All’incontro di mercoledì sera fra le forze politiche e civiche dell’area del centrosinistra ha partecipato anche il segretario provinciale del Pd, Filippo Sacchetti. “Sono andato anche se il nostro contributo programmatico alla coalizione sarà pronto solo fra una settimana. Ma a quel tavolo c’erano i rappresentanti di altre forze politiche ed era doveroso che anch’io fossi presente”. Secondo la nota diffusa da Kristian Gianfreda, coordinatore delle liste civiche, “Il tavolo è nato con l'obiettivo fondamentale di confrontare e comporre il programma, evitare le primarie e ricondurre le varie anime della coalizione all'interno di un confronto democratico e trasparente”. E la volontà emersa è stata: “continuare un percorso unitario che eviti le primarie attraverso un tavolo programmatico aperto e rispettoso dei tempi e delle modalità delle diverse anime della coalizione”.

Sacchetti conferma la volontà di proseguire in questo percorso unitario, partendo innanzitutto dal programma che, dopo il confronto, dovrà essere condiviso da tutta la coalizione.

Probabilmente non è molto difficile che i diversi attori riescano a mettersi d’accordo sulle cose da fare; più complesso appare al momento il tentativo di giungere ad un candidato unitario fra Emma Petitti e Jamil Sadegholvaad. Quest’ultimo candidato nel nome della continuità con l’amministrazione Gnassi, la prima, espressione di quella parte del Pd che ha mal sopportato Gnassi per dieci anni.

“Certamente insisto per un percorso unitario anche per la candidatura a sindaco”, afferma Sacchetti. E come ci si arriva? “Si ascoltano e si mettono a confronto le persone che si sono candidate, si cerca di capire quale prospettiva hanno in mente per la città, e poi si cerca di fare una sintesi”.

Detta così sembra semplice, ma in pratica che succede? Evidentemente uno dei due si deve ritirare, non si vedono terze proposte all’orizzonte. “Ci fosse una persona terza – conviene Sacchetti – sarebbe già emersa, non saremmo nell’impasse attuale. Dico anche che se non fossimo nella situazione attuale, con la pandemia che limita la libertà di movimento e di incontro, sarebbe stato anche positivo e interessante mettere a confronto due proposte con primarie in presenza. Ma la pandemia non ce lo consente”.

Le primarie si possono fare anche online, il Pd ha annunciato per la fine del mese una piattaforma dove poter scegliere i candidati. Ma Sacchetti non ne vuole sentir parlare. “Ancora non esiste, una eventuale votazione sul candidato di Rimini sarebbe un test al buio. Ancora non si sa come funzionerà, chi la governa, come saranno profilati gli utenti. Non si possono organizzare primarie su una cosa così improvvisata”.

Bisogna allora arrivare al candidato unitario. Ma i due protagonisti, Petitti e Sadegholvadd, sono disponibili al percorso? “Da quel che ho letto nelle loro dichiarazioni – risponde Sacchetti – sembrerebbe di sì. Se poi queste intenti si concretizzeranno o meno, lo vedremo. Io spingo che si lavori in questa direzione”.

Il segretario del Pd riconosce qual è il punto. “Il problema non è Jamil in conflitto con la Petitti, o viceversa. In altre città della regione, i candidati del centrosinistra sono uomini delle giunte uscenti, direi che è quasi normale che succeda. Con questo non faccio una scelta di parte, mi mantengo assolutamente neutrale. Voglio solo dire che il vero nodo da sciogliere viene da lontano, direi che affonda nella notte dei tempi”.

Nella notte dei tempi probabilmente no, ma negli ultimi vent’anni di politica riminese certamente. Se le cose stanno così, la ricerca di una soluzione unitaria appare una mission impossibile.

 

In attesa che venga sciolto il decisivo nodo del candidato sindaco, il panorama delle forze politiche di centrodestra a Rimini presenta diversi aspetti curiosi e interessanti. C’è la Lega, impegnata in una campagna acquisti, che mostra un volto aperto e inclusivo e ha lanciato l’idea del candidato civico. C’è Fratelli d’Italia, con una forte capacità attrattiva, che ha già richiamato Nicola Marcello, Carlo Rufo Spina e Filippo Zilli (anche se quest’ultimi due sono ancora ‘sospesi’ perché il capogruppo e uomo storico del partito, Gioenzo Renzi, è asserragliato nel suo fortino personale e non dà il via libera). In mezzo c’è Forza Italia, un tempo partito guida e pensante del centrodestra riminese, ormai ridotta a una scatola vuota in attesa di essere riempita.

“Rifiuto decisamente questa immagine della scatola vuota, - afferma il senatore Enrico Aimi, dal novembre scorso commissario regionale di Forza Italia, dopo che Galeazzo Bignani è passato armi e bagagli a Fratelli d’Italia – è un’immagine ingenerosa per le idee di cui noi siamo portatori e che sono diffuse nell’elettorato più di quanto si pensi. In questi mesi abbiamo dimostrato grande senso di responsabilità. Siamo i difensori della proprietà privata, dei valori cristiani, del migliore europeismo, della cultura garantista, delle riforme di cui l’Italia ha bisogno”.

Va bene senatore, scatola vuota era solo un’immagine per dire che in consiglio comunale a Rimini non c’è rimasto nessuno e non si vedono attività sul territorio…

“Come primo atto ho provveduto a nominare il senatore Antonio Barboni commissario provinciale di Rimini. Barboni è una figura di alto valore morale e molto preparata. Inoltre gli ultimi sondaggi nazionali ci danno in costante crescita, il momento peggiore è passato, noi continuiamo ad avere come orientamento gli interessi dell’Italia. Per noi sono fondamentali le misure di rilancio dell’economia, la possibilità di riaprire tutti i locali pubblici – bar, ristoranti, piscine, palestre, ecc. – in piena sicurezza. Vogliamo essere il punto di riferimento per tutte le categorie abbandonate dalle politiche populiste e che ora sono a rischio di chiusura”.

