L'aeroporto di Rimini ancora non funziona come sarebbe necessario. A Bologna, invece, ogni giorno arrivano dodici voli dalla Germania portando duemila tedeschi che non si sa dove poi finiscano, certo in Riviera ne arrivano pochi. Allora perché non interveniamo sull'aeroporto di Bologna chiedendo che cambi nome. Guglielmo Marconi è un nome troppo bolognese, potrebbe diventare Aeroporto di Bologna e della Riviera romagnola. La proposta, seria, è emersa nel tour di ascolto di Destinazione Romagna, che l'altro ieri ha fatto tappa a Bellaria. La questione, lo si capisce, non è tanto nominalistica, ma sostanziale, nasconde un evidente testo sottotraccia: se Rimini non funziona, facciamo un accordo con Bologna e trasformiamolo nell'aeroporto della Riviera. D'altra parte agli alberghi e al territorio non interessa dove fisicamente atterrino i turisti, ma dove si fermino a pernottare e consumare. È, in fin dei conti, lo stesso ragionamento che tempo fa faceva il sindaco di Riccione Renata Tosi: se i russi arrivano ad Ancona, vorrà dire che li andremo a prendere con le navette. Ultimamente però anche nell'amministrazione comunale di Riccione deve essere maturato qualcosa. Giusto all'inizio di luglio, l'assessore al turismo Stefano Caldari ha diffuso una dichiarazione per sostenere che “la politica di sviluppo avviata dall’aeroporto “F. Fellini” comincia ad essere sempre più evidente quale segno tangibile di una crescita esponenziale in grado di avvicinare sempre più il nostro territorio oltre i confini nazionali e internazionali”. Caldari ha poi rafforzato il concetto: “Sono fermamente convinto che occorra continuare a investire sull’aeroporto con tutti gli enti e i soggetti deputati ad adoperarsi in prima linea, a partire dalla Regione e da Visit Romagna, per incentivare nuove rotte internazionali che consentano il rilancio dell’aeroporto e dell’economia del bacino romagnolo. Il Comune di Riccione è pronto a contribuire fattivamente con il gestore e con tutti i soggetti che gravitano attorno allo scalo. L’aeroporto Fellini, se da una parte è tornato ad essere una realtà patrimoniale solida, dall’altro ha necessità di mantenere un collegamento stretto con gli enti locali e nuovi partner privati”.

L'uscita di Caldari, che al momento non risulta abbia avuto un seguito, prendeva spunto dalla diffusione dei dati positivi di traffico al Fellini, disponibili in quel momento fino a maggio. Giugno è andato altrettanto bene (60 mila passeggeri, +25 per cento rispetto al 2018) ed anche i primi sei mesi dell'anno sono con il segno positivo (+15per cento), anche se in termini assoluti parliamo di 140 mila passeggeri, non certo dei numeri roboanti. I piccoli segnali di vita forniti questa estate dall'aeroporto non sono stati evidentemente giudicati sufficienti da alcuni operatori turistici riuniti a Bellaria per esprimere i loro desiderata a Destinazione Romagna. La proposta emersa (che il giorno dopo alcuni partecipanti hanno derubricato a necessità di maggiori informazioni sui voli per poter fare le proprie offerte promozionali) è una spia che il più volte auspicato rapporto fra il territorio e l'aeroporto a gestione privata, a quattro anni dalla riapertura, ancora non è decollato. Un esempio clamoroso è dato da quanto accaduto l'anno scorso: Eurowings aveva proposto due voli settimanali dalla Germania, ma gli operatori, tranne Riccione, non hanno messo mano al portafoglio per farli arrivare.

Intanto, Destinazione Romagna, l'ente di promozione guidato dal sindaco di Rimini Andrea Gnassi ha deciso di investire in pubblicità all'interno dello scalo di Miramare. Al costo di 61 mila euro, Destinazione Romagna potrà realizzare una campagna di branding che comprende le seguenti azioni: distribuire stampati promozionali ai turisti in arrivo (attraverso un punto informativo gestito con proprio personale e un sistema espositivo a tasche con layout personalizzato) e proiettare video nell'area arrivo e ritiro bagagli, potrà affiggere cartelloni pubblicitari di benvenuto e potrà allestire una postazione scenografica dove i passeggeri possono fare il loro primo selfie in terra riminese. La determina con cui si stabilisce il contratto è dell'11 luglio scorso, a stagione turistica già ampiamente avviata. Il testo spiega anche che l'accordo pubblicitario è stato siglato con Airiminum 2014 perché è l'unico gestore della pubblicità e di ogni spazio commerciale all’interno dell’Aeroporto di Rimini.

Se l'accordo con Airiminum 2014 è rivolto esclusivamente ai turisti già arrivati a Rimini, quello con la DB-Bahn Italia, concessionaria della pubblicità all'interno del treno che dal 30 maggio all'8 settembre collega Monaco di Baviera con Rimini, comprende invece azioni che possono indurre gli utenti a scegliere la Romagna come destinazione. Al costo di 73 mila euro, si ha un banner nelle home page dei siti, progettazione e realizzazione di flyer promozionali, con attività di distribuzione in centri DB Italia, affissioni con grafica a tema Destinazione Romagna in alcune stazioni del Nord Italia.

 

Il consiglio comunale di Rimini ha respinto la mozione di sfiducia nei confronti della presidente Sara Donati (Pd). La mozione era stata presentata da tutti i gruppi di minoranza in seguito ai fatti del 13 giugno scorso. In quell'occasione, secondo la minoranza, Sara Donati non aveva ottemperato ai suoi doveri di imparzialità e di tutela del ruolo delle opposizioni. Non aveva messo in votazione una delibera (modifiche allo statuto di Lepida, società partecipata) perché i consiglieri del Pd si erano inutilmente allontanati con il proposito di far venire ameno il numero legale. Anzi, ha preso tempo allontanandosi pure lei dal consiglio con il proposito di far mancare il numero legale.

