L’educazione ricevuta da Alberto Marvelli nel mondo cattolico da lui frequentato (prima la parrocchia dei salesiani, poi l’Azione cattolica) certamente formava ad una concezione della persona e dei rapporti sociali diversa da quella proposta dalle organizzazioni e dalle istituzioni del regime fascista. La diversità era talmente pronunciata che, se non si poteva esprimere in un’azione politica, ricorreva però alle armi dell’umorismo e della messa in ridicolo dei miti e dei vizi del regime. Fra gli inediti che Cinzia Montevecchi, responsabile dell’Archivio Marvelli, ha rivenuto fra i materiali del giovane proclamato beato da Giovanni Paolo II, c’è un quaderno dove Alberto, oltre a segnare giochi, proverbi, indovinelli da usare con i ragazzi affidati alle sue cure educative, annotava, numerandole una dopo l’altra, anche le barzellette e le storielle che prendevano di mira il regime, Mussolini e i suoi gerarchi.
Cinzia Montevecchi ha pubblicato questo inedito in un volume, Volare nel sole (editrice Ave), dedicato a Alberto Marvelli e la gioia dell’educare. La modalità che Marvelli aveva di vivere la responsabilità educativa è stata al centro della relazione che Montevecchi ha tenuto al seminario di studi organizzato dall’Istituto di scienze religiose in occasione del centenario della nascita del beato. Marvelli era infatti nato il 21 marzo 1918 e, per una felice coincidenza di date, il centenario della nascita coincide con l’anno in preparazione al Sinodo sui giovani che papa Francesco ha convocato dal 3 al 28 ottobre prossimi. Un bell’esempio di giovinezza vissuta nell’adesione all’ideale cristiano.
Marvelli è conosciuto molto per l’eccezionalità della sua testimonianza di fede, per l’eroica carità vissuta sotto i bombardamenti di Rimini, per l’impegno sociale e politico che lo ha portato ad essere assessore nella prima giunta costituita dopo la Liberazione. Il merito del lavoro di Montevecchi è di aver messo in luce un aspetto trascurato della sua personalità, quello di educatore. Fin da quando, all’età di quindici anni, si è occupato degli aspiranti della sua parrocchia, Alberto, che poi ha ricoperto molti incarichi dirigenziali nell’Azione cattolica, ha svolto a più riprese nella sua breve esistenza, un ruolo educativo.
Ha svolto questo compito nella consapevolezza che per essere educatori bisogna innanzitutto lasciarsi educare. Si è tanto più padri quanto più si è stati figli, è quasi una legge di natura. Lui per primo è stato assiduo agli incontri di formazione proposti dall’Azione cattolica a livello nazionale. Non solo; la sua biblioteca documenta come si nutrisse con sistematicità dei documenti del magistero, di libri di riflessioni teologica, di opere di interpretazione della Sacra Scrittura, di libri di educazione sociale come le Premesse della Politica di Giorgio La Pira. Soprattutto si alimentava dalla vita dei santi: Paolo, Girolamo, Agostino, Benedetto, il Curato d’Ars, Teresa del Bambin Gesù, Caterina da Siena, Francesco d’Assisi, Francesco Saverio.
Marvelli aveva deciso di puntare tutto sul cristianesimo («Voglio farmi santo», si legge sul suo Diario) ed anche nel rapporto educativo con i ragazzi a lui affidati indicava sempre una meta alta da raggiungere. In un appunto cita una favola di Lessing dove l’aquila dice a proposito dei suoi aquilotti: «Come vorreste voi che, fatti adulti, fossero capaci di volare nel sole, se dalla loro nascita li lasciassi camminare nel fango?». Ai ragazzi vanno quindi proposti ideali elevati, da vivere nel quotidiano. Per essere santi – spiegava - non occorre «farsi frati o sacerdoti o pregare sempre i chiesa»; semplicemente occorre «servire Dio nell’ambiente abituale di famiglia, di lavoro, di scuola, di svago». Del resto, il giovane Marvelli non è un “santino” dipinto secondo un’antiquata agiografia, ma un ragazzo che va in montagna, al mare, in bicicletta, pratica sport, si diverte con gli amici.
Ai giovani bisogna proporre l’ideale ultimo con un metodo e un linguaggio appropriati. Si legge in un appunto: «Amare ciò che amano i ragazzi, affinché i ragazzi amino ciò che noi amiamo». In alcune pagine del Diario esemplifica (facendo riferimento ai “pericoli” derivanti dai giornali e dalla radio (gli unici mass media dell’epoca) una educazione che mira a indicare un atteggiamento e un comportamento positivi, piuttosto che attardarsi su proibizioni e repressioni. E su un valore che l’educazione cattolica dell’epoca privilegiava, la purezza, scrive: «Non è la virtù dei rinunciatari, dei timidi, degli inconsapevoli. Non è frutto di sole proibizioni…un’imposizione dall’esterno, una violenza a non vedere, a non sapere, a non sperimentare. La purezza non è una corazza di ghiaccio…ma un interiore braciere di fuoco, la purezza è vita. È la vita di Dio entro di noi che attrae nel suo fascino e nel suo calore, il corpo e i sensi». Marvelli era un giovane uomo che ama profondamente la vita, amava tutte le dimensioni dell’esistenza. Per lui vale la sentenza di Publio Terenzio Afro («Sono uomo, nulla di ciò che è umano mi è estraneo»), che è la chiave interpretativa anche del suo impegno educativo.
Al centro della sua vita e di quanto propone ai ragazzi c’è Gesù Cristo. In una riflessione sui discepoli di Emmaus scrive: «Mentre camminavano si incontrano con Gesù. Amo pensare che Gesù si sia fatto raggiungere. È bello pensare a Cristo che va sempre avanti, che ci insegna la via, che ci indica la strada e si fa raggiungere».
Anche l’educatore deve farsi compagno di viaggio delle persone che gli sono affidate. «Essere dirigente – osservava – vuol dire essere il servo e non il padrone degli altri». Di conseguenza un’altra virtù dell’educatore è l’umiltà, cioè la consapevolezza che è un Altro che in realtà educa. «Dove non si arriva con l’azione, arrivo con l’orazione: con l’orazione ho l’onnipotenza di Dio a mia disposizione».
Negli scritti e negli appunti di Marvelli non c’è alcun accenno polemico con gli ideali educativi proposti dal fascismo. Nel suo libro, Montevecchi riporta alcuni contenuti del catechismo (a domanda e risposta, come quello cattolico) del fascismo e i contenuti veicolati dalla scuola. Niente di più distante dall’educazione che viveva Marvelli e che proponeva agli altri. E di questa diversità era consapevole. In una lettera del 1943 all’amico Gigi Zangheri scrive: «Io faccio un po’ di apostolato individuale e mi preparo, leggendo, e studiando, al lavoro che può attenderci dopo. Più si studia, più appare vasto il campo delle cose che non si sanno. Penso alla responsabilità di colo che hanno ricevuto talenti e non li fanno fruttare».
Valerio Lessi