A destra, è la campagna elettorale del Coconuts e del suo patron Lucio Paesani. Enzo Ceccarelli, l’ex sindaco di Bellaria imposto per sfinimento agli alleati riottosi dal leghista Jacopo Morrone, è ridotto a poco più di una comparsa di pregio nel gran circo allestito dall’imprenditore. Del resto, di allestimenti a tema, l’uomo ha esperienza da vendere, come quando pavesava il suo locale con i colori rainbow in occasione del Gay Pride o, nella stessa manifestazione, mandava il carro del Coconuts con a bordo le drag queen Troya provenienti da Ibiza. Tutto poteva essere ridotto a leggere e divertenti note di colore: il passaggio del locale di Marina Centro dai valori LGBT a quelli degli alleati del Popolo della Famiglia; o, meglio ancora, al fatto che, al pari di Milano Marittima anche Rimini ha ora il suo Papeete dove si stringono accordi elettorali e dove si ospitano cene e intemperanze di Salvini nei suoi tour estivi.
Non è invece una questione di colore perché il protagonismo sfrenato di Paesani più che tirare la volata a Ceccarelli lo oscura, lo relega ad un ruolo secondario, sebbene lui sia ancora il candidato sindaco. I simboli hanno la funzione di riassumere in un segno grafico un discorso che impegnerebbe molto più tempo. E il logo della lista Noi amiamo Rimini parla chiaro, con il nome di Paesani ben più grande e visibile di quello di Ceccarelli. Il logo sembra dire: sei una mia creatura, poiché tutto si è sbloccato quando io per primo ho detto sì alla tua candidatura. Non bastasse il segno grafico, conta il resto della comunicazione. I post elettorali di Paesani, dopo la designazione di Ceccarelli quale candidato unico del centrodestra, si sono inaspriti: gli attacchi a Jamil Sadegolvaaad più che a un avversario politico sembrano rivolti ad un amante dal quale si è rimasti delusi. E si sa come si esprimono gli amanti delusi, non brillano certo di moderazione e argomentazioni pacate. Sovrastato dalla debordante comunicazione estremista di Paesani, il buon Ceccarelli da Bellaria non può sperare di imporsi all’attenzione degli elettori per le qualità che sono sue. Rimini, in profondità, è per lui una città sconosciuta, al massimo conosce, per averla frequentata da sindaco, la nomenclatura di destra e di sinistra. Ed ora, ad accompagnarlo nelle passeggiate (altro genere in voga in questa campagna elettorale, non solo a destra) è sempre lui, il Lucio Paesani del Coconuts, che più che un mediatore o facilitatore, appare come il gran regista che scrive sceneggiatura e assegna le parti.
All’immagine e alla comunicazione elettorale di Ceccarelli non è certo giovato che la prima importante manifestazione elettorale sia stata una cena al Coconuts, presente Matteo Salvini, come se l’ex sindaco di Bellaria fosse solo il candidato dell’uno (il patron del Coconuts) e, per interposto Morrone, dell’altro. Non è l’unico segnale che va in questa direzione. La campagna elettorale è cominciata e finora non si è vista una iniziativa, una presa di posizione tematica, dei due principali partiti della coalizione, Lega e Fratelli d’Italia. Il silenzio della Lega potrebbe essere giustificato dal fatto che, espresso il candidato sindaco, già ha fatto parecchio (anche se abbiamo visto quali problemi ha il candidato). Ma Fratelli d’Italia? A parte le pubblicità di alcuni candidati al consiglio comunale non si è visto e sentito nulla. Sorge la domanda se non sia la spia di una sostanziale freddezza, con l’obiettivo strategico di limitarsi a fare un nutrito gruppo consigliare.
Quando poi i singoli esponenti prendono posizione su un tema, lo fanno in maniera platealmente divergente. Il tema del giorno è il Fellini Museum e la nuova Piazza Malatesta. Carlo Rufo Spina, ex Forza Italia diventato Fratello d’Italia, promette a destra e a manca di smantellare il Museo, trasferendolo altrove, e di liberare la piazza dalla cosiddetta fontana e da gnassate varie. L’alleato Marzio Pecci, della Lega ricorda l’approvazione di Sgarbi come segno del valore dell’opera e afferma che il prossimo sindaco dovrà partire da questo risultato.
Si dirà che sono sbavature in attesa che esca il programma ufficiale del centrodestra, non solo sul Museo Fellini e su Piazza Malatesta, ma sull’universo mondo di Rimini. Già, perché a fare ombra a Ceccarelli e a far emergere solo l’incontinente estremismo di Paesani è anche il fatto che ad oggi, 25 agosto, a poco più di un mese delle elezioni, non c’è ancora una pagina di programma. Si dirà che è tutto in ritardo perché il candidato è arrivato tardi, ecc, ecc; sì, è tutto giustificabile ma tale resta il menu che il centrodestra offre ai suoi potenziali elettori desiderosi di un’alternativa allo storico predominio della sinistra.
L’altra assenza è quella dei moderati, coloro coi quali un tempo amava identificarsi l’alleanza di centrodestra. A dire il vero qualcosa è rimasto, l’hanno chiamata “casa dei moderati”, e andrebbe anche bene se fosse una villa o un attico con vista mare. In realtà dà l’impressione di un ripostiglio dove finiscono le carabattole che non servono più, anche se fra questa e quella, c’è finito anche un marchio pesante e glorioso come quello di Forza Italia. Fa tenerezza vedere il simbolino del partito di Berlusconi accanto a quello di Città metropolitana o quello di Cambiamo di Toti (che peraltro adesso ha un altro nome, ma si vede che a Rimini non lo sanno). Peraltro chiamando così quella lista, la casa dei moderati, lanciano l’implicito messaggio che tutti gli altri della compagnia moderati non sono, e non è un messaggio rassicurante. Enrico Letta, alla Vecchia Pescheria, ha arringato i suoi battendo sul tasto della nostalgia di Berlusconi: “Ah, quando c’era lui, caro lei, che bel centrodestra avevamo…”. La sinistra si accorge dei propri errori sempre con almeno trent’anni di ritardo, anche perché forse non è esagerato affermare che la casa dei moderati ridotta a un ripostiglio insignificante è anche il frutto dell’antiberlusconismo militante della sinistra, che ha scosso l’albero, facendo raccogliere i frutti a Salvini e alla Meloni.