Il dibattito in consiglio ha riproposto uno scontro frontale fra la narrazione delle minoranze e quella dei consiglieri di maggioranza. Unica eccezione il consigliere di Patto Civico Davide Frisoni, l'unico presente, che ha detto di condividere la ricostruzione dei fatti proposta dalla minoranza e al momento del voto si è astenuto.

L'economista Stefano Zamagni parla da alcuni mesi di attacco contro il terzo settore, sostiene che viviamo in un'epoca di aporofobia, cioè di paura del povero. Nel mirino del capo della Lega Matteo Salvini, dopo i migranti e le associazioni che li accolgono, sono entrate le case famiglia, accusate di fare business sulla pelle dei minori. I gravi fatti di Bibbiano lo hanno spinto a rilanciare una proposta che per la prima volta ha espresso nel 2015: una commissione parlamentare di inchiesta sulle case famiglia.

Davvero le case famiglia sono diventate un pericolo pubblico? Sembra che per la prima volta il termine sia stato usato in Toscana alla fine degli anni Sessanta, è indubbio però che la casa famiglia sia una delle geniali intuizioni di don Oreste Benzi, che aprì la prima a Coriano nel 1973. Oggi le case famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII sono 249 sparse in quasi tutte le regioni italiane e accolgono circa 2.500 persone, non solo minori, ma anche anziani, disabili, persone comunque bisognose di un ambiente famigliare. Per don Benzi la casa famiglia è una sorta di famiglia allargata dove i genitori, oltre ai loro figli naturali, ne accolgono altri, anche insieme ad adulti in difficoltà. La casa famiglia è il paradigma della condivisione diretta, ventiquattro ore su ventiquattro. Non c'è casa famiglia, secondo don Oreste, se è gestita da operatori professionali che, dopo aver svolto il loro turno, tornano a casa. Un'esperienza i cui positivi contorni sono stati portatiti sul grande schermo dal film Solo cose belle di Kristian Gianfreda,

Negli ultimi decenni il nome casa famiglia è stato utilizzato da altre realtà che però non avevano la caratteristica della presenza di genitori presenti in modo stabile. È la ragione per cui, da un certo momento in poi, il sacerdote riminese, in articoli e conferenze, aveva cominciato a parlare di “vere case famiglia”, per distinguerle da quelle che, ai suoi occhi, non lo erano ed erano configurabili piuttosto come mini istituti. Le “vere case famiglia”, proprio perché fondate sull'amore generativo di una coppia di genitori, non potevano in alcun modo essere assimilate ad altre strutture, tanto meno a quelle sospettate di fare del business.

Un equivoco, già presente quando il sacerdote era in vita, che oggi, di fronte ad accuse generiche e senza le necessarie distinzioni, rischia di gettare un pericoloso e ingiusto discredito contro chi pratica l'accoglienza come vocazione e stile di vita. Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Papa Giovanni XXIII, ha risposto alla campagna di Salvini con una sfida positiva: “Venga a visitare una nostra casa famiglia, venga e rimanga anche a dormire una notte, capirà molte cose”.

Se l'equivoco permane e si sviluppa grazie ad aggressive campagne di demonizzazione, lo si deve anche al fatto che a livello legislativo non c'è chiarezza. La legge sui minori, quella che disciplina affido e adozione, parla genericamente di comunità famigliari. Un decreto ministeriale del 2001, il 308, in applicazione della legge 328, ha assegnato alle Regioni il compito di definire i requisiti minimi di funzionamento delle strutture di accoglienza. Ogni Regione, quindi, ha legiferato secondo i propri criteri, e ciò che è vero in Calabria non lo è in Lombardia. Esiste anche il Nomenclatore, ovvero lo strumento usato a livello nazionale per definire allo stesso modo i servizi. Nel Nomenclatore è contemplata la tipologia della casa famiglia multiutenza (cioè non solo minori, ma anche anziani, disabili, ecc.) “come quelle della Papa Giovanni XXIII”. In realtà fra le caratteristiche della casa famiglia pensata da don Oreste Benzi non c'è solo la multiutenza, ma anche la presenza stabile della coppia genitoriale. “Ogni Regione si comporta con propri criteri. – spiega Mauro Carioni, che da anni segue le pratiche per il riconoscimento giuridico delle case famiglia – Ad alcune non interessa che i responsabili siano professionalmente qualificati (psicologi, educatori professionali), anzi apprezzano che ci sia questa pratica della condivisione diretta. Altre invece chiedono che accanto ai genitori ci sia un operatore qualificato che garantisca per loro”. In alcune Regioni fa inoltre fatica a passare che una casa famiglia non sia solo per minori, ad ogni disagio sociale deve corrispondere una diversa struttura. Secondo Carioni questa mentalità dipende dal fatto che si applicano ai servizi sociali i principi di standardizzazione propri dell'organizzazione economica. “La Regione dove le nostre case famiglia sono pienamente riconosciute è la Calabria. Sono comunque riconosciute anche in Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Marche e Lazio. Molise e Umbria ci hanno riconosciuto solo con limitazioni. In Toscana siamo in sperimentazione da dieci anni. In Lombardia sono ammesse sperimentazioni solo Comune per Comune”.

Una situazione a macchia di leopardo che certo non aiuta a fare chiarezza, come da anni chiede la Comunità Papa Giovanni XXIII.

L'altro tema delicato è il presunto business. Nelle case famiglia fondate da don Benzi la retta media che viene percepita è di 53 euro al giorno. Se poi si considerano anche gli accolti senza retta (il 45 per cento) la media scende a 28 euro al giorno. “Anche negli affidi famigliari – spiega Carioni si va da un minimo di 300/400 euro al mese fino a 600/700. Mi pare che non ci sia il margine per nessun business, solo dei rubagalline possono pensare di lucrare. Mi pare che il business si possa fare solo in strutture con grandi numeri, per cui si può intervenire sugli stipendi, sul vitto, e così via. Non certo nelle case famiglia”.