Torniamo al partito a Rimini. Si sta muovendo qualcosa?

“Barboni mi ha già inviato una relazione sulla situazione di Rimini. Certamente con le varie restrizioni è difficile organizzare incontri e manifestazioni sul territorio. E poi al momento attuale non è vero che non ci sono uomini di Forza Italia: abbiamo consiglieri comunali, assessori, responsabili di dipartimento. Non appena ci si potrà riunire e organizzare iniziative pubbliche emergerà che c’è una struttura pronta a tornare sul territorio e a fare politica”.

Intanto bisogna pensare al candidato sindaco del centrodestra per Rimini. Ci sono idee, nomi?

“Ci sono, si stanno esaminando vari profili. Credo sia nostro compito scegliere quello non tanto più corrispondente al centrodestra ma ai bisogni e alle esigenze della città di Rimini”.

Quindi anche lei è per un candidato civico?

“Non credo ci si debba impiccare a una soluzione o l’altra. Bisogna scegliere il migliore. Se una figura civica è in grado di catalizzare il voto degli indecisi e di quella parte dell’elettorato che ancora non ha grande empatia con la politica, allora ben venga il civico. Altrimenti si vedrà un’altra soluzione. Non è questione di etichetta”.

Ma il candidato si decide a Rimini o al tavolo regionale?

“Abbiamo sempre lasciato autonomia al livello provinciale. Se ci provano e trovano frizioni insuperabili, allora si dovrà fare riferimento al livello regionale. Ma non credo sarà il caso di Rimini”.

Circola da tempo la voce che nello scacchiere emiliano-romagnola la casella Rimini spetti a Fratelli d’Italia. È vero?

“Non mi risulta”.

Il centrodestra in Regione chiede le dimissioni della presidente dell'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna, Emma Petitti. Esponente Pd in carica da un anno come numero uno dell'assemblea regionale, Petitti e' infatti sempre piu' lanciata verso una candidatura a sindaco di Rimini, con la possibilita' concreta di dover fare le primarie per ottenere la nomination. Per questo oggi Lega e Fratelli d'Italia hanno formalizzato la loro richiesta di un passo indietro. La presidenza dell'Assemblea, scandisce il capogruppo del Carroccio Matteo Rancan, e' "incompatibile con la carico di sindaco e anche con la candidatura". Intervenuto all'inizio della seduta di oggi dell'assemblea, Rancan ha chiesto a Petitti una "riflessione celere su questo punto", alla luce del passo in avanti verso la candidatura. "Si palesa la volonta' di candidarsi a sindaco di Rimini, questo fa venir meno la possibilita' di rappresentare tutte le forze politiche", dice Rancan, precisando che non si tratta di nulla di "personale" nei confronti della presidente. Quindi Petitti "valuti le dimissioni, perche' e' giusto e corretto che si arrivi ad una presidenza che garantisca tutte le forze politiche". Stessa richiesta nelle parole del consigliere Fdi Michele Barcaiuolo. "La seconda carica istituzionale della Regione non e' compatibile con una candidatura a sindaco": l'assemblea non puo' insomma essere guidata da una "figura di parte". Per questo Barcaiuolo chiede formalmente a Petitti "di trarne le dovute conclusioni". (Agenzia Dire)

L’assessore regionale ai trasporti Andrea Corsini ne trae subito la conseguenza (anche se il passaggio logico non è immediato) che «i quattro aeroporti dell’Emilia-Romagna possono non solo convivere ma sviluppare in modo decisivo le nostre infrastrutture ed essere sempre più determinanti per i collegamenti da e per l’Europa». In ogni caso è certamente positiva la notizia del via libera della Commissione Ue agli aiuti di Stato per l’aeroporto Fellini di Rimini pari a 12 milioni di euro. Sindaco uscente, Gnassi, e aspiranti successori, Petitti e Sadegholvaad, sono tutti intervenuti per celebrare la novità. La richiesta alla Direzione generale della concorrenza era stata inoltrata dalla Regione il 26 giugno 2019 e il responso (la decisione di non sollevare obiezioni sugli aiuti) è arrivata il 29 gennaio scorso, dopo un anno e mezzo di iter. L’85 per cento delel richieste viene subito evaso con una semplice valutazione, solo nei casi più controversi viene aperta una indagine formale ed il caso viene iscritto nel registro degi aiuti di Stato. E’  il caso appunto della Regione Emilia Romagna per l’aeroporto di Rimini.

 Il panorama dell’aviazione, causa pandemia Covid, è molto cambiato dal momento della richiesta. Il 2020 si è chiuso per lo scalo di Rimini con appena 50 mila passeggeri, un calo dell’87.3 per cento rispetto al 2019. Le cose sono andate male per tutti, la media nazionale del crollo è del 72,6 per cento, ma Rimini si aggiudica la maglia nera fra gli aeroporti italiani anche perché, con le frontiere generalmente chiuse, non dispone di voli di linea interni.

Il via libera dell’Unione europea è stato quindi salutato come un buon presagio di ripresa dopo il superamento dell’emergenza, di cui ancora, in verità, non si vede l’arrivo. «Il rilancio dell’infrastruttura romagnola – assicura l’assessore Corsini - avrà infatti un impatto positivo con ricadute economiche significative sull’intero territorio regionale». Perché questo avvenga occorre che i fondi siano resi disponibili  e la società di gestione apra i cantieri. «Ora è necessario accelerare tutti i passaggi, a partire dal primo in Assemblea legislativa per l’approvazione della legge utile ad autorizzare i fondi di aiuto, per far sì che siano messi a terra gli investimenti previsti nel piano aziendale Airiminum». Secondo le dichiarazioni di Corsini, i 12 milioni messi dalla Regione vanno ad aggiungersi agli altri 12 che stanzierà la società di gestione nei prossimi quattro anni. Il piano complessivo di Airiminun dal 2021 al 2033 prevede un investimento complessivo di 47 milioni. 

