I cristiani nell’attuale momento sociale e politico del Paese. Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani, si è fatto interprete (e vi ha dato una risposta) della domanda che attraversa persone e comunità. Nel corso della recente preghiera per l’Italia tenuta a Roma in Santa Maria in Trastevere, da una parte ha invitato a non soffiare sul fuoco della frustrazione e della rabbia sociale, dall’altra ha esortato a lavorare per il bene comune dell’Italia senza partigianeria, con carità e responsabilità.
“Mi pare che l’intervento del cardinale Bassetti – osserva Manuel Mussoni, 33 anni, presidente dell’Azione Cattolica della diocesi di Rimini – sia riconducibile al metodo indicato dalla Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II: alla Chiesa stanno a cuore i drammi e speranze di ogni uomo e di ogni popolo. Nella situazione italiana ci sono indubbiamente esperienze positive ma sono evidenti anche fenomeni di paura, frustrazione, rabbia, sofferenza. È il punto da cui partire e di cui farsi carico per affermare un metodo di attenzione e di solidarietà”.
Il cardinale Bassetti fa anche un ulteriore passo in avanti, sostiene che i cristiani non possono “disertare quel servizio al bene comune che è fare politica in democrazia.”.
“Certo, è cosi, – conviene Mussoni – però è altrettanto interessante ciò che precede il passaggio sulla politica. Spiega che se c’è una carenza di presenza in politica questa è una conseguenza della paura. Si ha paura del futuro, e chi ha paura non lo costruisce nemmeno il futuro. Ragione per cui le persone tendono a chiudersi in se stesse e a non chiedersi più qual è il contributo che possono dare agli altri, alla comunità. Bassetti richiama quindi a mettersi in gioco per gli altri, a far fruttare il proprio talento. Tutto il suo discorso è appunto basato sulla parabola dei talenti, i doni ricevuti da mettere al servizio”.
Per i cattolici italiani – chiediamo a Musosni - che implicazioni ha il richiamo di Bassetti? “Anche per i cattolici – risponde – c’è il rischio di aver paura della politica, di vederla come un ambiente sporco e cattivo da cui stare fuori. Magari si è impegnati in molteplici e generose forme di carità, però si vuole mantenere una certa distanza dalla politica. Quando invece la politica è una delle più importanti esperienze di carità che si possano vivere, un contributo ad edificare la comunità. Quindi, senza pensare di dover ricoprire chissà quali ruoli prestigiosi, si tratta di mettere in campo idee nuove che costruiscano, Bassetti parla di idee ricostruttive. Bisogna dare libero campo alla fantasia, ad azioni nuove”.
Pensa quindi che sia un invito ad una presenza di cattolici più efficace, più organizzata? “No, penso che il sia innanzitutto un richiamo alla persona. Nella formazione della coscienza delle persone, che è il lavoro in cui sono impegnato come presidente dell’Azione cattolica, forse non insistiamo a sufficienza a far emergere la dimensione della prossimità all’altro. C’è il rischio di un individualismo. Dedichiamo molte risorse all’educazione dei giovani, alla famiglia, alla vita associativa, ma forse non sottolineiamo a sufficienza anche la dimensione politica, l’impegno a ricostruire il tessuto della società. È un talento da spendere. Mi chiedo perché fra le tante persone che sono raggiunte dalla nostra azione educativa non emergono, accanto alle altre, anche vocazioni alla politica. Nell’attuale pluralismo di idee, penso sia importante ci siano persone che esprimono quell’esperienza cristiana che ha tanto segnato tutti gli aspetti della vita sociale del Paese”.
Secondo Mussoni la comunità cristiana deve risvegliare i talenti della persona, la formazione deve mirare alla coscienza del singolo. “Poi sarà la singola persona a giocare i suoi talenti negli ambienti in cui si trova a vivere. Non è il momento del gioco di squadra, ma di puntare su un movimento dal basso, che parta dalla persona”. Mussoni, che è insegnante di religione nelle scuole medie superiori e a questa sua esperienza ha dedicato un libro (“Il capitolo più bello del libro”, Pazzini) crede molto ad un metodo: ha efficacia e porta risultati ciò che nasce da una relazione. Dalla sua esperienza ha tratto la convinzione che con gli studenti non si tratta di esserci per trasmettere qualcosa, ma di esserci per esserci, per stare vicino, per ascoltare. Nel libro racconta anche del rapporto con quel ragazzo "difficile" da gestire che ha sorpreso facendosi cento chilometri per andare a vederlo a giocare una partita di calcio. "Nel rapporto educativo con i giovani la mossa decisiva è puntare sulla relazione. La conoscenza personale, l’ascolto delle persone viene prima di ogni scelta. Questo vale per un prete, per un genitore, per un educatore ed anche per un politico. Come si fa ad affrontare i problemi politici, la questione dei nomadi, il dramma degli immigrati, se non si parte dall’ascolto? Quando esplose il problema di nomadi sono andato a prendere un the in una roulotte di via Islanda. E lì ho cominciato a capire, sono nati dei rapporti di amicizia. Se c’è uno sforzo di conoscenza, si costruisce la storia”.