Chi è il criminale? “Una persona”. Risposta immediata e secca, senza l’aggiunta di aggettivi. Forse anche banale. Però si avverte il contraccolpo, perché non è normale pensare al criminale come una persona. “Sono bestie”, commentiamo di solito, senza l’intenzione di usare una metafora. Continua Nicolai Lilin: “E’ una persona il cui comportamento la società ritiene inappropriato. Si è criminali in molti modi. Si uccide per puro piacere, si ruba perché si ha fame. Da un punto di vista umano, cerco di spiegarmi le ragioni della loro scelta. Mi chiedo che infanzia hanno avuto, che vita hanno vissuto, se hanno subito traumi, da quale contesto sociale sbucano”. Si diventa criminali perché determinati dalle circostanze? E la libertà? “Si, certo, ad un certo punto scelgono. Però è importante capire come sono arrivati al bivio”.
Nicolai Lilin, l’autore del best seller Educazione siberiana è a San Marino per presentare a Villa Manzoni, ospite di Ente Cassa Faetano, il suo ultimo romanzo Spy Story Love Story. Un’altra storia infarcita di delinquenti e assassini, intrighi e tradimenti, potenti corrotti e senza scrupoli. È la cifra narrativa di Lilin. “E’ l’ambiente famigliare nel quale sono nato. Raccontarlo e scriverlo è un modo di tornare alle mie origini, di capire meglio la mia storia”.
Nei suoi libri fiction e cronaca si intrecciano indissolubilmente; la Transnistria, il Caucaso, la Cecenia quanto sono scenari reali di storie vere e quanto di invenzioni realistiche? Giriamo la domanda allo stesso Lilin. “E’ difficile stabilire percentuali precise fra realtà e invenzione. Nei miei libri ci sono storie vere che ho vissuto in prima persona, altre che ho ascoltato dai miei genitori e da alcuni amici, altre le ho conosciute attraverso la cronaca. Sono fonti che ho elaborato imprimendo uno stile narrativo”. Sull’aderenza alla realtà del mondo narrato da Lilin si sono scatenati i suoi critici e detrattori (“Solo ripicche per esclusive giornalistiche mancate”, replica lui) che comunque non possono cancellare il fatto che la prosa di Lilin conquista e avvince proprio perché si avventura in universi totalmente alieni dall’esperienza comune dei lettori. Non c’è però il rischio di propagare un’immagine epica, affascinante del criminale? “Nei miei libri cerco di mostrare tutti gli aspetti della vita del criminale, non solo gli aspetti che potrebbero risultare affascinanti. Il protagonista di Spy Story Love Story è un uomo triste, malato, che si accorge che nella vita non ha imparato nulla se non distruggere e uccidere. È travolto da un peso insostenibile”. La consapevolezza di una vita fallita può essere il primo passo verso il riscatto, verso la redenzione. “I criminali possono ripagare il debito che hanno contratto con la società facendo del bene. L’esperienza che conosco è quella di mio padre che è uscito dalla criminalità dopo un infarto. Da quel momento vive una vita tranquilla e ripete: non sapevo quanto è bello vivere. Per lui la molla è stato essere vicino alla morte non perché aveva una pistola puntata ma perché il suo cuore ha dato segni di cedimento. Qualcosa è successo”.
Il mondo degli killer spietati, dei trafficanti di armi e di droga, dei terroristi islamici in combutta con la criminalità comune è il quadro entro cui si svolge nel Caucaso l’amicizia di due ragazzi, uno musulmano, l’altro cristiano, che è figura del patto siglato dalle rispettive comunità di appartenenza. Un patto che è sigillato dalla condivisione di alcuni oggetti sacri, che sono il bene che difendono dagli attacchi criminali e terroristici quanto e più della loro vita. “Quando sono stato in Caucaso, ciò che mi ha colpito era il loro modo semplice ma efficace di condividere tutto. Credo che ciò che oggi manca sia questa volontà di condividere. Viviamo nella paura della diversità. Chi provoca questa paura in realtà vuole dividere la gente per meglio comandare”.
Condividere è una parola del vocabolario cristiano. Il narratore delle imprese criminali nasconde un cuore di credente? “La questione del credere è un fatto intimo, personale. Mi capita di frequentare qualche chiesa cattolica, a volte frequento le chiese ortodosse. Il culto è sempre culto, è rivolto all’unico Dio. Quando ero nell’esercito, un giorno ero afflitto da cattivi pensieri e sono entrato in una moschea. L’imam mi ha accolto e ha detto che era felice più che se fossero entrati cento musulmani”.
Nei racconti e nelle risposte di Lilin c’è sempre il riferimento ai nonni, agli anziani della comunità, protagonisti di una storia criminale di stampo antico, non ancora “corrotta” dalla droga o dallo sfruttamento delle persone. “Sono persone a cui ho voluto bene, anche se so che hanno fatto del male”. E cosa ha imparato da loro? “Mio nonno diceva sempre che non bisogna aver paura di essere se stessi”. E Nicolai Lilin che rapporto ha con il suo passato avventuroso: “Ho imparato dai miei sbagli. Ma non rinnego niente, non rimpiango niente”.
Lo scrittore Nicolai Lilin è personaggio che sfugge alle etichette. A Natale sarà di nuovo in libreria con un libro di Fiabe criminali, tanto per restare in tema. Intanto dice di tenere tantissimo al suo studio di tatuaggi e ai coltelli che progetta. E con noncuranza, stupisce e un po’ sgomenta il pubblico di San Marino, estraendo e facendo scattare la sua ultima creazione che ha tutto l’aspetto delle armi letali conosciute nei suoi romanzi.