I numeri dicono anche che non siamo in presenza di un traffico di minori, che non esiste una emergenza affidi. In Italia (dai 2014) i minori (0-17 anni) fuori dalla famiglia di origine sono 26.420, contro i 138.269 della Francia, i 125.841 della Germania, i 69.540 dell’Inghilterra e i 32.682 della Spagna.

Se ci sarà una commissione di inchiesta, è auspicabile che faccia una vera chiarezza, distinguendo dagli abusi che anche in questo come in altri ambiti sociali vengono perpetrati, da autentiche esperienze di accoglienza che sono una ricchezza per la società e che sarebbe deleterio infangare, gettando via il bambino con l'acqua sporca.

Documento. Giovanni Paolo Ramonda. "Serve una rete per proteggere i minori"

Evviva il governo del cambiamento. Cambia proprio tutto, anche le promesse solennemente dette e ripetute. Con delusione profonda dei bagnini che a quelle improbabili promesse avevano incautamente creduto. Nel mondo balneare è stata una doccia fredda nella calura estiva la notizia che nella bozza di Dpcm predisposta dal ministro Gian Marco Centinaio per delineare i principi della legge quadro del settore, l'uscita delle spiagge dalla Bolkestein non c'è. Al contrario c'è scritto che dal 1 gennaio 2034 si dovranno fare le evidenze pubbliche, come appunto richiede la direttiva Bolkestein.

Proprio a Rimini, nell'ottobre scorso, il ministro Centinaio aveva solennemente dichiarato: «Abbiamo dato – spiega Centinaio – l’indicazione politica ai nostri tecnici di far uscire le spiagge dalla direttiva Bolkestein. Il percorso «ormai è tracciato. Faremo incontri con i tecnici delle associazioni di categoria, in parallelo si svolgeranno le audizioni della commissione Attività produttive e turismo della Camera. Vogliamo coinvolgere tutti, perché questa è una battaglia di civiltà». Delle promesse leghiste era stata ampio megafono sul territorio l'on. Elena Raffaelli, bagnina e assessore a Riccione.

Con la legge di bilancio per il 2019 era arrivata solo la promessa proroga di quindici anni, rimandando al 30 aprile le linee per la legge quadro. Ma a quella data non sono mai arrivate e neppure c'è stato il promesso coinvolgimento delle associazioni dei balneari per scrivere le norme. Il ministero ha proceduto da solo.

Verso fine aprile La Repubblica aveva lanciato la notizia, poi rivelatasi infondata, di una procedura di infrazione per la proroga di quindici anni. Il 30 aprile il ministro Centinaio aveva rilasciato una intervista allo stesso quotidiano in cui dichiarava: «Cercheremo di far capire alla Commissione che le concessioni balneari non sono servizi e quindi non entrano nel perimetro della Bolkestein. Stiamo studiando le argomentazioni da portare a Bruxelles. Faremo di tutto per evitare l'infrazione e per far capire all'Europa la nostra posizione». Centinaio poi aggiungeva una frase che con il senno del poi è rivelatrice: «Se poi non sarà possibile, valuteremo la situazione».

Il ministro, già in quella data, aveva chiare le linee direttrici. «In questi giorni presenteremo il decreto attuativo del provvedimento previsto in manovra con gli obiettivi che ci siamo prefissati. Sarà confermata la proroga senza gara e la correderemo con una serie di motivazioni del provvedimento, in tutto quattro, da mandare a Bruxelles: faremo una mappatura del litorale per capire esattamente quante sono le spiagge libere, imporremo in capo a chi rinnoverà la concessione degli obblighi su qualità dei servizi, tutela del territorio e del mare, poi promuoveremo l'aggregazione tra stabilimenti così come la partnership tra pubblico e privato e infine prevediamo un rating per colpire i furbetti, ovvero chi subappalta o non paga le tasse, che saranno penalizzati per il rinnovo tra 15 anni". A parte l'esclusione delle gare, non confermate, per il resto ci sono già tutti i punti fondamentali del provvedimento, anticipati ieri da Il Sole- 24 Ore.

Quindi intorno al 30 aprile il decreto era già pronto ma non è stato reso pubblico ed anche oggi nessuno ne conoscerebbe i contenuti se non ci fosse stata l'anticipazione del quotidiano di Confindustria.

È immaginabile che già allora Centinaio conoscesse le prevedibilissime riserve dell'Unione europee sulla proroga delle concessione senza la messa a gara. Forse era questa la notizia che La Repubblica aveva tradotto con un avvio della procedura di infrazione. Probabilmente quando si è presentato con un testo che non prevedeva le evidenze pubbliche a Bruxelles gli hanno fatto capire che sarebbe stata inevitabile.

Sarà interessante conoscere dallo stesso Centinaio le motivazioni per quello che, stando alle anticipazioni, è un clamoroso voltafaccia delle ripetute promesse. Il realismo della politica ha suggerito di non aprire un altro fronte di conflitto con l'Europa? Se così fosse, sarebbe lecito dedurre che le bordate leghiste e sovraniste contro i burocrati di Bruxelles sono esclusivamente a salve, quando è il momento di decidere si rientra disciplinatamente nei ranghi.

