L’aspettativa della comunità Papa Giovanni XXIII e il desiderio di quanti sperano di vedere al più presto don Oreste Benzi salire alla gloria degli altari era che il processo diocesano si concludesse entro il 2018, in concomitanza del cinquantesimo anniversario di fondazione dell’Associazione. Così non è stato e si dovranno attendere ancora alcuni mesi: la previsione è che il processo possa concludersi prima dell’estate.
Le ragioni dell’allungamento dei tempi sono molteplici. Innanzitutto il gran numero di testimoni chiamati a deporre. La postulazione, rappresentata da Elisabetta Casadei, ne ha indicati un centinaio, altri sono stati chiamati d’ufficio dal tribunale, altri ancora sono stati indicati da alcuni testimoni come persone che potevano aggiungere particolari rilevanti. Al momento ne sono stati ascoltati 131, un numero importante che spesso non tutte le cause riescono a raggiungere. Nel corso dei suoi 82 anni di vita, don Oreste ha conosciuto centinaia e centinaia di persone, in tanti avrebbero potuto testimoniare la sua santità, evidentemente si sono scelti i soggetti che hanno avuto una più assidua frequentazione e l’hanno visto in azione in più di un’occasione.
Il desiderio che sia riconosciuta la santità di vita di don Benzi è molto diffuso nella Chiesa. La postulatrice Elisabetta Casadei ha raccolto in un volume di oltre 200 pagine le lettere che nel 2013, dopo la notizia di richiesta di apertura della causa, erano state inviate al vescovo di Rimini (lettere postulatorie) per sostenere l’avvio del processo. Quelle di cardinali e vescovi sono una quarantina e ci sono i nomi più noti, da Ruini e Bagnasco, da Scola a Tonini, da Sepe a Comastri, solo per citarne alcuni.
Il processo è cominciato con la seduta pubblica del 27 settembre 2014, quindi è in corso da più di quattro anni. L’ascolto di un testimone ha richiesto in media cinque mattinate. L’interrogatorio, chiamiamolo così, seguiva una traccia composta da 150 domande, coprendo tutta la vita di don Oreste, dall’infanzia fino agli ultimi giorni, e indagando soprattutto come nelle diverse circostanze avesse vissuto le virtù cristiane. Altre volte l’interrogatorio non ha seguito la traccia ma si è concentrato esclusivamente sugli aspetti della vita del sacerdote di cui la persona ascoltata è stata diretto testimone. Fra le persone chiamate a testimoniare, ci sono molti sconosciuti al pubblico, ma anche nomi ben noti, come per esempio, il cardinale Elio Sgreccia, al quale lo legava una fraterna amicizia, un prelato che don Benzi consultava speso sulle questioni etiche o quando doveva intervenire in televisione; il vescovo emerito di Rimini, Mariano De Nicolò, con il quale i rapporti non sempre sono stati facili; ex sindaci come Giuseppe Chicchi o professori universitari come Stefano Zamagni.
L’ultima ragione dei tempi lunghi è data dal fatto che i componenti del tribunale (don Giuseppe Tognacci, giudice delegato; padre Victorino Casas Llana, promotore di giustizia, il cosiddetto avvocato del diavolo; Alfio Rossi, notaio e Paolo Bonadonna, notaio aggiunto) hanno anche altri impegni e non hanno potuto dedicarsi a tempo pieno alla causa. In una recente intervista al mensile Sempre, dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, don Giusepep Tognacci ha risposto ad alcune domande su come il prete dalla tonaca lisa ha vissuto il suo stato di salute. “Dall’ascolto dei testimoni si può perfettamente ricostruire ed essere a piena conoscenza di tutta la parabola clinica di don Oreste, fino alla sua morte. Don Oreste era cosciente della sua condizione di salute, seria e meritoria di maggiori attenzioni e cure, ma per tutta la sua storia, ben consapevolmente, ha deciso di non fermarsi se non con la morte”. Don Tognacci si pone anche una domanda interessante: “questo sacerdote dalla vita così intensa, immersa nella profondità del vissuto degli uomini, con tutte le luci e le ombre, le comprensioni e incomprensioni che avrà dovuto vivere, la sequela alla sua proposta ma anche l’avversione e l’abbandono, con chi ha avuto la possibilità di raccontare se stesso nella profondità della sua anima di prete? Non solo essere guida e trascinatore, come è stato, ma poter raccontare di sé da fratello o magari anche da figlio”. Forse direttamente con il Padreterno, suggerisce l’intervistatrice. “Può essere…”, risponde don Tognacci.
Tornando al processo, gran parte del lavoro è stato compiuto ed ora siamo realmente alle ultime battute del processo diocesano. Quando tutti gli scatoloni saranno riempiti con le copie dei verbali e con tutti i documenti raccolti, ci sarà la cerimonia ufficiale di conclusione del processo diocesano.
Tutti gli atti saranno spediti a Roma alla Congregazione delle cause dei santi, che svolge una funzione di controllo e nomina un relatore. Successivamente, sarà redatto un corposo volume, chiamato Positio, nel quale sono riportati tutti i documenti storici e la narrazione delle virtù del Servo di Dio così come sono emerse dalle testimonianze. Sulla Positio dovrà poi pronunciarsi una commissione di nove teologici il cui parere favorevole è indispensabile perché il candidato sia dichiarato Venerabile. Perché sia proclamato beato è necessario il riconoscimento di un miracolo. La guarigione di un malato deve essere giudicata non spiegabile scientificamente da una commissione di cinque medici. Poi serve anche il parere di una commissione composta da teologici, vescovi e cardinali. Al momento ci sono molte segnalazioni di grazie ricevute, ma non proprio di un presunto miracolo. Qualora venisse segnalato, partirebbe un processo canonico specifico.
Certamente, e non è la prima volta che succede quando si tratta di un fondatore, arriverà prima al traguardo della beatificazione la figlia spirituale di don Benzi, Sandra Sabattini, già proclamata venerabile da papa Francesco. Una curiosità: il processo per don Oreste ha avuto inizio lo stesso giorno (27 settembre, ovviamente in due anni diversi) di quello di Sandra Sabattini, la “santa fidanzata”.