Alla fine, a restare con il cerino in mano è stato l’incendiario Marzio Pecci, capogruppo della Lega. Nelle sue intenzioni il consiglio comunale tematico sugli appalti Tecnopolo e Acquarena, fortemente voluto dalla minoranza, doveva servire per inchiodare il sindaco Gnassi alle sue responsabilità e mettere in grave difficoltà la maggioranza che lo sostiene. In realtà è servito per mettere in scena un’ evidente divisione fra la Lega, che è rimasta isolata, e le altre componenti dell’opposizione.
Pecci era partito suonando la grancassa e proponendo all’assemblea un riassunto delle intercettazioni telefoniche che hanno come protagonisti, fra gli altri, l’ormai famoso “facilitatore” Mirco Ragazzi, il capo di gabinetto del sindaco, Sergio Funelli, l’assessore regionale Emma Petitti. Intercettazioni che, a suo dire, confermano l’esistenza di un sistema Rimini inquinato, con appalti pilotati, e documentano fatti che nuocciono gravemente all’immagine della città e fanno intravedere una deriva criminale. Pecci ha riunito in un unico allarme per la sicurezza e la legalità le inchieste si Tecnopolo e Acquarena e quelle sulle infiltrazioni della camorra. Si è atteggiato a vittima perché le sue dichiarazioni hanno provocato minacce di querele dagli interessati, proponendo una scusante: “Sono i comportamenti di lei assessore Morolli e della sua famiglia che hanno provocato in me alcuni pensieri”. Insomma, qualora vi avessi diffamato, la colpa è vostra. Ed infine la richiesta che il capo di gabinetto Funelli sia sospeso dal servizio.
Una linea colpevolista che però non è stata condivisa da alcuni esponenti della minoranza, a partire da Gioenzo Renzi, di Fratelli d’Italia. Sì, proprio lui, con una lunga carriera alle spalle di esposti alla magistratura su questa o quella magagna, è intervenuto con un’appassionata difesa dei dipendenti comunali coinvolti dall’inchiesta. “Non si può sparare a zero indistintamente su tutto, uno degli indagati per il Tecnopolo è un dirigente che ha realizzato il Teatro Galli in due anni. Stiamo attenti, caro Pecci. Qui camorra e mafia non c’entrano nulla, sono coinvolte persone che ben conosciamo e che io stimo senza riserve. Sullo scandalismo non si costruisce una buona politica. Faccio appello a questi banchi della minoranza, se vogliamo esprimere una cultura di governo, non possiamo farci prendere dallo logica dello sfascio”. Forse nemmeno i consiglieri di maggioranza credevano alle proprie orecchie!
Sulla stessa linea il consigliere Nicola Marcello, di Forza Italia, che ha parlato di una pagina spiacevole. “Esprimo la mia solidarietà ai nostri dirigenti che sono bravissime persone a prescindere, anche se risultassero coinvolti in certi meccanismi. Solo chi non lavora, non sbaglia. Io mi sento uno dei 1200 dipendenti, faccio parte della famiglia del Comune di Rimini.” Marcello ha sostenuto che la vicenda mette piuttosto in evidenza l’esistenza di una questione morale dentro il Pd, che si appresta a ricandidare persone che nelle intercettazioni hanno fatto una pessima figura. Ha aggiunto due chicche. Prima: “A me le intercettazioni, con relativi sghignazzi, le hanno giurate sul cellulare consiglieri di maggioranza”. Seconda. “Fossimo stati noi coinvolti, voi sareste in piazza con le magliette Parlateci del Tecnopolo. Non è questa la nostra cultura”.
A metà strada fra il garantismo di Renzi e Marcello ed il giustizialismo ad oltranza di Pecci, si sono collocati gli altri consiglieri di minoranza (Mario Erbetta, Gennaro Mauro), intervenuti nel dibattito, chiedendo chiarezza, trasparenza e, nel caso di Mauro, anche le dimissioni di Funelli. Abbastanza facile il compito dei consiglieri di maggioranza (Muratori, Frisoni, Corazzi) che hanno apostrofato con l’espressione “gossip” la messa in piazza delle intercettazioni ed hanno rilevato come parlare di mafia e camorra per questa vicenda sia quanto meno un po’esagerato.
Al segretario comunale Uguccioni il compito di riassumere i termini della vicenda. Non è emerso nulla che non fosse già noto, compreso il fatto che ancora non si sa nulla di preciso della vicenda che cambierebbe le carte in tavola (lo stralcio a Bologna che vedrebbe indagato anche Funelli).
Il sindaco Andrea Gnassi, posto sul banco degli imputati da Pecci, ha usato due argomenti fondamentali. Primo. Se si riportano i verbali della polizia giudiziaria, occorre ricordare che essa si muove con una presunzione di colpevolezza. Non bisogna trascurare la funzione del pubblico ministero che trae le sue prime conclusioni. Insomma, se i verbali della Guardia di Finanza parlano di “sistema Rimini” degli appalti, non bisogna poi dimenticare che il rinvio a giudizio c’è stato perché in fase di collaudo sono state date per terminate alcune opere, al fine di non perdere un finanziamento per il Comune. E poi su 12.000 appalti, l’indagine è solo su due.
Secondo argomento. Per Acqua Arena nessun appalto pilotato, tanto è vero che ad assegnare definitivamente l’appalto al gruppo di Axia non è stato il Comune ma il Tar, che ha respinto, con ulteriori argomenti, il ricorso della ditta concorrente. In questo caso l’accusa della Procura di Rimini è di falso nella documentazione bancaria.
Gnassi non ha nascosto che comunque c’è aperto il procedimento a Bologna che vede coinvolto Funelli con le accuse di induzione indebita a dare e a promettere (una forma lieve di concussione) e di tentata concussione, a proposito di una presunta consulenza.
I ragionamenti del sindaco non hanno convinto Pecci che nella replica è tornato a chiedere l’allontanamento di Funelli.