Oppure ha ragione il presidente del Sib-Confcommercio Antonio Capacchione quando a Mondo Balneare dice che sarebbe utile l'acquisizione sul testo del DPCM anche del parere del Consiglio di Stato per paralizzare incaute iniziative giudiziarie e per tranquillizzare qualche titubante funzionario comunale. Il punto è appunto la titubanza di qualche funzionario comunale. A parte Riccione e qualche altro, nessun Comune ha ancora ha messo il timbro sulla proroga a quindici anni, nel timore, viste le continue pronunce della giurisprudenza pro-Bolkestein, di essere chiamati a pagare di persona. Secondo alcuni esperti, nemmeno il testo del Dpcm sarebbe sufficiente a evitare grane, ma è ipotizzabile che la retromarcia sia stata fatta per rendere più agevole la proroga. Tutto potrà essere più chiaro quando sarà ufficialmente reso pubblico il testo completo.

 

 

 

Le piscine sulla spiaggia? A sentire gli operatori, i diretti interessati, solo un grande equivoco. Il dibattito è tornato di attualità dopo che Maurizio Bronzetti, titolare del bagno Tortuga, ha annunciato il raggiungimento dell'accordo con il Comune per una ristrutturazione globale dello stabilimento balneare. E ha dichiarato, fra le altre cose, che realizzerà anche una piscina. Un giorno, forse. Sì, perché nel progetto e nella convenzione sottoscritta con il Comune la piscina non c'è. A confermarlo è lo stesso Bronzetti: “Inizialmente si pensava di realizzare un progetto pilota che comprendeva un ascensore per il bar, una piscina e una passerella sull'acqua per collegare un bar in mezzo al mare. Poiché i tempi sono troppi lunghi, ho optato per il progetto semplice perché dopo l'estate voglio cominciare i lavori. Nel progetto approvato ci sono comunque le vasche idromassaggio”. Quindi la variante per il progetto pilota la presenterà?“Adesso partiamo con il progetto approvato”. Bronzetti non nasconde che l'idea di piscina che ha in mente è quella classica, dove si possono fare un tuffo e una nuotata. “E' chiaro che nessuno ha in mente di fare una colata di calcestruzzo. – osserva – La piscina si può fare con materiali removibili, come la vetroresina. Certo, diventa tutto un po' complicato se si pensa ad una profondità di venti centimetri. È il modo migliore perché i bambini si facciano male”.

Bronzetti si riferisce alle dichiarazioni al Resto del Carlino del responsabile per l'area riminese della Sovrintendenza di Ravenna,  Vincenzo Napoli, il quale ha precisato che sono autorizzabili sull'arenile solo giochi d'acqua con quella profondità. Tutto il resto non può essere autorizzato, nemmeno le vasche idromassaggio che in realtà sono state sdoganate da una sentenza del Consiglio di Stato. “Questa è l'Italia – ha commentato il funzionario – Noi diamo le prescrizioni e i giudici le ribaltano”.

Anche Mauro Vanni, presidente della cooperativa bagnini, sostiene che quello sulle piscine è un equivoco che va chiarito. “Anche noi diciamo che per i turisti contemporanei, abituati a girare il mondo. occorrono servizi innovativi come i giochi d'acqua, le fontana, o le lagune ecologiche sull'esempio di quella realizzata a Misano. Non possiamo restare fermi. Di questo però stiamo parlando, non di vasche in cemento armato che hanno un impatto violento non compatibile con la spiaggia”. Vanni si dice sicuro che fra amministrazione comunale, Sovrintendenza e categorie economiche si riuscirà infine a trovare un accordo soddisfacente per tutti. L'appuntamento è a settembre, quando si comincerà a discutere del nuovo piano dell'arenile in conformità alle linee del Parco del Mare, i cui lavori, per la parte pubblica, cominceranno appunto dopo l'estate. Lo stesso sindaco Andrea Gnassi, in alcune dichiarazioni, ha chiarito che sulla spiaggia di Rimini non ci saranno piscine, in senso classico, ma solo gli ormai famosi giochi d'acqua.

Piscine sulla spiaggia negli anni scorsi ne sono state realizzate a Riccione. La foto qui sotto mostra quelle del bagno di Vincenzo Leardini che, proprio in un'intervista a buongiornoRimini nel giorno in cui Napoli proclamava il suo no deciso, chiedeva per Riccione che ne fossero realizzate molte per far vivere l'arenile anche oltre i mesi estivi. I bagni 88/89 ne hanno due, per un totale di 108 metri quadrati. Quella dedicata ai bambini - spiega il sito - ha una profondità di 65 cm, mentre quella attigua per gli adulti è profonda 112 cm. Entrambe sono riscaldate, di acqua dolce e depurata. Il bordo vasca è interamente rivestito in legno.

Ma il bagno di Leardini non è l'unico. Si propongono con piscina i bagni 68, 91, 93, 105 (con acqua salata), 108.109,110,112,122 (vedere la galleria a fondo pagina).

Queste non sembrano appartenere alla categoria dei giochi d'acqua, eppure sono state autorizzate. Secondo Vincenzo Napoli sono autorizzate esclusivamente per la stagione estiva, dopo la quale andrebbero rimosse, ma nessuno lo fa.

Le piscine, o meglio i giochi d'acqua perfettamente a norma, secondo la Sovrintendenza, sono queste realizzate nei bagni dal 39 al 46 di Misano Adriatico. Materiali biologici (nemmeno un grammo di cemento) e una forma che ricorda le naturali secche d'acqua che si formano nei momenti di bassa marea.

Saranno queste le “piscine” che fra qualche anno vedremo anche a Rimini?

Il Meeting di Rimini? «E' innanzitutto un ambiente di vita, un ambiente morale. Non solo una serie di conferenze alle quali si assiste. - afferma il sociologo Salvatore Abbruzzese, docente di Sociologia della Religione all’Università degli Studi di Trento - È una modalità di attenzione al nostro Paese, a ciò che accade nel mondo, e soprattutto alla persona. Mi riferisco non solo ai volontari che sono di più di quel che appare, non solo ai ragazzi ed alle ragazze che vediamo all'opera ma anche a chi non sta nel front line ma ugualmente si spende con gratuità per questo evento». Abbruzzese sarà il protagonista dell'incontro conclusivo del Meeting 2019, dedicato alla presentazione del suo libro sulla storia quarantennale della manifestazione, in uscita da Morcelliana.

