Quando vengono pubblicati dati e informazioni sulle dichiarazioni dei redditi dei riminesi, in certa classe politica e amministrativa scatta immediatamente una sorta di riflesso condizionato, un riflesso che porta a dichiararsi scandalizzati per l’alto tasso di evasione che i propri concittadini impunemente realizzano (un campione di questo atteggiamento è l’ex presidente della Provincia, Stefano Vitali).
Sia chiaro: a Rimini, come nel resto d’Italia, l’evasione c’è, non se ne discute nemmeno per un secondo. Ciò che invece si può discutere è la sola reazione moralistica e indignata, da bar o da social – decidete voi. Soprattutto chi ha un ruolo pubblico dovrebbe, oltre all’indignazione, comunicare un’analisi più articolata di ciò che accade all’interno dell’economia cittadina (ne ha gli strumenti e l’obbligo) e magari offrire anche qualche ipotesi di soluzione concreta.
Questa classe politica, poi, sembra completamente priva di memoria storica e dimentica (oppure ne è cosciente ma finge il contrario) come lo sviluppo turistico di Rimini si sia basato sull’implicito e silenzioso patto di non belligeranza fiscale (e non solo) fra il potere amministrativo locale e gli operatori economici.
Sorprende inoltre che in questi estemporanei dibattiti nessuno abbia mai cercato di affrontare un tema che balza immediatamente agli occhi. Se albergatori, bagnini, commercianti, artigiani, liberi professionisti, sono in larga parte mascalzoni che dichiarano solo una minima parte del reddito che producono, perché allora il Comune garantisce facilitazioni (l’esonero dall’addizionale Irpef) a chi dichiara meno di 15 mila euro? Certamente in quella platea ci sono dipendenti e pensionati a basso reddito, ma se è vero che tutti evadono non c’è il rischio concreto di premiare anche chi nasconde parte dei propri redditi al fisco?
Tornando alle reazioni moralistiche, l’assessore Gian Luca Brasini, dopo la pubblicazione di alcune tabelle da parte de Il Sole 24 Ore, ha dichiarato che quei dati “non possono non far balzare sulla sedia, soprattutto se si va a recuperare dai cassetti altri tipi di graduatorie, che invece vedono il nostro territorio al vertice per numero di auto di lusso e via dicendo”. Questo – ci sia consentito – è populismo un tanto al chilo. E se è vero che dal 2010 al 2014 i redditi medi invece che crescere sono diminuiti, bisognerebbe almeno mettere in relazione le tabelle del Sole con i rapporti periodici della Camera di Commercio o il Rapporto annuale sull’economia. Da questi si evince, ad esempio, che solo quest’anno si è registrato qualche timido segnale positivo, dopo anni nei quali Rimini è stata il fanalino di coda della Regione; e che se il tasso di disoccupazione è sceso al 9,5%, resta comunque il più alto in regione dopo Ferrara. La disoccupazione giovanile è arrivata al 23,5%, valore triplicato rispetto al 2008. L’utilizzo della Cassa Integrazione Guadagni diminuisce dell’11,7% rispetto al 2014, però aumenta la CIG Straordinaria del 30,6%, unica provincia in Regione. Le imprese attive sono 34.339 contro le 34.503 del 31 dicembre 2014, con un decremento dello 0,5%. Le cessazioni di impresa sono di più delle nuove iscrizioni. In cinque anni il turismo riminese ha perso 800 mila presenze, l’analisi sui bilanci degli hotel gestiti da società di capitale informa che se le banche chiedessero un minimo rientro salterebbero tutte.
Tutto questo semplicemente per dire che se la crisi ha colpito anche Rimini, non è sorprendente constatare che anche i redditi dichiarati siano diminuiti.
Nel 2014 il reddito medio dei riminesi è stato di 18.620 euro a fronte di una media nazionale di 20.070. A Rimini l’84 per cento dei contribuenti è costituito da lavoratori dipendenti e pensionati. A livello nazionale, la percentuale è inferiore (82). La media di reddito di un dipendente è 17.988 (18.039 nel 2013) e di un pensionato 16.354 (16.030 nel 2013). Si può osservare, visto che si tratta di importi lordi, che sono redditi molto bassi, ma fra questi, come ben noto, nessuno evade. Passiamo ai lavoratori autonomi. A Rimini il loro reddito medio è di 36.531 euro, leggermente superiore alla media nazionale (35.660) e inferiore al 2013 (37.881). Rappresentano il 2,5 per cento dei contribuenti riminesi. Gli imprenditori in contabilità ordinaria (sono lo 0,36) dichiarano 28.801(23.794 nel 2013), gli imprenditori in contabilità semplificata (sono il 4 per cento) hanno un reddito medio di 16.939 (16.739 nel 2013). Da ricordare che secondo il Ministero «per imprenditori nelle dichiarazioni Irpef si intendono i titolari di ditte individuali, escludendo chi esercita attività economica in forma societaria». In queste ultime due categorie rientrano insomma le famose “partite IVA”.
Meno consistente è la media dei redditi da partecipazione (14.717, quasi uguale al 2013) che sono l’8,3 per cento del totale. Da rilevare che ci sono anche 736 contribuenti che hanno dichiarato un reddito inferiore allo zero, cioè ci hanno rimesso.
Abbiamo visto che l’84 per cento dei contribuenti, sommando dipendenti e pensionati, dichiara un reddito medio di 17 mila euro e che la media generale riminese è di 18.620 euro. Senza dubbio ci si aspetta che il contributo di autonomi, imprenditori e partecipazioni faccia crescere la media con valori più alti. Così non è, però ciò non rende facile e automatico individuare dove si annidi l’evasione. Abbiamo forse un notevole numero di evasori totali? Ancora prospera il lavoro nero? Siamo in presenza di un esteso uso truffaldino delle norme di elusione? Sappiamo che il fisco oggi ha gli strumenti, attraverso l’incrocio delle varie banche dati, di scovare sia l’uno che l’altro fenomeno. Quindi c’è da augurarsi che nel breve e medio periodo il sommerso venga finalmente alla luce e si possa verificare a quanto ammonti effettivamente l’evasione. Lo stesso Comune di Rimini partecipa ad un progetto virtuoso di recupero dell’evasione che ha portato somme non simboliche nelle proprie casse. Ciò che non serve sono invece le frettolose analisi moralistiche, utili solo per la campagna elettorale. Analisi nelle quali la coperta dell’evasione fiscale sembra quasi dover coprire (anche) i numeri poco confortanti dell’economia riminese e il poco che si fa per aiutarne la ripresa e favorire le imprese.