La nota della Regione precisa anche quali saranno gli ambiti di intervento. Innanzitutto l’allineamento dell’infrastruttura ai requisiti previsti dalla certificazione Easa (l’agenzia europea per la sicurezza negli aeroporti), implementando entro il 2022 un piano d'azione idoneo alle operazioni di volo. Il secondo ambito è il completamento degli interventi richiesti dal cambio di status dell'aeroporto di Rimini - da militare a civile - mediante la creazione di nuovi servizi per l'area civile dell'opera. Terzo obiettivo riguarda il rinnovo dell’aeroporto attraverso la realizzazione di diversi interventi che erano stati accantonati da Aeradria prima del suo fallimento, quali, ad esempio, la ristrutturazione area cargo e area terminal, la sostituzione dei banchi check-in, l’impianto BHS e le cinture portabagagli, gli impianti di riscaldamento e condizionamento, l’impianto antincendio. È sempre stato detto che la Regione sarebbe intervenuta a sostegno delle opere strutturali, in realtà il quarto ambito di intervento riguarda «la gestione efficace dell’aumento del traffico aereo passeggeri registrato negli ultimi anni e dovuto, in larga parte, al nuovo modello di business di Airiminum incentrato sui voli di linea». Si capisce che parte dei soldi saranno spesi per portare nuovi voli.

«E' una notizia attesa, ma oggettivamente una grande notizia per tutto il territorio di Rimini», esulta il sindaco Andrea Gnassi.  Secondo il sindaco «per troppi anni si era sviluppata una dinamica distorta per cui Paesi come Spagna, Grecia, Turchia, Inghilterra, Est Europa potevano contare in qualche modo su 'sostegni/aiuti/escamotages' per i loro scali, in una logica di promozione dei flussi turistici e di crescita di quelle aree. Tutto ciò in un quadro perennemente confuso e interpretabile a livello continentale e dunque, a cascata, dei singoli Stati. E in Italia si è precipitati in un vero e proprio corto circuito». 

Il sindaco esprime l’auspicio che «con la stessa determinazione che la Regione Emilia Romagna e i territori hanno sviluppato a favore dell'aeroporto, l'Italia faccia lo stesso per il comparto fieristico. Per Rimini, e non solo, altrettanto strategico». 

Anche l’amministratore delegato di Airiminum, Leonardo Corbucci, è intervenuto per esprimere grande soddisfazione per «il via libera agli investimenti della Regione Emilia Romagna per l'aeroporto». Corbucci ringrazia per nome tutti i protagonisti del risultato: il presidente Bonaccini, gli assessori Donini e Corsini, i dirigenti Ferrecchi e Brognara ed il sindaco Gnassi. «Con il progetto autorizzato dall’Europa, che indica, con chiarezza e precisione gli scenari futuri, conclude Corbucci, Airiminum si riconosce dunque come parte di progetti di crescita della regione e conferma la propria volontà, come gestore di una infrastruttura pubblica, a corrispondere a tutte le opportunità del territorio». 

Quando sarà superata l’emergenza Covid e riprenderanno i voli, il Fellini si troverà con l’agguerrita concorrenza dell’aeroporto di Forlì che in questi mesi di pandemia ha lavorato per inserire collegamenti con destinazioni italiane del sud e all’estero. Inoltre, come solennemente promesso nei mesi scorsi, anche a Forlì la Regione darà il proprio contributo milionario. A quel punto si vedrà se e come la scommessa di Corsini (i quattro aeroporti possono coesistere e svilupparsi) potrà essere attuata. 

Ce ne ho messo per capire, ma forse sarebbe meglio usare il plurale, perché tutte le volte che ripenso a San Patrignano, sono costretto a fare i conti con un lungo itinerario personale che mi ha portato a cambiare il mio giudizio e prima ancora il mio sentire nei confronti della comunità. Tuttavia, vedo quel mio percorso e quello di tanti altri come me che certo non potevano dirsi sostenitori di Sanpa, accompagnato da un viaggio parallelo che ha visto la comunità crescere, svilupparsi, ma anche, così mi pare, cambiare progressivamente e profondamente rispetto ai tratti fondativi delle sue origini.

Nel mio rifiuto c’erano molte cose e, a ben guardare, tutte abbastanza confuse e contraddittorie .

C’era il retaggio della cultura antiautoritaria e libertaria del ’68, ma anche lo statalismo che avversava l’iniziativa privata nella sanità. C’era il disprezzo per qualsiasi culto della personalità che caratterizzava chi era sfuggito ai miti rivoluzionari di quegli anni, ma anche, sulla scia delle ricerche della sinistra americana (Monthly Rewiew), le letture complottiste che vedevano dietro alla tragica diffusione della droga un piano mondiale per distruggere i movimenti rivoluzionari giovanili. C’era la compassione per i conoscenti e gli amici che si erano persi in quel mondo maledetto, nutrita dalla speranza che saremmo riusciti a salvarli con gli ideali di una società nuova, ma anche l’illusione di una scorciatoia farmacologica per spezzare quella catena o quella di cancellare il mercato della morte colpendo chirurgicamente soltanto i grandi trafficanti della malavita organizzata.

Le notizie che giungevano dalla collina di San Patrignano facevano il resto. Le reclusioni forzate, le testimonianze delle violenze, i racconti sulla setta della vigna cristica, le leggende sui ricconi che la finanziavano per liberarsi da figli cui non volevano più dedicarsi.

Quanti anni ci sono voluti per capire? Credo che la svolta vera sia avvenuta con la scomparsa di Vincenzo Muccioli. È difficile, quasi cinico, dirlo così, tuttavia penso sia la verità. Non c’entra l’idea che con la sua scomparsa venissero a perdersi anche il ricordo e le ragioni delle contrapposizioni più aspre.