Cosa intende per ambiente morale?

«Chi arriva da fuori non può non chiedersi da cosa nasca una certa modalità di rapporto fra le persone, non può non interrogarsi su come le persone che realizzano il Meeting vivano e interagiscano fra di loro. A mio giudizio siamo di fronte ad un'esperienza di sensibilità morale che nasce dalla prospettiva antropologica ed educativa di don Giussani; il nucleo argomentativo sta lì. Nessuno poteva immaginarsi che da una prospettiva di questo tipo potesse nascere un'esperienza così articolata, così potente e così capace di conquistare credibilità anche quando il mondo cambia, i finanziamenti si dimezzano ed il gossip politico perde di qualità; anche quando cambiano i referenti politici, anche quando cambiano i pontificati. È una dinamica impressionante che suscita interesse».

Lei come ha studiato il fenomeno Meeting?

«In primo luogo ho svolto in lavoro di analisi dei documenti: cosa è stato detto al Meeting, che tipo di interventi sono stati fatti, cosa il Meeting ha ricercato, chi ha invitato. Il secondo passaggio è stata l'osservazione diretta: sono stato invitato per quattro volte, altri anni sono andato per conto mio. Conosco bene l'esperienza di Comunione e Liberazione per averci dedicato libri e articoli. Dall'osservazione metodica e dalla lettura dei documenti, ho visto che negli anni il Meeting ha acquisito una legittimazione culturale, testimoniata anche dalla presenza, da un certo momento in poi, dei presidenti della Repubblica. È interessante allora capire come questa legittimazione si sia strutturata, cosa abbia prodotto in termini di cultura, di lettura dei fenomeni emergenti. Il Meeting si è imposto con l'autorevolezza dei contenuti, ma anche per lo stile che non è fatto di contraddittori, né di talk show ma di conferenze seguite con un'attenzione unica da platee di dimensioni impensabili altrove. Il Meeting è uno sguardo aperto sul mondo; una vera e propria finestra sulla realtà. Può sembrare un’affermazione sproporzionata ma non lo è se si pensa chi sia venuto in questi 40 anni e come la manifestazione stia affrontando adesso situazioni nuove come la condizione persecutoria dei cristiani in Medio Oriente, il dialogo interreligioso, l’ondata immigratoria; ma anche come stia costituendo una narrazione nuova della storia e dell'identità nazionale».

Lei ha sottolineato la legittimazione istituzionale. Eppure a volte è sembrato che la presenza dei politici abbia oscurato la vera natura del Meeting, non crede?

«Da sociologo osservo che il Meeting ha fatto una scommessa incredibile; ha scommesso laddove tutti gli altri si sarebbero tirati indietro. Sappiamo come in Italia la dimensione politica sia onnivora e sia in fibrillazione e tensione continua. È difficile parlare di temi che concernono i valori primi e le domande dell’esistenza quando si è in presenza di un politico; è difficile che quest’ultimo non assorba l'attenzione, riducendo tutto alle tematiche di conflittualità immediata, ai “distinguo” tra partiti o all’interno di componenti dello stesso partito. Mi ha sempre colpito la discrasia fra il Meeting vissuto all'interno e i resoconti dei giornali il giorno dopo che parlavano solo di quest’ultima dimensione, come se tutto il resto non avesse la minima importanza. La capacità del Meeting di resistere alla politica, riproponendo le domande essenziali resta allora eccezionale. Ho studiato le domande che le personalità di prima linea del Meeting, gli organizzatori, hanno posto in questi anni ai politici: è emersa una consonanza immediata con le tematiche fondamentali che stanno dentro l'esperienza educativa di Comunione e Liberazione. Queste tematiche sono state costantemente riproposte anche quando, con un politico, sarebbe stato più facile andare sui temi consueti del vocabolario dominante. Il Meeting manifesta un capacità di gestire una dimensione che altrove sarebbe assolutamente prevaricante e monopolizzatrice. Questa è la spia che il Meeting ha qualcosa di diverso. Si capisce che c'è dietro qualcosa di solido che riesce a reggere il confronto».

E cosa è questo qualcosa di solido?

«La sostanza è nel senso religioso di don Giussani, che è attenzione commossa alle esigenze umane dentro il reale. È l'uomo che si interroga sul senso della propria esistenza e che, a partire da questo, diventa appassionato a tutto il mondo che lo circonda, non perché questi valga di per sé ma perché contiene segnali che rinviano a qualcosa d’altro. Don Giussani ha lanciato nel mondo persone in eterna ricerca. Il famoso “non state mai tranquilli” cosa voleva dire? Siate sempre in ricerca! Ha generato un'umanità che dentro i suoi mille limiti umani porta dentro sé un desiderio di comprendere, un entusiasmo semplice, sincero e immediato per tutto ciò che c'è nel reale, purché sia autentico e tenga conto delle domande fondamentali dell’esistenza, non le eluda. Questa sensibilità la gente del Meeting l'ha attinta da don Giussani, e va in contrasto profondo con il disincanto che oggi regna nel mondo».

In questi 40 anni il Meeting è cresciuto o manifesta segni di logoramento?

