Quanti accusano papa Francesco di essere in qualche modo populista (retaggio della sua origine e cultura sudamericana), dovrebbero prestare attenzione al discorso pronunciato ieri a Cesena. L’intervento, dedicato alla politica, ha avuto eco sui giornali e sulle televisioni soprattutto, o quasi esclusivamente, per il passaggio, pronunciato a braccio, dedicato al tarlo della corruzione. Un ulteriore conferma che del papa si colgono e si enfatizzano solo le parole che corrispondono al mainstream dominante, e non si capiscono (e quindi si tacciono) le parole che introducono un criterio diverso. Poiché non le si capiscono, o si deve fare un po’ di fatica intellettuale per coglierne la portata, si lascia che alcune parole scivolino via, quasi fossero frasi di circostanza.
È interessante che il papa abbia scelto di dedicare un discorso sulla politica proprio in Romagna, terra di “accese passioni politiche”. Ancora prima che tutto diventasse politica (la sbornia ideologica del Sessantotto), in Romagna la politica era tutto: definiva l’identità delle persone, la loro appartenenza, stabiliva i confini fra questa e quella comunità che spesso diventavano mondi incomunicabili, alimentava lotte e conflitti. Francesco ha invitato a riscoprire “anche per l’oggi il valore di questa dimensione essenziale della convivenza civile”. Nello steso tempo ha messo in guardia da alcuni atteggiamenti in cui spesso è degenerata la passione politica in Romagna: ha invitato a dare il proprio contributo “pronti a far prevalere il bene del tutto su quello di una parte; pronti a riconoscere che ogni idea va verificata e rimodellata nel confronto con la realtà; pronti a riconoscere che è fondamentale avviare iniziative suscitando ampie collaborazioni più che puntare all’occupazione dei posti”.
Ma il passaggio più interessante Francesco l’ha svolto quando ha invitato a guardare alla politica con sano realismo: “Le vicende umane e storiche e la complessità dei problemi non permettono di risolvere tutto e subito. La bacchetta magica non funziona in politica. Un sano realismo sa che anche la migliore classe dirigente non può risolvere in un baleno tutte le questioni”.
Il realismo che tiene conto della complessità dei problemi è purtroppo quanto di più lontano dalla vita politica attuale. I vari populismi, di destra o di sinistra non fa differenza, si alimentano proprio con un giudizio sommariamente liquidatorio dell’attività politica di chi detiene il potere e con la promessa che, con un cambio di classe dirigente, i problemi saranno rapidamente risolti. L’esperienza poi mostra che quando chi promette rapidi e radicali cambiamenti arriva a detenere le leve del potere, immediatamente invoca la complessità dei problemi per giustificare l’impossibilità di risolverli tutti e subito. Dove non arriva la cultura politica dei populismi, la realtà si incarica di fornire le necessarie repliche. Il criterio del sano realismo indicato da Francesco in altri tempi sarebbe apparso come semplice esempio di saggezza popolare, oggi si presenta invece come un efficace antidoto alle ricorrenti tentazioni di affidarsi a palingenesi rivoluzionarie che promettono molto e mai riescono a mantenere.
Francesco poi indica un altro criterio che tradotto nel linguaggio politico corrente potremo chiamare di “opposizione costruttiva”. Ha detto il papa: “Se il politico sbaglia, vai a dirglielo, ci sono tanti modi di dirlo: “Ma, credo che questo sarebbe meglio così, così…”. Attraverso la stampa, la radio… Ma dirlo costruttivamente. E non guardare dal balcone, osservarla dal balcone aspettando che lui fallisca. No, questo non costruisce la civiltà. Si troverà in tal modo la forza di assumersi le responsabilità che ci competono, comprendendo al tempo stesso che, pur con l’aiuto di Dio e la collaborazione degli uomini, accadrà comunque di commettere degli sbagli. Tutti sbagliamo. “Scusatemi, ho sbagliato. Riprendo la strada giusta e vado avanti”.
Il politico che sbaglia è una categoria non ammessa dalla mentalità comune contemporanea. Non la si ammette perché - torniamo al punto precedente - non si riconosce con realismo la complessità dei problemi che oggi più di ieri abbiamo di fronte. I vari populismi si nutrono di politici che sbagliano da mandare a casa. Certo, chi sbaglia deve riconoscere di aver commesso errori. Anche questa è un’attitudine non facile da riscontrare nei politici, così come l’opinione pubblica oggi non è incline a concedere una seconda chance a chi è andato fuori strada. “Scusatemi, ho sbagliato. Riprendo la strada giusta e vado avanti”, diventa allora la frase emblematica di una vita politica che ha pienamente recuperato uno sguardo realistico sull’uomo, sulla sua grandezza e sulle sue inevitabili debolezze.