Elezioni 2016: il destino di Rimini si decide altrove
Se non fosse per la “storica” discesa in campo dell’avvocato Pierpaolo Poggi, che di tanto in tanto manda le sue pillole di programma ai giornali e che domani presenterà la sua lista “per cambiare Rimini”, la cronaca politica riminese è da alcuni giorni rientrata in una routine desolante, tanto che un eventuale marziano catapultato a Rimini stenterebbe a credere che si voti per il nuovo sindaco fra quattro mesi.
D’altra parte cosa si può raccontare di interessante, quando ormai appare chiaro che il destino delle elezioni (nel senso di liste e candidati) non lo si decide a Rimini? Partiti e movimenti politici appaiono asserragliati in una fortezza in attesa dell’arrivo risolutivo dei tartari. Questi tartari hanno, da una parte, l’aspetto della lunga chioma “permanentata” del guru di Milano che deve decidere a chi dei contendenti in campo assegnare il simbolo a 5 stelle. Dall’altra parte, i tartari hanno il volto di un trio diviso su tutto, a partire dalle candidature nelle grandi città (figurarsi nei capoluoghi di provincia!).
I riminesi escono da un promettente e speranzoso inverno e si avviano a testa bassa verso la primavera del loro scontento. I grillini (alcuni, dobbiamo adesso precisare) pensavano di aver trovato in Davide Grassi il cavaliere senza macchia e senza paura che avrebbe portato all’incasso se non la cambiale della vittoria, certamente quella del ballottaggio, dove poi tutto si rimette in gioco. Ma non avevano fatto i conti con l’ex moglie del capo supremo, che si è messa di traverso e ha sponsorizzato un’altra lista capitata da tal Fabio Lisi. Complici anche le regole a dir poco stravaganti che governano l’universo a 5 stelle, nessuno dei due candidati in campo può fregiarsi del titolo ufficiale. Aspettano che Casaleggio emetta una sentenza che sarà tutt’altro che salomonica: in questo caso la spada taglierà e non ci sarà nessuno che pregherà di dare il simbolo all’avversario.
In casa del centrodestra si è visto di tutto. All’inizio è stato il fiorire delle liste civiche, con l’ambizione di guidare il grande rassemblement con la mission storica di mandare a casa il sindaco Andrea Gnassi. O si hanno i voti o si hanno i candidati forti e indiscutibili: non avendo nè gli uni né gli altri, ha avuto buon gioco il proconsole salviniano Jacopo Morrone a scompaginare tutto e a far partire l’avvocato Marzio Pecci verso una perdente corsa solitaria. Le liste civiche sono rimaste a leccarsi le ferite, quello che un tempo era il partito guida (Forza Italia) è sempre in attesa di un editto risolutivo del Cavaliere o di chi per lui, l’altro partito (Fratelli d’Italia) spera che il vuoto possa essere riempito dal sempre in corsa Gioenzo Renzi. Nel frattempo è sceso in campo l’ex grillino Luigi Camporesi e molti nel centrodestra hanno cominciato a guardare a lui, nonostante la cultura giustizialista così poco berlusconiana, come al nome da stampare sulle schede elettorali. In realtà, fra delusioni, desideri reconditi e sogni dell’impossibile, nessuno decide.
E nemmeno vuole decidere. L’ennesimo candidato imposto da Roma (vedi Renzi nel 2011) non farebbe saltare di gioia nessuno, ma permetterebbe a ciascuno di salvare la faccia (ci abbiamo provato, ma…) e di coprire il vuoto della politica locale. Se la scelta è fra Camporesi, Renzi, Barboni, Mauro (e chi più ne ha più ne metta), significa che un progetto politico serio non c’è o, se c’era, è presto naufragato. Quindi ben venga che il destino di Rimini venga giocato sullo scacchiere nazionale, dove potrebbero anche prendere la salomonica decisione che ognuno corra per sé e ci sia gloria per tutti.
Soprattutto per il sindaco uscente Andrea Gnassi.