati diversi in tanti ristoranti a Rimini e in tutta Italia, anche a Milano”. Qui scatta l’orgoglio della paternità cuoca. E un pizzico di commozione. “Sono soddisfazioni”.
E’ arrivata l’ora di chiedergli una ricetta, quella di una caprese ‘stupefacente’. Nella forma e nel gusto. Per carità, mai nella sostanza.
Si inizia con la crema di mozzarella. Servono: 400 grammi di mozzarella di bufala, 200 grammi di panna, 0,8 di procrema, sale. “Si frulla la mozzarella con il sale, si montare la panna con il procrema, si uniscono i due composti”.
Si passa al pesto di basilico. Servono: 50 grammi di basilico in foglie, 30 di parmigiano, altrettanti di olio extravergine, 10 di pinoli tostati, sale. “Frullare tutto insieme e passare al setaccio, colare in piccoli stampi di silicone e congelare”.
Per la glassa di pomodoro servono: un chilo di pomodori maturi, 50 grammi di gelatina vegetale, sale e pepe. “Tagliare i pomodori a pezzi e frullare, passare la polpa al colino fine e mettere in pentola. Aggiungere la gelatina vegetale in polvere e portare ad ebollizione”.
Infine, il crumble di olive. Si prepara con 50 grammi di olive nere disidratate e 100 di pan carrè senza crosta, un pizzico di sale. “Frullare le olive nere disidratate con il pane e sgranare, lasciare seccare a 50 gradi”.
Una volta pronte tutte le componenti della ricetta bisogna metterle insieme per creare un piccolo e rosso pomodoro. “Mettere la crema di mozzarella in un sac a poche, versarne 30 grammi su di un foglio di pellicola, inserire al centro il pesto di basilico congelato e chiudere i 4 lembi formando un saccottino, mettere in congelatore”.
“Quando sarà ben duro scartarlo e immergerlo nella purea di pomodoro calda, creando così una pellicola di pomodoro all’esterno, lasciare scongelare in frigorifero fino al momento di servirla”.
Sul piatto, “mettere un cucchiaio di crumble d’olive, adagiare il pomodoro, decorare con una foglia di basilico, aggiugere sale a scaglie e un filo d’olio extravergine”.