C’è un crocifisso della scuola del Trecento riminese nella chiesa parrocchiale di Misano Adriatico. Ha una storia avventurosa: per anni è stato custodito nella piccola chiesetta dell’Agina (ricostruita dai Cavalieri di malta dopo un terremoto del Settecento), poi è sorta una controversia sui diritti di proprietà e per un certo periodo è sparito, “rapito”da qualcuno dei contendenti. È ricomparso negli anni Novanta, è stato restaurato ed è stato posto nella nuova collocazione. Per il regista riminese Davide Montecchi, autore del documentario “In difesa delle immagini sacre”, dedicato appunto al Trecento riminese, è l’opera che più lo ha emozionato. “Per la forma particolare – spiega – e per la sua storia. È stato oggetto della devozione popolare, la gente del luogo lo portava in processione perché vedesse il mondo. Un ribaltamento di prospettiva molto interessante”.
Il documentario sarà presentato in anteprima nazionale al Cinema Fulgor il 24 Maggio e il 29 Maggio. Montecchi, 36 anni, una lunga esperienza fra Rimini e New York nella produzione di videoclip musicali, l’anno scorso ha firmato il suo primo lungometraggio in inglese con sottotioli in italiano, un thriller intitolato “In a lovely place”. E come è arrivato un regista di thriller e videoclip ad un documentario sul Trecento riminese? “Tutto parte dal mio interesse per la pittura del Trecento e del Quattrocento. Poi due anni fa, in autunno, ero a Talamello, nella chiesa del paese, ho avuto modo di ammirare il crocifisso della chiesa del paese e ne sono rimasto profondamente colpito. Era un crocefisso di cui mi aveva parlato spesso mio nonno, originario della Valmarecchia. Nella chiesa buia e senza luce entrò all’improvviso un raggio di luce che andò ad illuminare per un attimo proprio il volto di Gesù. Fu un momento di grande intensità e profonda bellezza. Da quel momento si è insinuato in me il desiderio di saperne di più: chi è il pittore che ha dipinto quel crocefisso? Ci sono altri crocefissi della stessa epoca nelle nostre zone?”.
È così cominciato il suo itinerario sulla tracce del Trecento riminese. Cosa l’attira in questa esperienza pittorica? “E’ l’aspetto di mistero. È una pittura non definita da regole prospettiche o anatomiche, però di grande potenza sacra, rispetto ad altre pitture tecnicamente più raffinate. Sono dipinti espressione di una diversa visione del mondo e per questa ragione molto affascinanti”.
Montecchi ha effettuato riprese a Rimini nella chiesa di Sant’Agostino e al Museo della Città, a Talamello, Urbania, Mercatello, al Museo d’arte di Ravenna e a Bagnacavallo. “Purtroppo non ho potuto accedere in alcune chiese delle Marche ancora chiuse per il terremoto”.
Secondo il regista, il documentario “In difesa delle sacre immagini” è una indagine personale, una sorta di diario di viaggio offerto allo spettatore. In primo piano c’è la sua sorpresa e la sua emozione nel trovarsi di fronte a quelle immagini, poi per gli approfondimenti accademici si è avvalso dei contributi di Massimo Pulini, Alessandro Giovanardi e Alessandro Volpe.
“Il mio scopo – spiega Montecchi - è quello di suggestionare, creare una connessione emotiva profonda e non razionale con quei dipinti, restituire allo spettatore il senso del sacro, del mistero e dell’inaspettato. Se c’è qualcosa di bello nel Trecento riminese è proprio questa atmosfera di sacralità capace di suscitare emozioni profonde. Sarebbe bellissimo se, dopo avere visto il film, lo spettatore conservasse quella curiosità e quell’entusiasmo che hanno animato la mia ricerca, e iniziasse un suo personale viaggio alla scoperta dei luoghi e delle nascoste meraviglie”.