Copione rispettato giovedì sera per l’assemblea generale dei soci Carim. Sia nei toni, ancora molto accesi, con accuse e invettive rivolte dalla platea alla tribuna dei relatori (fino all’invito esplicito al presidente della banca ad andarsene ‘per sempre’); sia nei contenuti, con una sfiducia verso il management ormai senza appello e sempre più esasperata.
Un clima nel quale non stupisce neanche l’annuncio della presentazione di nuove citazioni in Procura. Azioni, al di là del loro sviluppo, dal sapore un po’ grottesco, destinate a perpetuare polemiche tutte riminesi quando “la Cassa” di Rimini, come tale, invece non esisterà più; magari una sorta di memento riguardo alle scelte politiche e lobbistiche, invece che professionali, che hanno segnato una lunga stagione cittadina (quasi il corrispettivo privato della vicenda Aeradria), oltre a un certo provincialismo per il quale gestire una banca, via, non sarà più difficile che gestire un bagno al mare (o un aeroporto).
L’assemblea è comunque riuscita a votare e approvare la proposta della Fondazione che modificava in parte l’ordine del giorno per il quale era stata convocata: “attribuire al consiglio di amministrazione la delega ad aumentare il capitale sociale, a pagamento o gratuitamente, in una o più volte, anche in via scindibile, per un importo massimo complessivo di ottanta milioni di euro, da esercitare entro il 31 dicembre 2017.”
In sostanza, si trattava di trovare per tempo un rimedio al sempre più precario stato patrimoniale della Banca o, come recita il comunicato stampa successivo all’assemblea, di poter “mantenere il rispetto dei minimi regolamentari dei coefficienti patrimoniali”.
Detta in modo più chiaro, i famosi indici trimestrali con cui le banche sono tenute sotto osservazione da Banca d’Italia si sono pericolosamente avvicinati alla soglia minima critica sotto la quale un istituto o immette nuovo capitale o deve immediatamente smettere di operare. In particolare, i coefficienti patrimoniali segnalati a Banca d’Italia al 30 giugno evidenziano una situazione non esattamente positiva: il CET1 Ratio si attesta al 6,53% contro il 7,80% richiesto da Bankitalia, il Total Capital Ratio all’8,13% contro l’11,30% e il Tier1 Ratio al 6,53% contro il 9,30%.
Ma ancora di più si tratterà di capire se siamo davanti a un trend negativo inarrestabile o meno; un interrogativo che renderà comunque la prossima rilevazione particolarmente delicata e forse decisiva.
In realtà, dal punto di vista pratico, tutto rientra nel destino ormai scritto della Carim. Non a caso, l’aumento di capitale autorizzato è riservato al solo Fondo Interbancario, secondo quanto già previsto nel percorso per la cessione di Carim a Cariparma. Diversamente dal piano fatto a tavolino, cominciano però a diventare dirimenti i tempi della sua attuazione (e qui si rientra anche nella polemica di questi giorni tra Quaestio e Cariparma); sia per quanto riguarda i tempi di reperimento del denaro aggiuntivo necessario allo smaltimento dei crediti deteriorati ricalcolati, sia, da oggi ufficialmente, per i tempi di resistenza di una banca ‘in mezzo al guado’.
Non è un caso che proprio questa sia l’accusa più insistente (anche l’altro giorno in assemblea) che i soci rivolgono al management della Banca; sul fatto cioè che si sarebbe potuto fare qualcosa di più in questi ultimi anni, non per evitare la vendita della Carim, ma almeno per ‘fare banca’, per avviare una nuova stagione di rapporto con il territorio (che avrebbe anche potuto condizionare i comportamenti dei nuovi proprietari) e non solamente aspettare l’inevitabile.
Infine, al di là delle loro conseguenze pratiche, queste deliberazioni evidenziano un forte valore simbolico cominciando a rendere più percepibile a tutti il destino della Cassa. La Fondazione infatti, votando in assemblea la proposta di ricapitalizzazione, ha accettato di fatto e in modo definitivo di perdere il controllo della Carim. Alla prossima riunione, già preannunciata per la fine di settembre, il padrone della Cassa di Risparmio di Rimini potrà essere già il Fondo Interbancario.