«Rimini? Il problema principale, da cui derivano tutti gli altri, è la stagnazione economica che dura dal 1989, anno delle mucillagini. Quell’anno finì il modello del turismo di massa che avevano creato i nostri nonni. E non è più tornato. Poi abbiamo fatto altro, abbiamo creato strutture come la fiera e il palacongressi che ci hanno permesso di resistere. Però Rimini deve tornare ad essere protagonista a livello di turismo balneare».
Lucio Paesani è un imprenditore del settore turistico (locali notturni, alberghi, ristoranti). Da tempo si nota un suo notevole attivismo pubblico. Il suo nome è emerso come possibile candidato sindaco o comunque come promotore di una lista civica alleata con il centrodestra. Abbiamo cercato di sondare il suo pensiero e le sue intenzioni.
«Certi interventi sull’economia andavano fatti prima, quando c’erano le risorse, come Torino che con le olimpiadi 2006 ha riconvertito i vecchi distretti industriali in contenitori culturali. Oggi i comuni hanno risorse limitate. C’è inoltre una crisi di sistema, lo vediamo con l’incarico a Draghi. Il mondo finanziario sta viaggiando a velocità supersonica e i nostri processi decisionali, politici, umani non riescono a star dietro. Si deve fare una proposta diversa, comunitaria, che nasca dal basso. E la città, la comunità cittadina, può esser il laboratorio».
Cioè?
«Con altri amici sto cercando di dare un contributo per trovare le risposte. Che sicuramente saranno diverse dall’approccio che la sinistra a Rimini ha sempre avuto, e che in questo momento non garantisce nessun tipo di crescita. È un approccio culturalmente nemico del privato, sempre visto con diffidenza».
Anche le amministrazioni Gnassi?
«Certo. Basta andare a vedere i bandi che escono, su tre, due vanno deserti. Ho vinto il bando per il chiosco del castello, è un anno e mezzo che aspetto l’assegnazione perché era stato fatto male. Area sportiva della Gaiofana, in malora: il bando è andato deserto. Si fanno norme con la paura che il privato ci possa guadagnare troppo. Altro esempio: quando sento l’assessore Frisoni che dice comprate l’albergo di fianco al vostro, demolitelo e fateci la piscina, mi sembra di sognare: devo spendere 1,5 milioni per fare una piscina?».
Quindi neppure il sindaco Gnassi ha contribuito a rilanciare il turismo di Rimini?
«Gnassi ha fatto cose belle ma neppure lui ha la bacchetta magica. Un limite l’ha avuto nel fatto di essere troppo solo al comando, le grandi imprese si vincono in squadra, non da soli».
Ma anche lei lo ha appoggiato…
«Sono presidente del consorzio del porto, abbiamo combattuto contro il progetto dell’amministrazione Ravaioli-Melucci che voleva creare una sorta di Befane al mare. Fallisce Coopsette, arriva Gnassi e sposa completamente il nostro progetto. Con lui abbiamo cercato di costruire…».
Però il vostro progetto è rimasto lettera morta.
«Non è decollato e si è tornati indietro, si sono fatte solo le demolizioni. È stato detto: il triangolone del porto è passato al Comune gratis. Non è vero. Lo Stato ha tagliato mezzo milioni di trasferimenti, da ora e ogni anno per sempre. Considerato che una concessione dura in media 30 anni, significa che a noi operatori costerebbe 15 milioni. Non è economicamente sostenibile».
Cosa sta preparando per le elezioni, una lista civica?
«Sto ragionando con un gruppo di amici che ogni giorno si allarga sempre di più. Va risollevato il turismo, ma non penso si possa fare con lo stato di fatto di oggi. Giustamente il sindaco ha detto che Rimini è la città dove tutto si immagina. I conti Baldini hanno inventato gli stabilimenti balneari, i nostri nonni dopo la guerra hanno inventato il turismo di massa, noi dobbiamo tirare fuori un’idea nuova. Questo è il lavoro che ci aspetta, non organizzare quello che non funziona. Stiamo cercando idee e proposte anche con l’aiuto di professionisti. Ci sono tre nodi da sciogliere: la deregulation perché troppe norme soffocano, gli strumenti finanziari, l’urbanistica per eliminare la zavorra dei troppi alberghi fuori mercato».
Con chi pensate di allearvi?
«Quando avremo la nostra proposta, ci confronteremo».
Non faccia il finto diplomatico, è noto che partecipa alle riunioni del centrodestra.
«Sono stato invitato e ho partecipato perché mi interessava. La situazione ancora non è chiara. A Rimini nel Pd e in Fratelli d’Italia c’è una competizione per la leadership. Noi siamo civici e non possiamo entrare in ragionamenti che civici non sono».
Lei vuole fare il candidato sindaco?
«Sono parte di un gruppo, sono uno che non si fa problemi a metterci la faccia. Se c’è qualcuno più autorevole di me, si faccia vanti, e io sarò al servizio della squadra. Però è presto per parlare di queste cose. L’urgenza è cambiare Rimini, uscire anche dalle divisioni. Guardiamo a cosa sta succedendo a livello nazionale con Draghi, entro due anni a livello nazionale i partiti non saranno più quelli di oggi, non funziona più la vecchia ricetta, la vecchia politica, i vecchi strumenti. Dobbiamo studiare modalità nuove in tutto. Serve il contributo di tutti, occorre smettere di giocare con gli slogan. Un tempo i nostri nonni dicevano: lasciamo a quelli la politica, noi pensiamo a lavorare. No, oggi non si può più delegare a chi non ha risposte. E sa qual è la risposta più importate?
La dica.
«La risposta più importante è il rapporto pubblico privato, è la sussidiarietà. Faccio un esempio, sulla scuola. Ho pagato trent’anni di scuola privata, dalle Maestre Pie alla Karis Foundation. Ho liberato lo Stato da un costo, dovrei avere una medaglia, poi magari un credito di imposta. E invece sei trattato come un nemico. Altro esempio. Quando ho aiutato il Comune sulla Molo Street Parade ho fatto risparmiare quasi due milioni alle casse pubbliche. Quando invece Al Meni e la Notte Rosa costano ciascuna mezzo milione, il capodanno 800 mila euro. Se si dà al privato la possibilità di guadagnare, si recuperano risorse».
Proprio il suo coinvolgimento nella Molo fa storcere il naso a molti esponenti del centrodestra.
«Sono ragionamenti di chi mi giudica senza conoscermi. Avrei sbagliato a promuovere un evento nel quartiere dove lavoro? E non è neppure vero che la Molo porta un turismo dannoso per Rimini. È una sciocchezza, oggi non si parla più di turismo ma di turismi, uno diverso dall’altro. Come è accaduto a Barcellona dopo le olimpiadi, dalla cultura alla vita notturna. Il vero limite della Molo è un altro. Arrivano i ragazzi che hanno visto i video su internet e chiedono: ma dove sono le discoteche? Non ci sono più, si contano sulle dita di una mano. Adesso che sono chiuse per il Covid i ragazzi sono liberi come cani senza guinzaglio di combinare guai nelle piazze. Il limite della Molo è che dura un giorno e non sviluppa un prodotto turistico. Come i cinque musei senza direttore e i magazzini pieni di reperti».
Valerio Lessi