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Des Vergers: quando Rimini era al centro della cultura europea

Mercoledì, 25 Novembre 2015

7bDes Vergers: quando Rimini era al centro della cultura europea

 

 

 

 

Des Vergers: chi era costui? La domanda se la saranno posta più volte i riminesi che hanno osservato dall’esterno la sontuosa villa di san Lorenzo in Correggiano o magari vi sono entrati per un banchetto. Wikipedia, ma solo in francese,  definisce Adolphe Noël des Vergers "archeologo, storico, etruscologo, orientalista ed epigrafista del XIX secolo". Chi volesse saperne di più può partecipare al convegno di studio che l’Associazione a lui intitolata e presieduta da Rosita Copioli gli dedicherà il prossimo 2 dicembre nella Sala del Giudizio del Museo della Città.

 

Il titolo del convegno (Le scienze dell’antichità nell’Ottocento fra nazionalismi e internazionalità) introduce in quale modo il ruolo culturale svolto da questo personaggio. Saranno presentati tre volumi usciti nel 2014. Il primo, a cura di Paola Delbianco, L’universo internazionale della cultura e delle arti tra Rimini, Parigi e Roma. Il fondo des Vergers della Biblioteca Gambalunga di Rimini, è una sorta di Summa, frutto di un lavoro decennale, sui terreni ancora inesplorati delle imprese culturali ottocentesche (fino all’Algeria e al Mondo arabo), sulle quali la Francia imperiale napoleonica investiva internazionalmente su tutti i piani. Vicina a San Marino Repubblica della libertà, rifugio dell’epigrafista Bartolomeo Borghesi, Rimini era una postazione e un osservatorio strategico, favoriva vantaggiosi affari, e anche il loisir dei bagni di mare appena inaugurati.

 

Il secondo volume, di Giulio Paolucci, si occupa di Archeologia romantica in Etruria: gli scavi di Alessandro François e Adolphe Noël des Vergers ed è stato costruito sulla base degli epistolari di des Vergers e François, conservati per la maggior parte nel Fondo riminese. Per la prima volta Paolucci li integra e studia, con altri fondi, documenti, e risultati di scavi, che egli ha condotto spesso in prima persona. Oggi, nell’immaginazione popolare sull’archeologia in Italia, nominare François vuol dire suscitare l’epopea di Vulci. Gli scavi di Vulci furono tra i più famosi anche nell’Ottocento, e ancora oggi la tomba, gli affreschi, i reperti, hanno continuato a occupare un posto speciale tra le avventure nel mondo etrusco. A quegli affreschi, fra l’altro, si devono le conferme di episodi legati alle vicende dei re di Roma e di Servio Tullio (Mastarna), che segnano il tramonto delle dinastie etrusche dei Tarquini. Des Vergers si servì dei lucidi degli affreschi, prodotti in grandezza naturale, per decorare la fascia superiore della Biblioteca nella propria villa di San Lorenzo in Correggiano a Rimini. Gli originali, fatti staccare nel 1863 dal principe Torlonia, proprietario del fondo, e altro naturale socio dell’impresa di Vulci, sono tuttora conservati, invisibili al pubblico, nel magazzino di Villa Albani-Torlonia. Le narrazioni in diretta della fortunata scoperta si leggono negli scritti di des Vergers (e negli approfondimenti di Paola Delbianco sul Fondo gambalunghiano, con i relativi riscontri degli studi di Giulio Paolucci), e nell’epistolario con i segretari dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica. Paolucci ricostruisce anche le vicende dell’importantissima collezione di des Vergers composta di vasi, bronzi, gioielli, in parte ora al Louvre e nei musei del mondo, in parte ancora dispersa, in parte donata alla Gambalunga di Rimini, insieme alla biblioteca e alle carte del Fondo.

 

Il volume su Le scienze dell’antichità nell’Ottocento. Percorsi romagnoli e riminesi, curato da Rosita Copioli, comprende le conferenze che si svolsero dal 23 ottobre 2009 al 16 aprile 2010 presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini. Dedicato a Enzo Pruccoli (1948-2011), eminente figura di studioso, quasi “quarto figlio” di Augusto Campana, responsabile culturale della Fondazione, il libro rievoca la storia della cultura di dimensione europea della Romagna rappresentata nel Novecento da Campana, e praticata tra Sette e Ottocento, quando Giuseppe Garampi, Giovanni Cristofano Amaduzzi, Angelo e Francesco Gaetano Battaglini, Gaetano Marini, Bartolomeo Borghesi, Luigi Tonini, diedero un contributo che non ha pari in altre regioni italiane, e nella stessa capitale. Nei saggi di vari studiosi (Angela Donati, Jacopo Ortali, Marco Buonocore, Antonella Romualdi, Fulvia Donati, Henner von Hesberg, Bernard Frischer, Giulio Paolucci, Daniela Felisini, Françoise Gaultier, Filippo Delpino) sono presentate inedite indagini archeologiche, ritratti di finanziatori, di collezionisti, di studiosi e conservatori.

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