«Questa è una domanda chiave. È chiaro che se si confronta il Meeting degli anni 1980, 1981, 1982 con quelli più recenti si riscontra un impatto diverso sul mondo. Ma ricordiamo che 1980 era l'anno di Solidarnoșc, si era dinanzi ad un mondo in ascesa, pochi anni più tardi sarebbe iniziato quel processo di revisione che avrebbe portato nel 1989 alla caduta del muro di Berlino. C'era un mondo intero in movimento, verso una nuova alba. Era un universo, in Italia come altrove, pieno di energia. Il mondo ora è profondamente cambiato: in questo contesto il Meeting opera in una dinamica ancora più chiaramente esistenziale. La dinamica che non può essere quella degli anni Ottanta perché non siamo più in quell'Europa. È un momento in cui interrogarsi e il Meeting, che è una realtà viva, si interroga, registrando perfettamente un tale momento di rielaborazione. E lo si coglie guardando le dichiarazioni ufficiali che vengono rilasciate; ci sono i documenti che lo attestano. Anche gli stessi interventi delle massime cariche dello Stato cominciano a guardare al Meeting come a un luogo di energia morale. Se è possibile ancora un nuovo inizio, questo può cominciare solo da lì e non da altre parti. Il Meeting di Rimini è un luogo dove è in atto un costante tentativo di riavvio della volontà di ricostruzione morale di un intero paese».

Lei quindi non condivide l'opinione di chi parla di un ripiegamento spiritualista?

«Il rischio dello spiritualismo lo vedo piuttosto in altri movimenti. Le domande esistenziali sono carnali, bruciano sulla pelle. Se si vivesse in una dimensione puramente spirituale, cosa si inviterebbero a fare politici, sindacalisti, imprenditori? Conformemente al pensiero di Péguy il cristianesimo è un'esperienza carnale di vita concreta. E in ogni caso, a cosa mi servirebbe la risoluzione dei problemi concreti ed immediati se fossero separati da una consapevolezza del dove andare e del cosa costruire. E come sapere dove andare e cosa costruire se ignoro la mia origine, non solo storica ma anche antropologica, fino ad arrivare alla domanda essenziale che è quella che si chiede chi sia mio padre, di quale storia e di quale promessa io sia l’erede».

Valerio Lessi

Il Gruppo Credit Agricole, che ha rilevato Banca Carim, ha chiuso Eticarim, il portale creato cinque anni fa per raccogliere donazioni a sostegno dei progetti realizzati da organizzazioni non profit. Nessun annuncio ufficiale, nessuna spiegazione: da un giorno all'altro il portale è stato oscurato e se oggi si digita l'url www.eticarim.it un messaggio avverte che il server non è stato raggiunto. Con la chiusura del portale scompare l'ultima iniziativa che ancora portava nel nome il brand dell'antico istituto bancario.

Sembra che Credit Agricole abbia in mente di realizzare un proprio portale nazionale di crowdfunding. “È infatti in corso un progetto - conferma Vincenzo Calabria del Servizio Relazioni Esterne di Credit Agricole - per “riscrivere” dal punto di vista informatico il portale e renderlo disponibile anche per altre province in Italia”. Certo è che la repentina chiusura di Eticarim ha lasciato perplessi tutti coloro che vi avevano collaborato. “Noi – spiega Maurizio Maggioni, direttore di Volontarimini – avevamo una convenzione, eravamo una sorta di soggetto partner. Mi auguro che almeno sia stato salvato tutto l'archivio storico, non solo le varie raccolte fondi, ma anche le notizie successive che documentavano come concretamente erano stati usati i soldi raccolti”.

Una delle motivazioni per la chiusura di Eticarim non può essere che il portale non funzionasse. Basti considerare alcuni dati. Dal 2014 al 2016 erano stati raccolti oltre 311 mila euro, 197 mila da donazioni dirette degli utenti, gli altri come compartecipazione della banca. Ebbene, stando ai datti pubblicati nel rapporto di Starteed sul crowdfunding in Italia al 31 dicembre 2018, Eticarim aveva raccolto 734.424 euro. Ciò significa che nel giro di appena due anni il volume delle donazioni era più che raddoppiato. Peraltro questa è la tendenza del settore: nel 2015 il valore complessivo a livello nazionale era di appena 65 milioni di euro, diventati 133 milioni nel 2017 e quindi 245,65 milioni l’anno scorso. C'è un altro dato interessante: su cinquanta piattaforme di crowdfunding censite, Eticarim si è piazzata al decimo posto. Il portale quindi funzionava e molte organizzazione non profit del territorio riminese hanno potuto usarlo per finanziare le loro iniziative.

Oltretutto, aveva regole di finanziamento molto all'avanguardia. Era completamente gratuito, cioè i beneficiari non dovevano pagare nulla per svolgervi l'attività di raccolta. Inoltre, i fondi venivano assegnati, e non restituiti ai donatori, anche se non veniva raggiunto l'obiettivo fissato.

Ogni anno, in autunno, si svolgeva “Un dono lungo un mese”, una campagna di donazioni che durava appunto un mese e che coinvolgeva numerose associazioni. Nel 2017 erano state 16, e ad essi la banca garantiva il raddoppio se fosse stato raggiunto l'obiettivo (quell'anno era di cinquemila euro). La campagna è stata svolta anche nell'autunno scorso, con un plafond di 50 mila euro da parte della banca per progetti dall'importo massimo di tremila euro ciascuno.

«Fin da subito abbiamo creduto nella positività del messaggio veicolato dal portale Eticarim: per questo come Crédit Agricole abbiamo voluto riconfermare l’impegno a favore delle Organizzazioni Non Profit del territorio con l’iniziativa del raddoppio – dichiarò in quell'occasione Massimo Tripuzzi Direttore Regionale Romagna -. In questi mesi ho potuto constatare quanto la Romagna sia una terra profondamente animata dal valore della solidarietà, che ha visto fiorire centinaia di ONP. “Un dono lungo un mese” vuole essere un tributo alla generosità delle ONP e alla sensibilità di migliaia di volontari che ogni giorno, senza clamore, si dedicano con passione agli altri».

