Un concerto per crescere nella bellezza. Crescere tutti. Sia chi è protagonista dell’evento, ovvero il grande coro di giovani e meno giovani, nato dall’amicizia del gruppo musicale Amarcanto con l’associazione dei ragazzi di Open e quella delle famiglie de Il Ponte sul Mare. Sia chi sarà al Teatro Novelli sabato 14 maggio (domani) alle ore 21 (entrata a offerta libera) per ascoltarli in concerto. Canta per il mondo, darà saggio del loro repertorio proveniente da tutte le tradizioni musicali del mondo. Ma potranno crescere immersi nella bellezza di un percorso educativo all’altezza della dignità della persona umana anche i 10 ragazzi dell’Uganda che riceveranno, grazie a quanto verrà raccolto durante la serata, la possibilità di iscriversi presso la scuola Luigi Giussani a Kampala.
È questo uno delle decine di progetti curati da AVSI e sostenuto dalle tradizionali campagne annuali di raccolta fondi, di cui il momento di sabato sera – a cui non si può mancare – è un esempio nobile.
Tre anni di concerti, in un Teatro Novelli pieno di gente ed entusiasmo, prove, lavoro, rapporti che già lasciano assaporare una novità possibile fin da subito, fin nell’oggi, e che subito si spalanca sul mondo intero fino ad arrivare a Kampala. E non solo per interposta persona. I ragazzi che avranno il sostegno di cui dicevamo sono stati incontrati via web dagli amici del coro, come ha raccontato Buongiorno Rimini. Non sono anonime “situazioni di bisogno” ma persone vere e vive, ora amici, con cui stringere una relazione. E le relazioni, se vere, cambiano le persone. Così i ragazzi ugandesi hanno risposto al grande coro riminese mettendo in piedi un loro coro, in un ribalzare di note, tra continenti, che ha dell’incredibile.
Ma a proposito di cambiare le persone, sabato sera ci sarà la possibilità di ascoltare anche la testimonianza di un protagonista di primo piano della straordinaria attività di AVSI. Si tratta del medico e scrittore Alberto Reggiori.
Lo abbiamo intervistato e le sue parole hanno fatto crescere in noi la curiosità di incontrarlo sabato sera. Ecco l’intervista.
Alberto ci spieghi come è nata la scelta di partire? Eri sposato da soli due anni, immagino le cose da sistemare… e invece nel 1985 da Varese ti ritrovi in Uganda…
Tutto è nato dall’aver visto e incontrato alcuni medici missionari che in quegli anni spesso venivano a Varese a raccontare la loro esperienza. Poi ho visto partire miei amici e non ho potuto che provare una profonda invidia per loro. Testimoniavano una vita piena, vera, che ho desiderato vivere anche io. Quel desiderio, di cui mi chiedevo se fosse un mio pallino o qualcosa d più, è stato illuminato dalle parole di Giovanni Paolo II. Ad un’udienza (29 settembre 1984) che concesse alla Fraternità di Comunione e Liberazione, ci disse “Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace, che si incontrano in Cristo Redentore”. Lì capii che quel mio desiderio era una cosa seria. Ne parlai subito con mia moglie che era del tutto d’accordo e partimmo per l’Uganda. Avevamo già un figlio…
E non ti sei più fermato…
La permanenza in Uganda fu di dieci anni circa, ma tutt’oggi uso le mie ferie per andare nei diversi luoghi dove AVSI ha bisogno. Sono stato in Sud Sudan, Iraq, Haiti, Albania, Messico…
Quale il contributo più importante che il tuo partire, ma anche il nostro ben più semplice aiuto, può offrire a queste persone? Qual è il valore di quanto si sta facendo?
Attraverso le opere che si realizzano, quello che veramente è importante, e che può dare frutti, è portare una stima e una coscienza del valore di chi si incontra. Attraverso parole e gesti concreti noi stiamo dicendo a quelle persone che valgono, che sono importanti, che le stimiamo per il loro grande valore. Si potrebbe dire oggi, nell’anno Santo, che ciò che conta è portare uno sguardo di misericordia che faccia capire all’altro che ha un valore e ha capacità di vivere. Questo è ciò che fa rinascere le persone e le fa diventare protagoniste esse stesse, in prima persona, di una ricostruzione della loro terra martoriata.
In questi anni hai incontrato situazioni difficile e dolore sconfinato. Immagino che sia impossibile reggere tutto questo senza un “ricevere”, un imparare… Che cosa hai ricevuto da questa esperienza? E quanto ricevuto là, è vivibile anche qui italia?
Ho verificato di persona che la vita è qualcosa che si guadagna dandola, spendendola. È scritto nel Vangelo, ma posso dire di averlo verificato. Ognuno può verificarlo nella sua esperienza quotidiana. Se la vita la vivi per te, la chiudi in te, il tempo te la porta via. Invece se la doni, ti ritorna molto più potente. Posso dirlo di averlo verificato in termini umani, in mille rapporti.
Tra questi l’incontro con Veronica, madre bambina, malata di AIDS...
L’incontro con Veronica è uno di quelli che ci porteremo sempre dentro, uno di quelli in cui capisci cosa è l’essenziale. Lei ha cominciato a venire da noi quando si è ammalata di AIDS. Aveva una storia terrible alle spalle. Ha visto qualcosa di buono, ha desiderato stare sempre più con noi, fino a chiedere di essere battezzata. Dalla disperazione che viveva prima è nata in lei una speranza. E attorno a questi rapporti anche la mia vita è rifiorita, la mia e quella della mia famiglia, compresi i rapporti tra me e mia moglie, perché ovviamente ci sono stati momenti non semplici.
Quale il momento più difficile?
Quando arrivò la guerriglia, la situazione era diventata pericolosa per le famiglie. Erano nati altri miei figli là (ben tre nacquero in Uganda ndr) e non era sicuro rimanere per loro. Così -eravamo tre o quattro famiglie- decidemmo di rimanere solo noi medici. Il distacco è stato duro per tutti.
Invece il momento più bello, più commovente?
Sicuramente la visita di Giovanni Paolo II. Quando venne in Uganda, per un caso fortuito potemmo anche dialogare con lui.
Qual è, in questo momento, la frontiera più delicata su cui operare?
AVSI ha deciso di dedicare tutti i suoi sforzi quest’anno ai profughi, in particolare i cristiani perseguitati nel mondo. L’intervento è rivolto sia ad alleviare le condizioni di vita nelle loro terre, dove spesso hanno perso tutto, sia nei centri di accoglienza qui in Europa. Vi sono tantissime iniziative di aiuto sparse in tutta Italia. Questi uomini, nostri fratelli, hanno perso tutto per non perdere la loro fede.
Emanuele Polverelli