In queste ore di tregua dentro il Pd in attesa che il segretario regionale Paolo Calvano trovi la soluzione per evitare la temuta ordalia delle primarie; ora che nell’ambito del centrodestra prevale la spasmodica attesa del civico che non c’è, ecco questo è il momento giusto per tessere un elogio. E l’elogio è rivolto a Lucio Paesani, Emma Petitti e Jamil Sadegholvaad. Perché? La motivazione è tanto semplice quanto rilevante: perché in questo momento di disaffezione verso la politica, in questo periodo di pandemia in cui, sebbene a parole siamo tutti sulla stessa barca, tutti pensano a come salvare la propria salute e il proprio business; insomma, in questo scenario dove tutto potrebbe portare a pensare ai fatti propri, loro hanno deciso di metterci la faccia, di virare il loro impegno vero il bene comune. Questa giudizio è valido a prescindere dalle singole motivazioni personali per cui ciascuno di loro è sceso in campo. Queste magari le giudicheranno gli elettori, se questi nomi saranno sottoposti al loro esame. Sì, va comunque apprezzato chi pensa di poter dare un contributo alla casa comune e perciò decide di mettersi in gioco.
Abbiamo puntato i riflettori su Emma Petitti e Jamil sadegholvaad per sottolineare che il Pd è diviso, che è in corso una lotta feroce senza esclusione di colpi, che il partito storicamente egemone nel nostro territorio sembra aver perso la bussola. Militanti e dirigenti temono che lo scontro diventi un bagno di sangue a vantaggio degli avversari del centrodestra. Tutto vero. Però si rischia di sorvolare sul fatto che nel Pd ci sono due persone, due esponenti di rilievo, che desiderano correre per diventare sindaco di Rimini. Questo accade in un contesto in cui, come osserva oggi Antonio Polito sul Corriere della Sera, nessuno, tranne Carlo Calenda, vuole più fare il sindaco in una grande città. Ma non è solo questione di Milano o Roma, il giudizio riguarda anche le medie e piccole città. Le ragioni sono presto dette. Le casse dei Comuni sono vuote, non è più il tempo dei tanti cantieri e della soddisfazione di tagliare i nastri inaugurali. E poi quella del sindaco è diventata un’attività pericolosa: basta poco, manco te ne accorgi, e ti ritrovi indagato per abuso in atti d’ufficio. Non ci sono candidati perché non ci sono più i partiti che, un tempo, prendevano un giovane capace, lo eleggevano consigliere di quartiere, gli davano un incarico, lo mandavano in consiglio comunale; se il ragazzo confermava di avere la stoffa e le giuste capacità, poteva ambire a correre per fare il sindaco (o il consigliere regionale, o il deputato). Niente più di tutto questo. Dovrebbero essere felici, nel Pd, oltre che preoccupati per le primarie, che loro, di candidati con un cursus honorum più che rispettabile, ne abbiano addirittura due.
Ma nell’elogio è giusto ricomprendere anche l’imprenditore Lucio Paesani che da mesi sta organizzando un movimento che presenterà una propria lista, probabilmente apparentata con il centrodestra. E nell’area alternativa alla sinistra finora è l’unico che ci ha messo la faccia. Certo, c’è la Lega che con Jacopo Morrone da mesi cerca con il lanternino di Diogene il candidato civico che non si trova. Certo, c’è la panchina lunga di Fratelli d’Italia, ma tutti stanno tatticamente coperti in attesa dell’evolversi degli eventi. Il senatore Antonio Barboni con una battuta ha sostenuto che il Pd sta mettendo le cose in modo da far vincere il centrodestra ancora prima del voto. Ci sta, fa parte delle regole del gioco. Ma quanto tempo è (se mai ci fu) che non si vede nel centrodestra una competizione interna fra due candidati forti che scalpitano per sottoporsi al giudizio degli elettori. Se la memoria non tradisce, le cronache ci hanno sempre consegnato difficoltà nel trovare un candidato, dichiarazioni roboanti su presunti irresistibili candidati, salvo poi ripiegare su personaggi puntualmente perdenti. Se il civico imbattibile non si trova, se i partiti tradizionali non esprimono al momento alcuna candidatura di rilievo, allora elogio anche per Paesani, al netto delle sue caratteristiche personali e politiche.
Per scendere in campo, per metterci la faccia, occorre avere una spinta ideale, una amore per la città e i suoi abitanti, una visione del percorso che Rimini dovrà compiere nei prossimi trent’anni, un desiderio di rischiare in un’avventura in cui non ci sono garanzie. Ci sarà occasione di parlare di questo. La riflessione potrebbe partire dalla provocazione lanciata, sempre oggi sul Corriere della Sera, dallo scrittore Antonio Scurati. “Dov’è in noi, ora, su questa terra, sotto questo cielo occidentale, l’esaltante «senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero» di cui parlò Italo Calvino a proposito del clima psicologico e morale degli anni 50 in un’Europa ancora sommersa sotto le macerie della Seconda guerra mondiale?”. Dov’è oggi a Rimini – potremmo dire noi - chi ha una posizione umana che spinge con entusiasmo a ricominciare una costruzione dopo i disastri della pandemia?
Giustamente Scurati osserva che “Siamo sfiniti, indubbiamente sfiniti. Mai le nostre esistenze ci avevano sottoposto a una prova tanto dura sul piano della vita collettiva. Non è la nostra, però, soltanto un’invalidità di tipo psicologico. Ciò che ci manca è la politica”. Ragione per cui “Una prova terribile come quella del Covid non può che schiantarci se è vissuta da ciascuno di noi individualmente come privato cittadino ma può invece trasformarsi in una fatica ritemprante se da essa rinasce una dimensione politica”.
Allora viva chi oggi ha il coraggio della politica, sapendo di dover ricominciare da zero.
Valerio Lessi