Se c’è un merito del libro di Primo Silvestri (Turismo 2030: il sistema Rimini nella competizione globale, edito da Il Ponte) è di aver fotografato l’andamento del turismo riminese negli ultimi sedici anni, potendo così cogliere i trend di lungo periodo e poter fare valutazioni più adeguate. L’altro merito è quello di aver rinverdito, con la tavola rotonda di giovedì pomeriggio a Palazzo Buonadrata, l’antica tradizione del “turismo parlato” (in auge negli anni Ottanta e Novanta), che non fa male, anzi stimola le idee, come ha osservato Mauro Santinato di Teamwork
Il punto di partenza della ricerca di Silvestri è l’encefalogramma piatto che presenta il turismo riminese dal 2000 al 2016. In sedici anni c’è stato qualche incremento negli arrivi, ma le presenze sono sostanzialmente stabili. Poco male se fosse la tendenza generale. No, questo accade a Rimini, mentre il turismo mondiale, nonostante Torri Gemelle, crisi del 2008, terrorismo, guerre in ogni parte del globo, cresce a ritmi sostenuti (da 674 milioni di arrivi internazionali nel 2000 a 1,2 miliardi nel 2016), e mentre una regione molto competitiva sul mercato globale della vacanza, come la Catalogna, nello stesso periodo vede i grafici decisamente puntare verso l’alto. In Riviera di Rimini gli arrivi sono passati da 2,6 milioni dell’anno 2000 a 3,4 milioni nel 2016, con un incremento superiore al 30 per cento, mentre i pernottamenti sono rimasti gli stessi: 15,8 milioni nel 2000, 15,6 milioni a fine 2016.
Da cosa dipende la staticità del turismo riminese? L’analisi di Silvestri nel libro prende a riferimento per il confronto la Spagna e la Catalogna, i risultati portano ai paragoni seguenti. A Rimini la spesa pubblica e investimenti privati nel turismo più bassi; l’offerta ricettiva è più frammentaria: 120 la media dei posti letto per esercizio in Catalogna, 67 in provincia di Rimini, per fortuna migliore rispetto ai 49 del Duemila; il tasso di occupazione netta dei posti letto è 48 in Emilia Romagna e 61 in Catalogna; in Riviera sono pochi hotel di categoria medio-alta: sono 7 ogni cento gli hotel di Rimini con 4 o 5 stelle, contro il 18 per cento della media nazionale (ma con percentuali ben più alte a Venezia, Roma, Lido di Jesolo, ecc.), quando in Spagna rappresentano circa la metà; in Spagna e in Catalogna l’80 per cento dei visitatori esteri arriva in aereo, compresi gli europei. A Rimini questo è un nervo scoperto, come confermano le cronache di questi giorni riguardo all’aeroporto; il lavoro in Riviera è breve, poco qualificato e poco pagato: 124 la media delle giornate di lavoro per anno, di 59 euro la retribuzione media giornaliera, solo 1-2 ogni 100 assunti hanno la laurea, contro i 7 dell’Italia e 23 della Spagna
La ricerca osserva che, fatto salvo il balneare e il fieristico-congressuale, il territorio della Riviera di Rimini non è stato in grado, in questi anni di mettere sul mercato nuovi prodotti turistici. I numeri dell’entroterra, nonostante gli investimenti, sono assolutamente irrilevanti. Mancano inoltre in Riviera strutture ricettive low cost capaci di intercettare il turismo dei millennials.
Nel dibattito che è seguito alla presentazione, Paolo Audino, del management di Ieg (Fiera), ha messo sul tavolo due osservazioni fondamentali. Ha ricordato che il successo della Catalogna dipende dall’aver svolto un’indagine sulla domanda, sulle esigenze nuove dei turisti, e di aver rimodulato la propria offerta sulla base dei risultati che hanno ricostruito l’identikit del turista con categorie nuove, abbandonando quelle tradizionali demografiche e sociali. A suo giudizio è ciò che sarebbe urgente fare per Rimini, perché aiuterebbe a capire cosa in Riviera i turisti non trovano e cosa invece vorrebbero trovare, potrebbe fornire indicazioni utili sugli investimenti che sono necessari. Audino ha quindi osservato che negli ultimi anni i dati riminesi sono drogati dalla crisi delle destinazioni del Mediterraneo a rischio terrorismo. Non ci fosse stato chi ha rinunciato ad andare in Tunisia, in Egitto o in Turchia, i dati sarebbero in calo. Il turismo riminese è salvato dal turismo sociale che, come ha ricordato Giovannino Montanari, tour operator del settore, produce 800 mila presenze, quanto i tedeschi. Con la novità che anche per gli under 65 di oggi, che non sono più quelli del secolo scorso, le camere degli hotel riminese lasciano a desiderare.
Ed è sul tasto dell’obsolescenza della struttura ricettiva di Rimini, uno dei suoi cavalli di battaglia, che ha fortemente battuto Mauro Santinato. Un dato per tutti: secondo Trivago, mille camere a Sorrento nello scorso mese di giugno hanno prodotto un fatturato di 197 mila euro, a Jesolo125 mila, a Riccione 103, a Rimini 75 mila. “E in banca – ha sottolineato - gli albergatori non portano le presenze ma i fatturati”. Un’offerta in declino porta questi risultati. Il punto è che Rimini è una città bipolare: nel centro storico (leggi alla voce opere di Gnassi) dà segni di rinnovamento e di vitalità, ma la città turistica, alberghi, negozi, bar, ristoranti, spiaggia, è ferma da decenni. Negli ultimi anni hanno chiuso 800 alberghi e ne sono sorti solo due ex novo a quattro o cinque stelle. Cento alberghi sono da tempo in vendita ma nessuno li vuole comprare. Gli operatori turistici riminesi devono ricominciare a fare gli imprenditori (e non i semplici “prenditori”) e l’ente pubblico deve aiutare snellendo burocrazie e introducendo norme che incentivino gli investimenti.