Sostenere che il Pd di Rimini da alcuni mesi è dilaniato da lotte interne senza esclusione di colpi significa fotografare semplicemente la realtà. Spesso i giornalisti abusano della metafora della “guerra” per descrivere una contrapposizione tra due persone, due gruppi, due posizioni. Per il Pd di Rimini la metafora appare invece adeguata.
Sono mesi che ci occupiamo di questa “guerra”, descrivendo le singole battaglie, i riposizionamenti tattici, le tregue armate, i colloqui di pace che mai approdano a un risultato. Presi dal vortice degli avvenimenti, si rischia di perdere di vista il motivo per cui si è scatenata la “guerra”, di non capire cosa c’è in gioco (in attesa di sapere se mercoledì sera i nodi saranno finalmente sciolti).
Al centro della questione c’è lo stato del Pd a Rimini, da sempre partito di maggioranza relativa e partito di governo, pur nelle sua varie evoluzioni storiche (Pci, Pds, Ds, Pd). L’impressione è che dieci anni di amministrazione Gnassi, se non distrutto, certamente lo abbiano relegato ad una posizione irrilevante. Il sindaco ha proceduto con la sua visione di città e con i suoi progetti senza mai coinvolgerlo. Tantomeno il Pd si è mai affacciato sulla scena pubblica per sollecitare l’amministrazione guidata da Gnassi a realizzare questo o quell’intervento. Il partito, nella visione gnassiana, è ancora utile come comitato elettorale, ma i “trogloditi”, come a volte il sindaco nei colloqui privati chiama parte dei suoi compagni, non hanno voce in capitolo sulle scelte della città. Gnassi in questi anni è andato elaborando una sua visione della Rimini presente e del prossimo futuro, ha cercato di tradurla nelle scelte amministrative, ed ora pretende che il candidato sindaco del Pd sia un uomo in perfetta continuità con il percorso da lui cominciato.
I suoi avversari presentano questa pretesa come la riprova del suo carattere arrogante. A ben vedere, quella di Rimini è una situazione analoga, con alcune differenze che vedremo, a quella di Bologna, dove il sindaco uscente Merola ha designato come successore un proprio assessore, Matteo Lepore, scelta confermata dalle primarie di domenica scorsa.
Perché a Rimini una scelta di continuità ha incontrato una così feroce opposizione? È successo che una parte del partito, quella riconducibile all’area Melucci-Petitti-Magrini, che ha mal sopportato questi dieci anni, abbia colto l’occasione della incandidabilità di Gnassi per sfoderare le armi. Mesi fa il segretario provinciale Filippo Sacchetti disse che il contrasto sulle candidature veniva da lontano. Certamente una tappa è l’esordio dell’era Gnassi, con la cancellazione dei grattacieli sul lungomare, con lo stop ad alcuni progetti urbanistici avallati dalla giunta precedente (Melucci vice sindaco). La discontinuità è stata a lungo incassata quasi in silenzio, anche se nelle trincee si preparava il momento della riscossa. Per quest’area del Pd, le elezioni del 2021 sono l’occasione per ribaltare la prospettiva: ora la discontinuità deve essere con il decennio gnassiano.
La “guerra” in atto è dunque generata da una lotta per il potere, intenso non banalmente, come troppo spesso si usa, come accaparramento di poltrone o di prebende personali. Piuttosto, per poter applicare la propria visione di città o di quello si pensa debba essere il ruolo del partito nell’amministrazione della città; e non è una lotta solo per il controllo della struttura, perché il decennio gnassiano ha contribuito a dissolverla. In questo senso la situazione di Rimini è diversa da quella di Bologna. Il politologo Gianfranco Pasquino, intellettuale di sinistra di lungo corso, ha annunciato il proprio voto alle primarie per Isabella Conti, la candidata di Italia Viva, la renziana, il che è come dire il diavolo sotto mentire spoglie. Perché? “Perché – citiamo a memoria da un’intervista televisiva – a Bologna il Pd è un sistema di potere incancrenito che va scardinato”. Il successo della candidata renziana (oltretutto non bolognese) è un segnale dell’insofferenza che a Bologna nell’ambito degli elettori di centrosinistra sta montando verso lo storico partitone rosso. A Rimini il partito invece è dissolto, restano solo gli ultimi giapponesi di Melucci che vorrebbero resuscitarlo. A Rimini Gnassi non chiede una continuità di partito, prospettiva che gli è del tutto estranea, ma del proprio progetto sulla città. E probabilmente su questo non è disposto a cedere, fosse anche per qualche poltrona di prestigio.
Se poi si volesse radiografare in profondità, fino alle radici ideali, lo stato del Pd a Rimini, può essere utile anche in questo caso una affermazione dl professor Pasquino: “Quello che di sbagliato c’è oggi nel Pd risale alla sua origine, a quelle famose culture riformiste, che venivano messe insieme e già all’origine erano deboli e fatiscenti e che ora sono sostanzialmente scomparse”.