Una commozione palpabile sul volto e nella voce di tutti, una gioia composta e profonda, la consapevolezza di vivere una tappa in qualche modo storica. Erano i sentimenti dominanti, ieri pomeriggio nel Duomo di Rimini, nel corso della cerimonia di chiusura del processo diocesano per la beatificazione di don Oreste Benzi. Il Tempio Malatestiano era pieno di persone, di tanto in tanto risuonava la voce del sacerdote, quasi ad indicare che egli è ancora vivo in mezzo al suo popolo. Pure tutti gli aspetti burocratici e formali, il gran movimento di firme, timbri e sigilli, grazie anche alla sapiente regia del delegato vescovile don Giuseppe Tognacci, sono apparsi elementi che hanno concorso a dare solennità e significato all’evento.
In apertura monsignor Francesco Lambiasi ha proposto due sottolineature: don Oreste come prete santo che ha praticato in modo eroico le virtù cristiane, ma anche don Oreste come profeta, uomo attraverso cui il Signore ha parlato e parla alla chiesa di Rimini.
“Non ha lasciato in eredità denari ma la sua vita spesa per i poveri”, ha esordito l’attuale responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII, Giovanni Paolo Ramonda. Ha tracciato brevi ed efficaci pennellate del sacerdote dalla tonaca lisa. “Si è consumato per i fratelli”; “ha conquistato i giovani proponendo non una sistemazione ma una vita donata”; “non ha nascosto il suo amore appassionato per Cristo come sacerdote nella chiesa cattolica”; “ha testimoniato una fraternità che va sulla strada, è stato profeta deriso e inascoltato nella liberazione delle ragazze costrette a prostituirsi”; “la sua opera d’arte è stata la comunità papa Giovanni XXIII oggi diffusa in 45 paesi del mondo nei cinque continenti”. Ed infine la conclusione: “Dopo la sua salita al cielo, si apre anche per noi il desiderio del paradiso ma anche di non lasciare più nessuno soffrire da solo”.
Elisabetta Casadei, la postulatrice della causa, ha spiegato che per lei incontrare don Benzi da ragazzina è stato come vincere due volte un biglietto della lotteria. La prima per aver scoperto che Gesù è vivo, una persona presente che ti ama; la seconda per aver potuto seguire da vicino la causa di beatificazione.
È toccato quindi a don Giuseppe Tognacci raccontare le varie fasi del processo che è durato cinque anni e due mesi. È stata un’inchiesta sulla vita, le virtù e la fama di santità di don Oreste Benzi. Sono state raccolte lettere e scritti di persone che hanno voluto testimoniare la loro convinzione sulla santità del sacerdote. Un collegio di periti teologi nominato dal vescovo ha letto tutti gli scritti di don Benzi e ha valutato che essi non contengono nulla di contrario alla fede e alla morale cattolica. Tre periti storici hanno raccolto tutti i documenti ecclesiastici e civili riguardanti il servo di Dio. Ed infine il gran lavoro dell’ascolto dei testimoni, alcuni proposti dalla postulazione, altri chiamati d’ufficio dal Tribunale. Dei 94 proposti dalla postulazione, ne sono stati ascoltati 85, perché nel frattempo quattro sono morti (come l’imprenditore Vittorio Tadei e il sacerdote don Fabio Trevisani), quattro non sono stati disponibili, uno è stato impossibilitato a intervenire. In totale sono state ascoltate 131 persone, 24 ecclesiastici e 107 laici. Gli interrogatori sono durati in media cinque mattinate di lavoro ciascuno, per completare la deposizione per alcuni sono stati necessari nove appuntamenti. Il tribunale ha compito anche quattro trasferte: una a Torino per il cardinale Poletto, una in Val di Fassa per un anziano parroco di Canazei, due a Roma per interrogare i cardinali Sgreccia e Rylko.
È stato un lavoro di 151 sessioni, compresa l’ultima, quella di ieri. Il risultato è stato una montagna di documenti: in totale qualcosa come 18.632 pagine. Gli atti, dopo la cerimonia di ieri, saranno trasmessi alla Congregazione per le cause dei santi. A fare da postino, il termine tecnico è portitore, sarà Giampiero Cofano della Comunità Papa Giovanni XXIII, che ieri ha giurato sui Vangeli di eseguire correttamente il proprio incarico.
Don Tognacci ha concluso il suo intervento con alcune note personali. È partito da un ricordo famigliare, dalla mamma che guardando don Benzi in televisione commentava “E’ un prete prete”. “Anche io sono diventato prete – ha aggiunto - e ho avuto occasione di vedere e ascoltare don Oreste anche in frangenti singolari della sua vita. In questi cinque anni più volte mi è stato chiesto cosa provavo ad ascoltare le testimonianze su don Oreste. Oggi ho voglia di dire che ho provato soprattutto, non esclusivamente, un enorme profondo senso di miseria su di me, di vivissima inadeguatezza, intendo come sacerdote, nel privilegio e nella grazia di trattare così da vicino questa grandissima anima sacerdotale che è don Oreste”.
Ed ha concluso: “Ora consegniamo gli atti al giudizio di santa madre Chiesa. Che Dio porti a compimento l’opera che dall’eternità ha iniziato a ricamare in questo figlio di Achille e Rosa, figlio e padre della Chiesa di Rimini, sacerdote di Cristo e, per amore al Signore Gesù, ammirevole educatore e difensore, servitore in eterno, dei più poveri e dei più deboli”.