Evidentemente ci hanno ripensato. Hanno ‘trattenuto’ l’idea e la rifaranno destinata al territorio nazionale. Ma il valore del portale riminese era tutto nel rapporto di vicinanza tra quei volontari e i loro concittadini. Un crowdfunding di relazione, potremmo chiamarlo, dove tutti erano grati alla banca che lo rendeva possibile. Ma alla “nuova banca” evidentemente le relazioni locali non interessano.

Dalla globalizzazione dell'indifferenza non si esce da soli, con uno sforzo di volontà o con un progetto ideale. Il cuore del messaggio di Francesco è che se ne esce solo con la riproposizione dell'annuncio e della promessa cristiana nei suoi termini più elementari. Lo ha detto lunedì sera a Viserba il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, invitato dal parroco don Aldo Fonti, vecchia conoscenza dai tempi in cui uno era nunzio apostolico e l'altro missionario in Venezuela. C'era la chiesa piena di turisti e riminesi arrivati per ascoltare la conferenza con a tema La profezia di papa Francesco nell'era della globalizzazione dell'indifferenza. Se nella prima parte dell'intervento, Parolin ha ripercorso l'analisi che del mondo contemporaneo offre Francesco (l'economia che uccide, la cultura dello scarto, l'individualismo, l'autoreferenzialità, ecc.) , nella seconda, a detta dello stesso cardinale la più importante, ha toccato la sostanza del messaggio di papa Bergoglio, quella che a volte passa in secondo piano anche dentro la comunità ecclesiale.

Se gli uomini anelano alla felicità e alla liberazione, nello stesso tempo fanno l'esperienza di non riuscire e darsela da soli. Ecco che allora nella storia accade un fatto nuovo e imprevisto, è venuto il Signore Gesù. La felicità e la liberazione non sono il frutto di una ricerca riservata agli illuminati. È Cristo stesso che ci guarda per primo, che ci prende in braccio e ci attira a sé. “Chi segue papa Francesco – ha osservato il cardinale - sa che nel suo magistero tutto ruota intorno all'opera della grazia, al gesto del Signore che viene prima della grazia. Già nel 1998, presentando un libro a Buenos Aires, Bergoglio aveva indicato nel primerear della grazia la sorgente dell'avvenimento cristiano, di come si diventa e si rimane cristiani”.

Ed è proprio questa promessa di felicità, questa caparra di salvezza pregustata già in questa terra, la forza che può far uscire ciascuno di noi dal ripiegamento su se stesso, dalla globalizzazione dell'indifferenza. “Se uno sperimenta nella propria vita la carezza del Signore che guarisce – ha sottolineato Parolin – avrà una gratitudine che sarà portato a riversare sugli altri. La stessa dinamica di gratuità può abbracciare anche chi è lontano, chi si trova nel bisogno. La Chiesa – scrive Francesco nella Evangelii Gaudium – vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia perché ha sperimentato la misericordia del Padre”. Ecco perché il papa usa l'immagine della Chiesa come mysterium lunae, cioè la paragona alla luna che riflette una luce che non è propria, oppure propone la nota immagine della Chiesa come ospedale da campo: accoglie i feriti della vita perchè ha sperimentato che il Signore guarisce e risana.

La carità stessa ha la sua sorgente nella grazia. La carità non viene prodotta artificialmente da nessun programma o da nessuna teoria eticista. E questo va tenuto presente anche per ciò che papa Francesco ripete con insistenza riguardo ai migranti e ai profughi, che vanno trattati come persone e non come numeri di emergenze sociali o umanitarie. “Quando il papa ripete queste cose, qualcuno si inquieta. Ma la carità è davvero il cambiamento che nasce dall'operare della grazia nei cuori di chi segue Cristo; e se è così non si può pensare di presentarsi come portatori della religione cristiana teorizzando nello stesso tempo che gli effetti di questo cambiamento siano politicamente e socialmente di intralcio mentre sarebbe più consono alla situazione presente voltarsi dall'altra parte”.

Il cardinale ha spiegato che la posizione del papa porta ad avere simpatia con qualsiasi tentativo di migliorare la vita degli uomini, da qualunque parte provengano. “Ed anche i potenti e i capi di stato, ne sono testimone diretto, si sentono sollecitati dal richiamo di Francesco.

Il cardinale ha quindi concluso con una digressione sulle ormai celebri periferie che spesso il pontefice cita. “Bisogna uscire dai clichè. Il papa spiega che dalle periferie le cose si vedono meglio che dal centro. Per cui quando si va incontro alle periferie non è per un volontaristico autocompiacimento ma per essere ricentrati, per una convenienza umana. I sacerdoti delle villas miseria di Buenos Aires non andavano e non vanno a portare qualche loro strategia pastorale. Non andavano a portare Cristo, andavano perché anche a loro poteva capitare con più facilità di incontrare Cristo già presente e operante. “Lì si capisce che la grazia di Cristo può far rifiorire un tessuto di vita nuova anche nelle situazioni più impensabili. E allora conviene trovarsi lì per vedere passare Gesù, come fece Zaccheo, che era basso e per vederlo passare si mise su un sicomoro. E la sua vita cambiò quando si accorse di essere guardato dal Signore. Una volta Bergoglio osservò che crediamo che la fede venga dal nostro sforzo di guardare Gesù, invece è il contrario, tu sei salvo quando ti lasci guardare”.