Il piano della riflessione fu un altro. La sua morte costrinse molti di quelli che come me avevano piano piano imparato a non considerare più Sanpa come un avversario, ma non riuscivano ancora a riconoscerla come un proprio patrimonio, a fare pienamente i conti con la realtà di quella straordinaria esperienza umana di solidarietà, di ricerca e di terapia.

Ricordo quei giorni come giorni di angoscia, di ammirazione per il dolore autentico che attraversava tante persone, ma anche di grandissima preoccupazione, tra chi aveva le leve del governo locale, per cosa sarebbe potuto succedere con la scomparsa del fondatore. C’era in quel sentire pieno di ansia una evidente sottovalutazione della costruzione che Vincenzo Muccioli aveva compiuto nel corso degli anni e della solidità del gruppo di dirigenti che aveva formato nel fuoco di quella esaltante e travagliata esperienza. Cosa sarebbe stato di quelle duemila persone che avevano trovato una nuova ragione per vivere tra le braccia della comunità? Come avrebbero potuto salvarsi senza San Patrignano? Le strutture pubbliche, che tanto amavamo, avrebbero saputo supplire e dare una qualche risposta di fronte ad un eventuale esodo dalla collina?

La necessità impellente di porsi quelle domande che avevano già in sé risposte univoche e perentorie, rappresentò un evento, almeno per me, che possedeva la forza dello “scandalo”. Mi costrinse e credo insieme a me costrinse tanti altri ad uscire da quella terra di nessuno nella quale, dopo gli anni della contrapposizione, ci eravamo rifugiati per troppo tempo. Certo l’assunzione di quel nuovo punto di vista non cancellò le differenze e la lontananza di ispirazione su tante questioni, né spense la polemica politica, ma da allora sono uscito dalla terra del “si, ma..” e ho cominciato a pensare che Sanpa era anche una cosa mia, una cosa alla quale il nostro paese non avrebbe mai potuto e dovuto rinunciare.

Nella mia attività politica ho avuto tre occasioni di rapporto con San Patrignano. La prima vota fu alla fine del 1986, quando ero segretario della federazione riminese del Pci: Vincenzo Muccioli chiese di incontrarmi per una questione che riguardava l’allora sindaco di Coriano, Sergio Pierini. Tornai poi nel 1996, quando Muccioli era ormai morto, per un dibattito in vista delle elezioni politiche. Ci sarebbe molto da dire su questi incontri, ma ragioni di spazio me lo impediscono.

Ho incrociato di nuovo San Patrignano negli ultimi mesi del 2000. Anche in quell’occasione fu il sindaco di Coriano, allora Ivonne Crescentini, a chiamarmi e a sottopormi una questione che la metteva in grandissima difficoltà e che sarebbe potuta diventare una vera e propria bomba mediatica e politica di dimensione nazionale.

La tentazione, almeno in una parte del vertice della comunità, di giocare una partita politica, anche al di là dei temi della lotta alla tossicodipendenza, non si era mai completamente spenta. Le interrogazioni parlamentari contro il tribunale di Rimini e le insistenti presenze di esponenti di Alleanza Nazionale ne erano una testimonianza. La normalizzazione dei rapporti con i poteri pubblici locali e regionali che pure aveva fatto straordinari passi in avanti risultava, comunque non compiutamente affermata. Per chi guardava dal di fuori, come me, c’era una obiettiva difficoltà a capire. Si percepiva l’esistenza di una sorta di doppio binario, quasi che, dopo la scomparsa del fondatore, a fianco del percorso di collaborazione intrapreso con la mano pubblica, ci fosse qualcuno che volesse colmare il vuoto di carisma lasciato da quella perdita, marcando comunque una propria alterità e calcando la ribalta della politica nazionale.

Confesso che quando Ivonne mi presentò il problema questa fu la prima cosa che pensai perché la questione conteneva molti tratti di un braccio di ferro politico.

Una parte molto estesa di San Patrignano era stata edificata abusivamente, senza i necessari permessi. Soltanto attraverso i diversi provvedimenti di condono edilizio che si erano susseguiti gli edifici abusivi potevano sperare di essere sanati. A questo scopo le richieste erano state regolarmente presentate. L’accoglimento dei condoni era però subordinato al versamento della sanzione che, vista la grande entità degli abusi, era davvero molto onerosa, si avvicinava infatti ai cinque miliardi di lire.

Il termine temporale per perfezionare il condono attraverso il versamento si avvicinava, ma al sindaco era stato comunicato che la comunità non era nelle condizioni, ne aveva intenzione di effettuare quel versamento.

Il comune di Coriano era in trappola. La presentazione della richiesta di condono edilizio funzionava come un’autodenuncia che non poteva essere ignorata. Nel caso del mancato perfezionamento il comune era obbligato ad abbattere o a incamerare nel proprio patrimonio gli edifici abusivi. L’alternativa era quella di finire in Procura per omissione di atti d’ufficio e alla Corte dei Conti per il danno arrecato alle casse comunali. D’altra parte, la legge, per quanto criticata e criticabile, era chiara nei suoi principi e nelle sue finalità. Le sanzioni dovevano servire a realizzare le infrastrutture ed i servizi che un nuovo insediamento abusivo, una volta sanato, comportava. Insomma una sostituzione degli oneri di urbanizzazione, perché il consumo del territorio non è mai gratis.

Che cosa sarebbe successo era facilmente prevedibile, lo scontro su San Patrignano sarebbe diventato nuovamente un grande dramma italiano. Si sarebbero scatenate le tifoserie contrapposte e lo scontro ideologico l’avrebbe fatta da padrone: il pubblico contro il privato, il liberismo contro le regole, la speculazione contro la difesa del territorio. Il tutto sulla testa di centinaia di ragazzi che, nella comunità, speravano di ritrovare la propria vita.

Dal mio punto di vista bisognava assolutamente trovare una via d’uscita. D’altra parte, gli abusi edilizi commessi non avevano certamente una finalità speculativa ed erano esclusivamente funzionali alla crescita della comunità. L’unica soluzione possibile, tuttavia, era creare una nuova normativa nazionale che riconoscesse la peculiarità di determinati abusi edilizi legati alle comunità terapeutiche.

