Da anni si grida alla desertificazione del centro storico, alla morte di piccoli negozi nel cuore della città provocata dal proliferare dei centri commerciali, poi arrivano i dati, al di sopra di ogni sospetto, della Confcommercio e si scopre che le cose non stanno proprio così. Un altro esempio della distanza fra percezione (sempre più negativa) dell’opinione pubblica e realtà di fatto. Sì, perché i dati diffusi ieri dall’associazione dei commercianti dicono che dal 2008 al 2019 hanno chiuso più negozi fuori che dentro il centro storico. Lo si intuisce innanzitutto dai numeri assoluti, 17 nel centro storico, e 125 fuori. Ma i numeri assoluti possono rivelare solo una parte della verità, bisogna vedere le percentuali che indicano le tendenze in atto. E le percentuali dicono che nel centro storico i negozi chiusi sono il 2 per cento, fuori dal centro il 9 per cento. “E’ vero – conferma il direttore di Confcommercio di Rimini, Andrea Castiglioni – nel nostro centro storico si registrano elementi di tenuta, considerando che i dati si riferiscono al periodo successivo all’apertura delle Befane. Addirittura nel 2016 avevamo tre esercizi in più rispetto al 2008”.
Quindi non hanno ragion d’essere i ripetuti allarmi sul destino commerciale dei centri storici? Di fronte a questa domanda Castiglioni aggiunge altri elementidi valutazione. “I numeri – osserva - registrano alcune tendenze in atto, che comunque ci preoccupano. Il commercio dentro o fuori il centro storico risponde a vocazioni differenti. Se in centro chiude una boutique e viene rimpiazzata da un negozio non specializzato, dal punto di vista della funzione del centro storico e della vocazione turistica della città non è la stessa cosa. Si consideri inoltre che 17 negozi del centro hanno chiuso da un anno all’altro. E non abbiamo elementi per sperare che il prossimo anno andrà meglio. Se poi, stando alle notizie recenti, chiuderà l’area Scarpetti, il problema dei parcheggi, essenziali per il commercio, sarà ben diverso per il centro rispetto al resto della città”.
Osservando nel dettaglio i numeri diffusi ieri da Confcommercio, si notano molte situazioni particolari. I negozi di alimentari e bevande negli ultimi tre anni diminuiscono nel centro storico (da 88 a 75), mentre aumentano nel resto della città (da 145 a 154). Viene da pensare che possano essere i numerosi bazar alimentari gestiti specialmente nella zona del mare da immigrati asiatici. Non è così. “Si assiste ad una rinnovata attenzione per il food specializzato. Quei negozi sono pescherie o macellerie gestite soprattutto da imprenditori giovani. Sono in crescita gli esercizi che puntano sulla qualità e sul legame con il territorio”.
Sempre spigolando fra i numeri, si osserva che a crescere nel centro storico, negli ultimi tre anni, sono bar e ristoranti che passano da 337 a 353. “Sì – conferma Castiglioni – c’è un fermento per l’apertura di nuovi pubblici esercizi, in particolare per iniziativa dei giovani. Attenzione, però. Mentre in passato la vita media di un bar o ristorante era di sette anni, adesso un nuovo esercizio non va oltre i tre anni e mezzo. Tanto che i nostri dirigenti nazionali hanno parlato di bolla dei pubblici esercizi. L’apertura di nuovi ristoranti fa parte dell’attenzione al mondo del cibo di cui dicevo, ma anche in questo settore non mancano le difficoltà”.
La realtà non è mai bianca o nera, ma presenta diverse sfumature. Lo si è visto anche nei giorni scorsi quando la Regione ha aperto la prima finestra (la seconda sarà a settembre) per presentare le domande per i finanziamenti a negozi, bar e ristoranti che intendono effettuare interventi di riqualificazione, ristrutturazione o per l’offerta di nuovi prodotti. Sono disponibili finanziamenti per quattro milioni, due adesso, e gli altri due in settembre. “Nel primo giorno di apertura – afferma il direttore di Confcommercio – il sistema informatico è andato in tilt perché un gran numero di operatori si è mosso per presentare le domande. Ciò significa che le imprese sono alla ricerca di finanziamenti per poter rinnovare e resistere. Occorre quindi che questi bandi vengano maggiormente finanziati per dare il maggior numero di risposte possibili”.