Motori immobiliari, un’espressione che da una decina d’anni è uscita dal dibattito pubblico di Rimini, mentre fino al 2011 era all’ordine del giorno. C’è da fare il nuovo stadio? Bene, concediamo al costruttore un motore immobiliare, magari ‘spalmato’ per ridurne l’impatto ambientale. Stesso schema per ogni opera pubblica o di interesse pubblico.
L’ex assessore all’urbanistica Maurizio Melucci non ne parla nel suo ultimo articolo teso a ristabilire - dice lui - la verità storica contro i luoghi comuni. Scrive che il Comune di Rimini dal 1995 è stato un pioniere degli accordi fra pubblico e privato, nel senso però che l’amministrazione chiedeva super standard, anche oltre la legge (verde, parcheggi, servizi) a chi voleva costruire.
Quindi di motori immobiliari (dicesi anche urbanistica contrattata) a Rimini nel decennio Ravaioli Melucci non si sarebbe mai parlato, così come, ecco l’altra verità annunciata, tutto ciò che ha prodotto a Rimini il Prg Benevolo sarebbe «frutto del lavoro di altri». Sicuro?
Diventando nel 1999 vice sindaco e assessore all’urbanistica, Melucci ereditava un Prg che la città, con oltre 2000 osservazioni, aveva mostrato di non amare, di percepire come un ostacolo al bisogno di investire e costruire. Era un Prg, con i suoi 256 comparti e con le sue rigidità, difficilmente gestibile. Se si vanno a rileggere i giornali dell’epoca, si scopre che il neo assessore spiegava ogni giorno che il suo primo compito sarebbe stato quello di rendere attuabile il Prg, e di farlo subito, perché i cittadini non potevano aspettare. In effetti la città dal punto di vista edilizio, in attesa del nuovo Prg, era bloccata da anni; ed era forte la pressione delle famiglie e delle imprese per poter finalmente aprire i cantieri.
L’assessore Melucci decise che non era il caso di puntare su una variante generale, che avrebbe avuto un iter di almeno cinque anni, e scelse di aggiustare il Prg pezzo per pezzo, con il rischio di essere risucchiati dai particolarismi e di non promuovere una visione generale e armonica della città.
Leggendo le sue ricostruzioni storiche, secondo le quali nessuno a Rimini avrebbe esagerato con la cementificazione, tantomeno lui, viene da chiedersi perché mai i primi atti del sindaco Andrea Gnassi siano stati proprio l’affossamento dei project financing sul lungomare e il taglio draconiano degli indici di costruzione per alcuni comparti che avevano ricevuto il via libera dalla precedente amministrazione. E non si capisce nemmeno perché con quelle mosse il sindaco sia riuscito ad azzerare il dissenso ecologico e di sinistra e a porre le basi per la rielezione trionfale del 2016.
Melucci ha l’evidente preoccupazione di scrollarsi di dosso una fama di cementificatore che oggi incide soprattutto nel dibattito per la candidatura a sindaco, polarizzato al momento proprio tra una continuità con i mandati di Gnassi e un ritorno al passato precedente (appunto al binomio Ravaioli-Melucci). Una preoccupazione che emerge anche da alcuni colpi ‘bassi’, poco da storico, molto da militante politico, come quello di rinfacciare al consigliere comunale Gnassi di aver votato negli anni Novanta il piano Benevolo. Salvo nascondersi dietro una foglia di fico: «solo una nota polemica che sinceramente non mi interessa ed è forse fuori luogo». Non interessa, però la scrive.
Probabilmente uno storico del futuro, non condizionato dalla polemica politica contingente, rileverebbe che la politica urbanistica di quel periodo era in sintonia con una mentalità ancora poco green e una prassi ancora prevalente nella occupazione del territorio. Rimini era infatti in quel momento una città nella quale l’edilizia aveva un peso economico enorme e dove importanti imprenditori, che inizialmente avevano costruito le loro fortune su altri business, si erano buttati anima e corpo sull’industria del mattone. Nel 2008 venne Valter Veltroni a tenere un comizio all’Arco d’Augusto. Al termine, al pranzo di autofinanziamento in Fiera, al centro spiccava un tavolo con il vice sindaco Melucci e un noto industriale-costruttore. Solo una nota di colore, certo, ma anche immagine sintetica di un’epoca. In autunno sarebbe cominciata la crisi che a Rimini ha falcidiato numerose imprese edili che erano diventate enormi colossi.
Un altro aspetto del dibattito lo mette in evidenza l’ex sindaco Giuseppe Chicchi: «L’idea di Benevolo era che nessun intervento edilizio diretto si facesse sul singolo lotto. Da ciò la diffusa previsione di comparti edilizi da assoggettare a Piani Particolareggiati da cui ricavare superstandard a favore del bene comune (parchi, parcheggi, scuole, chiese, ecc.). Contro l’introduzione del superstandard ci furono ricorsi dei proprietari privati, tutti vinti dall’Amministrazione. Però i comparti non partirono. Forse sarebbe stato sufficiente sostenere i comparti con procedure accelerate, motivate dall’interesse pubblico connesso. Oppure prevalse l’individualismo dei singoli proprietari».
Ma soprattutto, la politica urbanistica nell’era Melucci-Ravaioli risponde a situazioni particolari e non ha una visione di insieme. Lo si vede anche dal destino dei nuovi insediamenti urbani, sorti senza i necessari servizi: «Benevolo – scrive sempre Chicchi - lavorava su un modello di crescita urbana basato su medio-piccoli nuclei abitativi “satelliti”, dotati di servizi di base e collegati con il centro urbano per i servizi superiori (la New Town inglese). Qualcosa è realmente accaduto (Viserba, Gaiofana, S.Vito, Corpolò), forse sono mancati i servizi e le periferie si sono isolate».
Infine, una ricostruzione storica completa non può dimenticare che fra il Comune a guida Melucci-Ravaioli e la Provincia guidata da Nando Fabbri negli anni 2000-2005 ci siano stati momenti di alta tensione proprio a proposito della politica urbanistica. I progetti che il Comune chiedeva di approvare spesso e volentieri mal si conciliavano con le previsioni di Ptcp (il Piano territoriale di coordinamento provinciale), più attento a non consumare suolo.
Una questione di alta tensione fra Comune di Rimini e Provincia fu anche la questione dei ghetti. Norme per far sistemare le casette sparse nel forese o un tentativo subdolo di urbanizzare il territorio agricolo? Lo scontro fu durissimo ma si concluse con l’adeguamento di Rimini alle prescrizioni imposte dalla provincia che nel 2009 aveva approvato il nuovo Ptcp “a consumo zero del territorio”.
In 1984 George Orwell scrive che uno slogan del Partito era «chi controlla il passato, controlla il futuro; chi controlla il presente, controlla il passato». La ricostruzione storica di Melucci sembra obbedire a questo precetto. C’entra molto la lotta politica presente.
Valerio Lessi