In Senato eravamo alla vigilia della legge finanziaria 2001e trovai modo di discutere con il relatore della legge la questione che si era aperta, immaginando che San Patrignano non fosse l’unica realtà con un problema simile. Trovammo una soluzione attraverso due commi che vennero inseriti nel maxiemendamento conclusivo presentato dalla commissione bilancio. Con uno si esentavano le comunità dal versamento delle sanzioni, con l’altro si assegnavano ai comuni risorse finanziarie con un tetto di cinque miliardi per compensare i mancati introiti. La dizione era “comunità terapeutiche per tossicodipendenti e per disabili”, insomma non si trattava di un provvedimento ad hoc, anche se la sua nascita aveva un’impronta precisa.

La Finanziaria era ed è ancora una brutta bestia, pur avendo cambiato nome. Nelle interminabili sedute notturne della commissione può accadere di tutto. Per l’esame delle centinaia di commi in discussione a volte conta più la resistenza al sonno e l’attenzione certosina alle virgole, che la solidità delle argomentazioni.

Avevo lasciato la sera il relatore con l’accordo sul testo degli emendamenti, il cui accoglimento mi era stato confermato nella notte telefonicamente, ma la mattina, prima della votazione, riguardando il testo mi sono accorto che i due commi non c’erano.

Più stupito di me era il relatore che fortunatamente pretese con decisione che venisse immediatamente ripristinato il testo concordato, con un’errata corrige ai testi già stampati. Scoprimmo poi l’origine dell’inghippo. All’alba era intervenuta una “manina” che aveva cancellato i due commi per evitare che potesse avvantaggiarsene anche la comunità di don Gelmini, ad Amelia, dove il comune era impegnato in un estenuante guerra di trincea con il fondatore.

Volontà politiche diverse, anche se appartenenti allo stesso schieramento, avevano spinto in direzioni opposte. La verità era che i lunghi anni di travagliata convivenza con San Patrignano avevano insegnato a me e all’insieme dei governanti locali della nostra regione, di cui mi ero fatto portavoce con quella iniziativa, a compiere una distinzione fondamentale. Una cosa era l’appartenenza politica, altra il valore di quanto era stato realizzato attraverso la comunità e soprattutto che nulla poteva essere inchiodato a quanto era avvenuto in passato.

I nostri interlocutori sarebbero cambiati, sarebbero cresciuti, avrebbero potuto assumere un diverso punto di vista nel rapporto con il pubblico, nella misura in cui anche noi fossimo cambiati e avessimo provato a capire il loro punto di vista. Non si poteva consegnare agli strumenti limitati ed obbligati della via giudiziaria un rapporto che aveva invece uno spessore sociale, culturale ed umano straordinario.

Sergio Gambini

Jamil Sadegholvaad è sceso in campo per candidarsi a sindaco di Rimini nel segno della continuità con le amministrazioni Gnassi in cui è stato assessore. Ma nell’indicare la strada della continuità è stato accorto nel porre l’accento sulla discontinuità con il principale difetto di Gnassi, da più parti accusato di avere la sindrome dell’uomo solo al comando. “Non possiamo – ecco il passaggio centrale - sederci su quanto già realizzato o su quello che si realizzerà. Occorre, per i prossimi cinque anni, qualcosa di più e di diverso: quel qualcosa per me si chiama ‘insieme’. Io penso che mai come oggi, nell’epoca che stiamo vivendo, sia necessario un lavoro di comunità”.

Per rafforzare ulteriormente il passaggio, Sadegholvaad ha aggiunto: “Penso di poter dire che chi mi ha conosciuto in questi anni nel mio ruolo di assessore, dal semplice cittadino al rappresentante di categoria, dall’imprenditore alla persona con la quale mi sono incontrato in una delle tante assemblee pubbliche, abbia potuto constatare una propensione all’ascolto, al confronto e quando possibile alla soluzione delle problematiche. Ascolto e confronto. Sono due parole se vogliamo semplici, ma che racchiudono in sé metodo e sostanza per arrivare a una sintesi che, nella mia testa, non è sinonimo di compromesso o mediazione al ribasso. Rimini deve mantenere la stessa capacità di migliorare e innovare degli ultimi anni, aggiungendo tutte le soluzioni che sono necessarie a una società profondamente colpita dagli effetti socioeconomici della pandemia”.

La carta di identità è stata accuratamente tracciata: ascolto, confronto, lavoro insieme, di comunità. Una sottolineatura che è stata ben recepita da quanti hanno seguito la diretta Facebook: non sono mancati i commenti che sottolineavano: bravo, ascolto e confronto, quello che non faceva Gnassi.

Come luogo simbolico della sua discesa in campo, Jamil Sadegholvaad (“Sono l’assessore col nome strano”) ha scelto il cantiere delle scuole Ferrari, nel centro storico, dove nel 1978 lui stesso ha cominciato il percorso scolastico: “Rappresenta simbolicamente la Rimini che guarda al domani con fiducia, investendo con una nuova scuola sul futuro dei nostri giovani attraverso l’educazione e la conoscenza”. 

L’assessore nel suo discorso ha ben dosato i messaggi diretti alle diverse tipologie di elettorato. Per chi è attento alle ragioni dei più poveri: “Occorre adoperarsi per non lasciare indietro i più fragili, quelli che sono caduti, tutti quelli che sono andati a ingrossare la categoria degli “esclusi”. Nessuno escluso. Non è uno slogan, ma dovrà essere l’ossessione di chi avrà l’onore e l’onere di amministrare una Comunità, grande o piccola che essa sia”. Ma con la crisi economica da pandemia ha allargato la cerchia degli esclusi a tanti lavoratori autonomi e tanti imprenditori: “Per me responsabilità oggi vuol dire proprio questo: preoccuparsi tanto delle persone e delle famiglie in difficoltà, quanto delle tantissime imprese, sane, (grandi o piccole che siano) che rappresentano un volano fondamentale per la crescita della comunità”.

