Probabilmente ci vorrà ancora un anno di lavori perché il recupero di Porta Galliana sia terminato e l’importante zona archeologica sia restituita alla fruizione di cittadini e turisti. Davide Frisoni, consigliere comunale e presidente della commissione cultura, segue con grande attenzione le varie fasi, anche perché, tiene a sottolineare, “la spinta a recuperare Porta Gallina costituisce il mio primo atto politico”.
Adesso che dal 20 ottobre sarà riaperta al traffico via Bastioni settentrionali, sarà possibile sbirciare nel cantiere e ciò che si vedrà è certamente di più di ciò che si poteva osservare prima dell’inizio dei lavori, ovvero solo la sommità della porta. Gli scavi hanno infatti eliminato un interramento di tre metri e mezzo e hanno riportato alla luce una porta medievale, l’unica rimasta, che aveva una importantissima funzione difensiva.
“La porta – spiega Frisoni – è stata realizzata nel Medioevo e poi rimaneggiata da Sigismondo Malatesta. L’intervento di Sigismondo è documentato dal ritrovamento, all’inizio del secolo scorso, di un otre contenente medaglie utilizzate dal signore di Rimini per indicare le opere da lui realizzate o ristrutturate. Erano una sorta di firma”.
Prima di quel ritrovamento, l’unico documento storico su Porta Galliana era il bassorilievo di Agostino di Duccio, nel Tempio Malatestiano, che rappresenta la Rimini di Sigismondo. Ma come essere certi che quanto spuntava dal terreno in prossimità del porto fossero i resti di Porta Galliana? La rappresentazione di Di Duccio indicava una struttura fortificata, ma non si avevano conferme dal punto di vista archeologico.
“Prima degli scavi, la certezza non c’era. – continua Frisoni – La certezza è arrivata con la scoperta degli antemurali, che erano opere di difesa. Sull’antemurale di destra è stato trovato anche un beccatello, che Sigismondo usava come simbolo di fortificazione. L’uso dei beccatelli non aveva solo una funzione decorativa ma doveva dare l’impressione di una fortificazione”.
Porta Galliana non era solo una porta di ingresso in città per chi proveniva dal mare, ma era soprattutto una struttura di difesa dai nemici esterni. Evidentemente i pericoli maggiori (pirati) giungevano proprio dall’Adriatico. La conferma viene anche dal ritrovamento, durante gli scavi condotti dagli archeologi di adArte, del cosiddetto “ponte morto”, il muro sul quale veniva poggiato il ponte levatoio. C’era dunque una complessa e articolata struttura difensiva che probabilmente comprendeva due fossati e due ponti di cui uno levatoio.
“Che siamo di fronte ad una struttura strategica – osserva Frisoni – lo testimonia anche la bombardiera che è stata scoperta nel muro lato città: serviva a puntare i cannoni in direzione San Giuliano. Inoltre, sulla destra, guardando in direzione del porto, è stata rivenuta una fessura, che probabilmente aveva una funzione difensiva per piazzarvi delle balestre o altre armi”. La porta era sbarrata, oltre che dalla grata che poteva scendere in qualsiasi momenti, da un doppio portone. Si comprende che il recupero e il restauro di Porta Galliana offre agli storici una quantità di reperti, indizi e informazioni che consentiranno di delineare i metodi difensivi voluti da Sigismondo.
Già nel Cinquecento la porta è stata sigillata perdendo quindi la funzione di ingresso della città. Probabilmente è diventata quella che poi sarà chiamata Torre dei Cavalieri. E con il tempo è stata progressivamente interrata fino ad assumere l’aspetto che vedevamo prima degli scavi.
Il consigliere Davide Frisoni ha anche proposto un modo (vedi immagine esemplificativa qui sopra) per consentire al pubblico di “vedere” la struttura della porta nella sua interezza. Lo si può fare con un punto ottico piazzato davanti a Porta Galliana: su un pannello trasparente si traccia un disegno prospettico della struttura, così come era ai tempi di Sigismondo; l’osservatore vede ciò che resta della porta perfettamente inserito in quel disegno e grazie al disegno totale vede anche tutti gli altri elementi che non ci sono più. “Ho presentato l’idea agli uffici e mi auguro che venga recepita. – dice Frisoni – è un modo per fare capire bene cosa c’era in quel punto senza spendere capitali per ricostruzioni fittizie e soprattutto “senza toccare” l’architettura recuperata”.