Uno dei più gettonati “tormentoni” degli ultimi anni, la quotazione in Borsa della Fiera, giunge finalmente al traguardo. Il prossimo 3 agosto l’assemblea ordinaria e straordinaria di IEG, come si chiama la società dopo la fusione con Vicenza, delibererà il progetto e le connesse modifiche statutarie. Della privatizzazione della Fiera si parlò per la prima volta nel 2002, in occasione della nascita di Rimini Fiera Spa, quando il 15 per cento del capitale sociale fu sottoscritto da aziende, associazioni e banche. Un investimento che da allora è stato immobilizzato, vista l’impossibilità di poter vendere le azioni in un qualsiasi mercato.
La parola d’ordine privatizzazione è tornata in auge qualche anno fa quando una serie di concomitanti circostanze (crisi della Fiera, mancanza di risorse da parte degli enti pubblici soci) rendeva impossibile pagare il mutuo contratto con Unicredit per la costruzione del Palacongressi. In quella fase il presidente Lorenzo Cagnoni era fermamente contrario alla privatizzazione, soprattutto non ammetteva la narrazione di un sistema fieristico-congressuale sommerso da debiti non pagabili. Poi la Fiera è tornata a fare utili e coi dividendi si sono pagate alcune rate. Ma il grosso del debito (16 milioni) deve essere ancora saldato.
Rimane quindi un punto delicato dell’equilibrio su cui si regge il sistema fieristico-congressuale di Rimini. Ecco perché nel progetto di quotazione in borsa che il 3 agosto sarà approvato da IEG e che domani sarà esaminato dalla 5 commissione consiliare, il pagamento di parte del restante debito con Unicredit è il primo obiettivo che si vuole raggiungere. Obiettivo complementare è il finanziamento di interventi di manutenzione che si renderanno necessari al Palacongressi. Il secondo è il finanziamento dell’ambizioso piano industriale di IEG per il periodo 2018-2022, anche se di per sé – si legge nella relazione - non avrebbe bisogno di ulteriori apporti di capitale.
La quotazione in Borsa avverrà attraverso due distinte operazioni. La prima è un aumento di capitale di IEG tramite una OPS (Offerta Pubblica di Sottoscrizione) cioè la vendita di nuove azioni con un prezzo maggiorato in modo da far rifluire capitale fresco nelle casse della società. È stato calcolato che in questo modo potrebbero entrare circa 70 milioni.
La seconda operazione è una OPV (Offerta Pubblica di Vendita), da parte di Rimini Congressi (la società pubblica che detiene il 65,07 per cento delle azioni di IEG, attualmente in pegno a Unicredit) di un determinato numero di azioni per poter ricavare circa 17 milioni ed estinguere (16 milioni) una parte cospicua del debito rimanente.
C’è una conseguenza evidente del combinato disposto di queste due operazioni: nell’assemblea dei soci la parte pubblica, cioè Rimini Congressi, non avrà più la maggioranza.
Come fare allora a tutelare l’interesse pubblico che non si esaurisce nel controllo giuridico sulla società ma sugli effetti di ricaduta che la Fiera può avere sull’economia turistica e commerciale (presenze turistiche, destagionalizzazione, indotto) del territorio riminese?
L’escamotage trovato è quello del voto maggiorato, una possibilità prevista da alcune modifiche legislative del 2014. Il nuovo statuto attribuirà due voti a ciascuna azione detenuta da soggetti che risultino possessori del titolo da almeno 36 mesi. Ai fini del voto maggiorato, a Rimini Congressi sarà computato anche il periodo anteriore e quindi il diritto avrà immediata esecuzione. Quindi anche se Rimini Congressi scenderà al di sotto del 50 per cento, per un certo periodo, almeno fino a quando altri soci non matureranno (tre anni) lo stesso diritto, la società manterrà il controllo di IEG, nominando amministratori e collegio sindacale. E dopo?
Nello statuto sono state inserite altre norme di salvaguardia. Per decisioni importanti è prevista la maggioranza del 66,6 per cento di capitale e a Rimini Congressi è attribuito un diritto di veto, a condizione che esprima almeno il 33,3 per cento del capitale (dopo la OPV avrà il 41 percento).
Lo statuto inoltre prevede che la proposta di delocalizzazione di eventi fieristici dalla loro sede storica debba esser approvata dal voto unanime del consiglio d’amministrazione e dall’assemblea dei soci, ed essere determinata da cause di forza maggiore o da incontrovertibili ragioni di mercato.
È prevedibile che molto del dibattito politico da domani si concentri su queste ultime questioni.