Superata l'emergenza anche Rimini vivrà una stagione di rigenerazione: “Compito del Comune è quello di accompagnare e sostenere questa onda, non pensare di comandarla con logiche dirigistiche. Si diano le regole, le si facciano rispettare ma non si comprima l’energia con la burocrazia”.

Non trascura gli ambientalisti e gli elettori cattolici sostenendo che la sostenibilità ambientale non fa riferimento solo al “Nuovo Patto verde” (Green New Deal) promosso dall’Unione Europea, ma anche all’enciclica “Laudato Sì”: “l’ambiente è la casa comune, il cui deterioramento danneggia tutti e in primis i più deboli”.

Sadegholvaad invita a fare un passo in avanti per Rimini affermando che “la strada maestra è quella tracciata dal Sindaco Gnassi nel 2016 e da Stefano Bonaccini lo scorso anno: il centrosinistra diventa credibile quando alla visione abbina il coinvolgimento di un campo largo di forze, tradizionali e civiche”.

Con il discorso via Facebook di oggi nel campo del Pd e del centrosinistra ufficialmente i candidati sono due: Emma Petitti, scesa in campo già nel mese di dicembre, ammiccando ai grillini nel segno della discontinuità con Gnassi, e appunto Jamil Sadegholvaad che si presenta come l'alfiere della continuità, seppure corretta dal metodo dell'ascolto, del confronto e del lavoro insieme. 

Per scegliere si dovrà passare dall'ordalia delle primarie, in presenza o online che siano.

Appare evidente che la decisione della Regione Emilia Romagna di intervenire decisamente a sostegno del processo di aggregazione fra IEG e Bologna Fiere dipenda dalla necessità di dare (e mostrare) solidità a un settore in grande difficoltà in questo momento, oltre che per risolvere il tema della governance del nuovo colosso fieristico, destinato a diventare il primo in Italia e il terzo in Europa, sul quale, dopo le dichiarazioni di intenti dell’ottobre scorso, le trattative si erano arenate. Il presidente Stefano Bonaccini ha annunciato che la Regione aumenterà la propria partecipazione azionaria e che sosterà il piano industriale. Dopo la svolta IEG è intervenuta per comunicare che "il progetto" di fusione "sarà comunicato al mercato e sottoposto all’approvazione degli azionisti di Ieg e BolognaFiere quanto prima e compatibilmente con le disposizioni di legge vigenti".

Intanto da Bologna rimbalzano anche le notizie sulla possibile governance della nuova società. Tramontata l’idea, cara a Rimini, di una holding guidata da un amministratore di nomina regionale, si sarebbe ora orientati ad una newco in cui le cariche sarebbe così distribuite: presidenza a Rimini (adesso Lorenzo Cagnoni), vice presidenza a Bologna (l’attuale presidente di Bologna Fiere, Gianpiero Calzolari), e Antonio Bruzzone nel ruolo di amministratore delegato. Sarebbe così tramontata l’ipotesi di due amministratori delegati, per tenere in equilibrio i territori. È plausibile che il ruolo di presidente, una volta uscito di scena Cagnoni, sia stato ‘prenotato’ per il sindaco di Rimini Andrea Gnassi, che nel 2021 termina il mandato. Le attenzioni sono state riservate al valzer delle poltrone, ma altrettanto importante è sapere come, nella sua situazione unitaria, sarà gestito il calendario delle fiere a Rimini. In occasione della quotazione in Borsa di IEG erano stati fissati dei paletti, lo sarà anche per la nuova società?

L’accelerazione nel processo di fusione fra Rimini e Bologna è stata provocata dalla crisi da pandemia, che ha creato vuoti paurosi nei bilanci delle due società. Prima del Covid, la sceneggiatura della telenovela prevedeva queste fasi: l’idea dell’aggregazione rilanciata specialmente da Bologna, Rimini che rispondeva sostanzialmente con dei ‘ni’, dicendo di voler vedere i bilanci, i piani industriali, insomma che avrebbe partecipato solo ad un’operazione economica e non a un salvataggio politico di Bologna. In quel momento, superata brillantemente la crisi del 2008/2009, Rimini si sentiva forte, con il vento poppa, pronta ad espandersi prima e meglio di Bologna Fiere. In questo scenario la Regione stava a guardare, qualche dichiarazione di buona volontà, ma niente di più.

La crisi da pandemia ha cambiato le carte in tavola, ha messo d’accordo per un’aggregazione con concambio delle azioni 1 a 1, e ha portato la Regione a scendere in campo con una moral suasion fondata sui capitali (ancora non si sa quanti) da versare nella nuova società.

È legittimo chiedersi, di fronte alla svolta, se essa sarà limitata solo al sistema fieristico, uno dei settori più colpiti dalla crisi, destinato a ripartire per ultimo) o anche per altri settori ugualmente colpiti. Ogni riferimento alla questione degli aeroporti non è affatto casuale. Fino ad oggi cosa ha detto la Regione di fronte a tre aeroporti (Bologna, Forlì e Rimini) in concorrenza nel raggio di 110 chilometri? Ha sottolineato che mai e poi mai entrerà nella compagine azionaria e che si limiterà a sostenere gli investimenti infrastrutturali che le società di gestione realizzeranno in accordo con Enac. E la concorrenza fra Rimini e Forlì, a cinquanta chilometri di distanza, stesso bacino di utenza? Un problema loro, potranno dialogare, integrarsi a vicenda, ma non è compito della Regione metterli d’accordo.

È immaginabile il ragionamento, anzi a volte è stato pure esplicitato. Sia per Rimini che per Forlì gli enti pubblici sono usciti con le ossa rotte dalle precedenti società di gestione che sono fallite (la Regione era socia di Aeradria e non ha compiuto operazioni di salvataggio). Adesso i due aeroporti sono gestiti da società private, che facciano fino in fondo i conti con le regole del mercato.