Al termine sono state rivolte al cardinale Parolin alcune domande. Il legame fra fede e vita? “Il cristianesimo abbraccia tutta la vita, anche la politica. Poi ci sono responsabilità diverse, ai pastori spetta indicare i valori, ai laici di realizzarli nella vita concreta. E' un compito difficile. Lo dico a chi viene a trovarci. Di recente è venuto uno che mi ha spiegato l'importanza di difendere l'identità cristiana. Sono d'accordo in tutto e per tutto, gli ho detto, ma di questa identità fa parte anche Mt 25”. Cioè, avevo fame e mi avete dato da mangiare, ecc. Il papa non interviene a difesa dei cristiani perseguitati? “No, ci sono molti interventi. E quando si tace, non è detto che non si agisca. Non bisogna lasciarsi manipolare dalle sintesi che a volte offrono i giornali. La Santa Sede sta lavorando perché nelle costituzioni dei paesi ognuno abbia diritti e doveri di cittadinanza al di là dell'appartenenza religiosa”. Perché tanta ostilità, anche dentro la Chiesa, verso il magistero del papa? “E' un'ostilità che mi preoccupa molto perché mette in pericolo l'unità della Chiesa, il cui centro di unità visibile è appunto il papa. Per carità, c'è un margine di opinione, non tutto è magistero, ma bisogna saper discernere. Il papa di recente mi ha detto: dì a quella persona che non ho niente contro di lui, ma io devo seguire il Vangelo. E il Vangelo è sempre un segno di contraddizione, dentro e fuori la Chiesa”.

Valerio Lessi

Lunedì, 15 Luglio 2019 10:40

Ieg, ricavi in crescita nel primo semestre

(Rimini) Italian Exhibition Group chiude il primo semestre 2019 con ricavi in forte crescita rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. Al 30 giugno 2019, infatti, i ricavi consolidati si attestano a circa 100 milioni di euro (dato provvisorio) in forte incremento rispetto ai 77,3 milioni del primo semestre 2018. Questo risultato, che fa seguito alla significativa crescita dei ricavi pari al 22,2% già registrata a fine 2018 rispetto all’anno precedente, conferma la capacità di Ieg di concretizzare le proprie competenze nello sviluppo e nell’integrazione garantendo conseguentemente il miglioramento della redditività delle varie linee di business, nazionali e internazionali, che costituiscono le attività del Gruppo.

Sarà il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità Papa Francesco, il prossimo ospite de “I Lunedì di Viserba”, la rassegna organizzata dalla parrocchia  Santa Maria a Mare, a Viserba di Rimini, in piazza Pascoli.
Classe 1955, vicentino, mons. Parolin dal 15 ottobre 2015 è Segretario di Stato, dopo una laurea in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana con una tesi sul Sinodo dei vescovi, e un lungo servizio diplomatico svolto per la Santa Sede.
Il Cardinale Parolin sarà a Viserba già nel mattino di lunedì, poi presiederà la S. Messa in parrocchia, a Viserba, alle ore 18 S. Messa concelebrata con il Vescovo di Rimini Francesco Lambiasi, e il parroco di Viserba don Aldo Fonti.
Con don Aldo Fonti, per vent’anni missionario in Venezuela, c’è infatti una conoscenza che arriva da lontano, quando il sacerdote riminese operava nella missione diocesana del Paese dell’America Latina (fino a ricoprire incarichi importanti in seno alla Conferenza Episcopale di quel Paese):  mons. Parolin il 17 agosto 2009 era stato nominato  arcivescovo titolare di Acquapendente e nunzio apostolico in Venezuela, in un periodo molto difficile per i rapporti tra la Chiesa e le autorità politiche del Paese sudamericano, all'epoca guidato dal boliviano Hugo Chavez.
Il Cardinale Parolin in questo appuntamento de “I Lunedì di Viserba” terrà un incontro dal titolo: “La profezia di Papa Francesco nell’era della globalizzazione dell’indifferenza”, titolo che in qualche maniera riassume il magistero del Papa Francesco.
Il Card. Parolin sarà ospite della parrocchia di Viserba mare e farà ritorno a Roma martedì.

Giunti alla nona edizione, "I lunedì di Viserba", offrono un programma di appuntamenti a cadenza settimanale (ingresso libero). Il titolo della rassegna di incontri 2019 è: “Periferie geografiche ed esistenziali all'inizio del XXI secolo”. “Papa Francesco, convocando un sinodo per i giovani ha provocato in tutti gli ambienti, cattolici e non, una riflessione per rispondere alle loro domande e necessità. – spiega il parroco e ideatore dei “Lunedì”, don Aldo Fonti - Anche noi, con questo programma vogliamo dare il nostro piccolo contributo”.
Ogni lunedì l'appuntamento è alle ore 21 presso la piazza antistante la chiesa di Santa Maria a Mare. Gli incontri sono rivolti a tutti coloro che amano ascoltare, conoscere, documentarsi e arricchirsi, attraverso un programma culturale, ludico e musicale. Per i turisti in vacanza per godersi un meritato riposo, per i residenti che amano ascoltare, conoscere, documentarsi arricchirsi con un buon programma culturale, fatto di incontri, spettacoli, musica, teatro e libri.

Dopo l’incontro con il card. Parolin, “I Lunedì di Viserba” proseguiranno il 22 luglio con “Serata con la Comunità di Nomadelfia. Un popolo nuovo, che ha messo a fondamento della sua vita la fraternità evangelica”.
Il 5 agosto “Concerto testimonianza SHOEK”
Storia del cantante Shoek che ha cambiato la sua vita. Dalla polvere al cielo.
Il 12 agosto toccherà al Prof. Stefano Zamagni, il noto economista riminese. Titlo della serata: “ Il terzo settore sotto attacco. Cosa significa essere responsabili oggi”.Il 19 agosto scenderà in piazza Pascoli poeta, filosofo e conduttore radiofonico Prof. Marco Guzzi, intervenendo su : “Crisi planetaria e ricominciamento umano. Alla ricerca del continente della gioia”.
La chiusura dei “Lunedì di Viserba” 2019 sarà affidata a mons. . Claudio Maria Celli, riminese, Vescovo emerito, il 26 agosto interverrà su: “La chiesa in CinaSperanza di pace tra Oriente e Occidente”.

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