Chi ha in antipatia il governo gialloverde e la sua nociva influenza sull’andamento dei mercati, potrà iscrivere fra i danni procurati dalle altalenanti dichiarazioni di Salvini e Di Maio anche la mancata quotazione in Borsa di IEG. Al netto di tutte le altre considerazioni, è questa la ragione fondamentale che il presidente Lorenzo Cagnoni e l’amministratore delegato Ugo Ravanelli hanno indicato per spiegare il flop nel collocamento delle azioni.
Cagnoni ha sostenuto che c’era nei mercati una positiva aspettativa nell’evoluzione de quadro politico italiano e, quando questa è venuta meno, gli investitori o hanno ridotto il quantitativo di ordini e non li hanno confermati affatto. Ravanelli è quindi sceso nel dettaglio, ripercorrendo tutte le fasi. La data determinante è stata il 29 novembre quando, visto che le azioni IEG non interessavano gli investitori stranieri, è stato deciso di diminuire l’ammontare dell’operazione da 60 a 36 milioni, quasi la metà. Una decisione, come tutte le altre, prese in tre, cioè IEG, Rimini Congressi e gli advisor. Restavano in campo come possibili interessati solo gli investitori italiani. Dopo una giornata che alimentava speranze (Borsa cresciuta del 3 per cento), le rinnovate difficoltà di dialogo fra governo e italiano e Unione europea hanno rispinto l’indice verso il basso. Nel giorno in cui gli investitori italiani dovevano confermare, i sì sono arrivati solo per i due terzi. “Lunedì sera c’era ancora ottimismo – spiega Ravanelli – ma nella giornata di martedì la ventata ottimistica si è sciolta. Si stava preparando, e gli investitori lo sapevano in anticipo già nel tardo pomeriggio di mercoledì, il tonfo del 3,5 per cento di giovedì”. Per quanto riguarda IEG, ciò ha comportato appunto l’effetto che arrivassero solo i due terzi delle risposte positive rispetto alle attese. Con i soli due terzi il collocamento in Borsa sarebbe fallito e pertanto si è deciso di fare il passo indietro. I due massimi investitori italiani, precisa Ravanelli, avevano comunque confermato l’ordine fino all’ultimo.
Secondo Cagnoni le ragioni stanno tutte qui. IEG aveva tutte le carte in regola per presentarsi all’appuntamento. Il presidente e l’amministratore delegato hanno riassunto il quadro economico dell’azienda. Al 30 settembre scorso il Gruppo aveva avuto ricavi totale per 118,8 milioni di euro, con una crescita rispetto al 2017 del 22 per cento e un EBITDA pari a 22,3 milioni (erano 16,5 al terzo trimestre del 2017). Se poi si fanno proiezioni al 31 dicembre, emerge un ricavato di 155 milioni e un EBITDA che supera i 30 milioni. È la seconda fiera a livello nazionale per volume d’affari e la prima per redditività. Se a questi numeri, molto apprezzati dagli advisor, si aggiunge il piano industriale per gli anni 2018-2023, ne viene fuori un quadro che aveva tutto il diritto di presentarsi all’appuntamento della Borsa. “Questi sono i numeri – ha puntualizzato Cagnoni in polemica con alcune forze politiche – se poi alcuni pregiudizi impediscono di essere d’accordo perfino sui numeri o dubitano sulla verità di essi, non so cosa farci”.
Non è che ha giocato un ruolo negativo anche l’indebitamento del gruppo IEG? I numeri forniti riguardano appunto il gruppo, da cui sono escluse società come Rimini Congressi e Società del Palazzo (che hanno sul groppone i debiti per il Palacongressi). Al 31 dicembre 2017 la posizione finanziaria netta, cioè l’indebitamento, era pari a 51,3 milioni, in corso sono intervenuti 14 milioni per investimenti in USA, 21 milioni per l’acquisizione di altre società italiane (Prostand e Colorcom), 14 milioni “virtuali”da tenere accantonati qualora a partire da 2023 i soci vicentini volessero uscire dalla società, più alte spese per 3,8 milioni. L’indebitamento sarebbe insomma per 90,7 milioni, una somma del tutto sostenibile, secondo Cagnoni.
E allora cosa non ha convinto gli investitori? Inutile tentare di riproporre la domanda, la risposta rimanda sempre alla turbolenta situazione dei mercati negli ultimi giorni. Cagnoni, inoltre, liquida con una battuta altre possibili cause di sfiducia. “Non mi si chieda di Marzotto perché tutti sanno che se ne è andato per dissidi con i soci vicentini (ovvero noi non c’entriamo nulla, nda), così come l’ex direttore Facco se ne è andato perché la sua presenza non rientrava nei programmi di questa azienda”. Il presidente non prende minimamente in considerazione che mercati e investitori guardano anche alla stabilità di un’azienda. È stato invece confermato che IEG sta valutando di fare causa a La Stampa per l’ormai famoso articolo dell’11 novembre scorso.
Cosa cambia la mancata quotazione rispetto ai programmi di investimenti? Se qualche mese fa Cagnoni affermava che IEG aveva le spalle robuste per supportare con le proprie risorse il piano industriale, oggi è stato più cauto. Ha detto che al momento tutto resta come prima, in futuro qualche decisione, “anche con aspetti spiacevoli”, potrebbe essere presa. Probabilmente resta l’ampliamento dei capannoni, mentre potrebbero essere ridiscussi altri investimenti. Invece le possibili partnership con Bologna o con altri enti fieristici del nord dipendono da altri fattori e non dalla mancata quotazione in Borsa.
Valerio Lessi