Sarà. Ma si dovrebbe spiegare perché gli aeroporti non rivestano un ruolo strategico per l’economia regionale al pari del sistema fieristico. A parole, tale rilevanza strategica è stata sempre proclamata.

A meno che la svolta interventista sulla fiere non sia un preludio di novità anche per il destino degli aeroporti. È bello sperarlo ma il realismo porta ad altre conclusioni. Vedremo.

Il revisionismo storico come strumento di lotta politica non è certo una novità. Si modificano i fatti del passato per giustificare le scelte del presente. Non si arriva a dire che è bianco ciò che era nero, ma fra le infinite sfumature di grigio si scelgono quelle che fanno più comodo e si nascondono quelle che potrebbero essere di intralcio. A volte nella defunta Unione Sovietica e nei regimi totalitari di comunisti o di destra, la fretta di correggere il passato in funzione del presente produceva effetti comici esilaranti, come personaggi cancellati dalle fotografie ufficiali o ritratti che venivano tolti e rimessi nelle sedi di partito o negli uffici pubblici.

Il revisionismo storico è stato usato per importanti battaglie ideologiche su scala mondiale. La novità, che riguarda direttamente Rimini e le prossime elezioni amministrative, è che il revisionismo è oggi usato per giustificare la scelta di una candidata sindaco, Emma Petitti. È la candidata di Maurizio Melucci che, a riposo forzato dopo aver perso la poltrona di assessore regionale, non vede l’ora di rimettere le mani in pasta e avere voce in capitolo sui destini della città. Questo progetto, che persegue da tempo e che lo ha portato anche ad essere l’editore di un giornale online, ha trovato un fastidioso inciampo nella narrazione che tutti, tranne la sua corrente all’interno del Pd, offrono della candidatura Petitti: un ritorno al passato, una rottura rispetto alla stagione innovatrice di Andrea Gnassi.

Melucci ha capito che se questa narrazione si consolida ulteriormente i sogni di gloria che ha riposto sulla signora presidente del consiglio regionale potrebbero appunto restare solo sogni.

Pertanto ha deciso di imbracciare l’arma del revisionismo storico, non per offrire una legittima lettura diversa degli ultimi venticinque anni ma nientemeno che per “rimettere le cose al loro posto”. Della serie: per conoscere la verità dovete ascoltare il sottoscritto. Melucci ha pertanto deciso di scrivere una serie di articoli per svelare “la grande mistificazione” che sarebbe in atto ai suoi danni e di quelli della sua candidata. Non è vero che nel passato ci sarebbero cementificazione e poca cura dell’ambiente. L’ex vice sindaco articolo dopo articolo dimostrerà l’assoluta continuità ambientalista delle amministrazioni dal 1995 ad oggi, in modo da far rientrare anche il decennio di Gnassi nel flusso ininterrotto del sempreverde governo della sinistra.

Il primo articolo il novello revisionista lo ha dedicato alle giunte guidate da Giuseppe Chicchi, specialmente quella dal 1994 al 1999. La scelta fondamentale di Chicchi fu quella di rispondere all’esigenza di rilancio della città con la cosiddetta infrastrutturazione. Cioè massicci investimenti in grandi opere pubbliche che avrebbero dovuto fare da volano ad una nuova stagione di sviluppo. È il periodo delle “grandi opere”, sulle quali Chicchi scommette tutta la propria credibilità di sindaco. Melucci le ricorda tutte, sia quelle che sono andate a buon fine sia quelle che ancora non sono concluse: CAAR, centro agroalimentare, Nuova Fiera di Rimini, Darsena e relativo residenziale, Sede della Capitaneria di Porto, Palazzo di Giustizia, Comando provinciale dei Carabinieri, Nuovo Palazzetto dello Sport, Nuova Caserma dei Vigili del Fuoco, Nuova Questura. Realizzata e mai utilizzata per le note vicende, TRC.

Melucci si affretta subito a precisare che “Tutti questi interventi si sono concretizzati di fatto con le giunte di Alberto Ravaioli (in cui lui era vice sindaco, nda), ma erano stati decisi, approvati e finanziati, in varie forme, dalla giunta Chicchi del 1994-1999”. Ricorda anche che il prezzo di alcune grandi opere sono stati i cosiddetti motori immobiliari, cioè metri cubi di residenziale.

Melucci invece non ricorda cosa lui stesse facendo in quel periodo. Nel 1998 era diventato il segretario del Pds (così si chiamava allora) e non aveva un atteggiamento propriamente empatico nei confronti della giunta Chicchi. Al professore insediatosi a Palazzo Garampi, che riconduceva tutto alla strategia delle grandi opere, il partito (a quel tempo esisteva e aveva un peso) rimproverava di dimenticarsi delle lampadine fulminate e delle buche sulle strade. Se si vanno a sfogliare le cronache dell’epoca le si troverà piene di queste polemiche. In più di un’intervista Chicchi doveva difendersi dall’accusa di disinteressarsi dell’ordinaria manutenzione della città.

Da segretario del partito Melucci intanto preparava la successione a Chicchi, nel segno dell’assoluta discontinuità. Mentre Chicchi si occupava di grandi opere, lui trattava con il collega Mauro Ioli del Ppi per chiudere l’era Chicchi e disegnare futuri organigrammi e assetti di potere. Per sé si era riservato il ruolo di vice sindaco al fianco del non politico Alberto Ravaioli. Dopo l’elezione, per marcare la discontinuità, Ravaioli scelse di affossare il progetto Natalini del Teatro Galli e di sposare la causa dei nostalgici del dov’era e com’era.

La storia va avanti e le persone assumono nuove posizioni. Chicchi, ad esempio, ha lasciato il Pd mentre Melucci è rimasto fedele alla ‘ditta’. I rivali di un tempo si sono ritrovati nella comune avversione al sindaco Andrea Gnassi, così che Chicchi è pure diventato un opinionista del giornale di Melucci. Questo è il presente, ma è scorretto proiettare i rapporti di oggi sugli scenari di venticinque anni fa.

Valerio Lessi

Domenica, 24 Gennaio 2021 11:10

Nuovo oratorio per i giovani a San Girolamo

Sabato pomeriggio  il Vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, ha inaugurato la Sala dell’Oratorio della Parrocchia San Girolamo, ristrutturata e dedicata a don Giuseppe Bonini, che fu parroco di Marina Centro dal 1965 al 1998. 
La Sala risponde all’esigenza di un luogo bello e funzionale per i vari ritrovi della comunità, con la tecnologia adeguata per incontri a distanza e in presenza, nel pieno rispetto delle norme sanitarie in vigore.
 
 “Quest’opera - sottolinea don Roberto, attuale parroco - fiorisce da uno sguardo di speranza,  nel quale ci stiamo sorprendendo insieme nella nostra comunità di San Girolamo in questi mesi. Come dice il Papa, ‘senza speranza non si è realisti’ e questo sguardo realistico della speranza ci sostiene nel condividere il dolore e la crisi, la malattia e la morte, sostenendoci nel dramma del vivere e sperimentando così la nostra comunione come una dimora, che ci fa desiderare anche una casa bella e accogliente per tutti”.
Erano presenti i nipoti di don Bonini, alcuni rappresentanti del Consiglio pastorale e del Consiglio per gli affari economici della Parrocchia, l‘arch. Luciano Paci, autore del progetto di restauro, i bambini di due gruppi di catechismo con le loro educatrici. 

“Siamo di fronte all’ennesimo strappo nelle relazioni istituzionali fra l’amministrazione Tosi ed enti, associazioni, realtà del territorio”. Lo sostiene il capogruppo del Pd in consiglio comunale, Sabrina Vescovi, a proposito della querelle scoppiata intorno alla Polisportiva Riccione. L’amministrazione non ha saldato i contributi del 2020 e altre spese perché – sostiene – ci sono irregolarità nei bilanci che devono essere sanate (link all’articolo di ieri)

“Lo si è visto in questi giorni – argomenta Vescovi – anche nello sfratto della Fondazione Cetacea dalla colonia Bertazzoni. Una decisione che non ha il supporto tecnico degli atti, una dichiarazione di inagibilità non c’è. C’è solo una relazione del dirigente assunto con contratto privato contratto a cui non ha fatto seguito la procedura prevista in questi casi”

Torniamo alla Polisportiva. “Siamo di fronte a un evidente inadempimento contrattuale non suffragato da motivazioni serie. L’amministrazione ritiene che ci siano bilanci poco chiari? A parte il fatto che ogni sei mesi la Polisportiva ha inviato relazioni senza che mai sia stato sollevato alcun problema, il sindaco e la sua giunta devono fare un’operazione di chiarezza e trasparenza. Dicano quali sono le irregolarità nel bilancio della Polisportiva, prendano gli opportuni provvedimenti, ma la smettano di alimentare il chiacchiericcio sulla stampa”.

Vescovi ricorda che la Polisportiva e lo Stadio del Nuoto affidatole in gestione sono un elemento portante dell’offerta turistica di Riccione, capace attraverso i vari eventi di produrre 100 mila presenze all’anno. Un patrimonio quindi che bisogna proteggere e tutelare.

Sembra – così sostiene il presidente Solfrini – che l’obiettivo del sindaco sia quello di far tornare lo Stadio del Nuoto nella gestione diretta dell’amministrazione comunale. “Se è questa l’intenzione, osservo che il Comune è rientrato nella gestione diretta di tre impianti: un campo di calcio, il campo di calcetto al Marano, il Play Hall. Sono tutti chiusi e/o in condizioni pietose. Del resto l’ufficio sport del Comune di Riccione consiste in un solo dipendente e non mi risulta che ci siano ampliamenti in vista. Vuole gestire lo Stadio del Nuoto con un dipendente? O invece pensa di affidarlo a un altro interlocutore?Attraverso quale gara? Pensa di trovare qualcuno di più affidabile della Polisportiva che da oltre 60 anni è l’anima dello sport a Riccione?”.

Vescovi insiste sul punto: “Il sindaco faccia chiarezza, documenti come stanno realmente le cose, altrimenti riapra i canali finanziari della Polisportiva”.

Anche il direttivo di Riccione Civica è intervenuto sul tema. “Siamo tutti in attesa di sapere – si legge in una nota - come intende procedere il sindaco Tosi e l’assessore allo sport Caldari riguardo il dossier Polisportiva Comunale / Stadio del Nuoto.

Quello che ci lascia perplessi, per non dire allibiti, è il silenzio da parte dell’amministrazione circa questo tema, dopo che ha ricevendo una risonanza a livello nazionale. Serve che qualcuno in via Vittorio Emanuele dia segnali di vita e di operatività, poiché le categorie economiche e le associazioni sportive della città stanno disperatamente aspettando un’azione forte e decisa in grado di dare una svolta positiva alla spiacevole situazione creatasi attorno alla Polisportiva riccionese. Ora servono i fatti e non gli annunci o le minacce. Il tempo, purtroppo, non è più una variabile a nostra disposizione.”

Con un’intervista a Tempo Reale di Radio Icaro anche il sindaco Renata Tosi è tornata sull’argomento con un pesante attacco al presidente della Polisportiva, accusato di non occuparsi più di sport ma di altri interessi. “Si preoccupa solo di salvare se stesso”, ha aggiunto. Tosi ha affermato di avere avuto da tempo sollecitazioni da dipendenti, fornitori, società sportive circa il cattivo funzionamento della società. “Invece di strumentalizzare, Solfrini si chieda perché i rappresentanti delle più importanti società sportive se ne stanno andando dal direttivo.” In ogni caso, “se la situazione tornerà nella legalità, siamo pronti a versare i contributi che sono stati accantonati”.

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