“Io cerco una cosa particolare: di non perdere la coincidenza con il Signore che viene”. Così rispose don Oreste Benzi all’intervistatore che gli chiedeva se lui si sentisse in qualche modo trasgressivo. La domanda era quanto mai opportuna, visto che l’intervista, del 2000 sul mensile Sempre dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, era pubblicata in occasione dell’uscita di un libro del sacerdote dall’inequivocabile titolo Trasgredite!
Quell’intervista, insieme a molte altre, è ora pubblicata nel libro Ribellatevi! che l’editore Sempre ha mandato in libreria alla vigilia di una tappa importante del processo di beatificazione del sacerdote dalla tonaca lisa. Sabato 23 novembre, in cattedrale, ci sarà la cerimonia ufficiale di chiusura della fase diocesana del processo. Sotto lo sguardo del Crocifisso di Giotto, il vescovo monsignor Francesco Lambiasi applicherà i sigilli ai faldoni che contengono gli atti del processo che, cominciato il 27 dicembre 2014, ha visto l’escussione di oltre 130 testimoni, persone che hanno conosciuto e frequentato don Benzi. Gli atti saranno quindi trasmessi a Roma, alla Congregazione per le cause dei santi che dovrà pronunciarsi sulla loro validità. Dopo questo via libera, il Postulatore potrà dedicarsi al lavoro di redazione della Positio, il poderoso documento che raccoglierà in sintesi ciò che è emerso sulla figura del sacerdote.
Intanto, chiunque può riaccostarsi alla vita e alle parole di don Benzi, leggendo il volume curato da Alessio Zamboni e Nicoletta Pasqualini, due coniugi che da quasi trent’anni costituiscono l’anima operativa dell’attività editoriale della Papa Giovanni XXIII. Nel tentativo di individuare un filo rosso che possa legare fra loro una ventina di colloqui con don Oreste, Zamboni e Pasqualini lo hanno rintracciato in quel Ribellatevi!, riformulazione di quell’antico Trasgredite!, accompagnato dal sottotitolo Intervista con un rivoluzionario di Dio.
Don Oreste era una persona che, a decenni dal Sessantotto, non aveva paura di usare la parola rivoluzione in riferimento al cristianesimo, senza con ciò scivolare verso gli equivoci della teologia della liberazione o verso improbabili tentativi di conciliazione fra lotta di classe ed esperienza cristiana. Il sacerdote usava la parola rivoluzione in contrapposizione a devozione, intendendo con quest’ultima espressione un cristianesimo che ha rinunciato ad essere una novità di vita radicale, non assimilabile ai criteri del “mondo”. È quanto disse esplicitamente, una sorta di testamento spirituale, pochi giorni prima di morire, intervenendo a Firenze alla 45° Settimana Sociale dei cattolici italiani. Lui riteneva che il problema della cristianità fosse appunto la riduzione della fede a devozione: “E’ scomparsa la coscienza di essere popolo di Dio, con una missione di salvezza da portare”. Pensava, e lo disse nella citata intervista del 2000, che la riforma protestante, con la sua esaltazione del rapporto diretto dell’individuo con Dio, avesse influito in qualche modo anche sulla Chiesa cattolica, dove a suo giudizio c’era troppa enfasi sulla santità individuale piuttosto che sulla costruzione di un popolo santo capace di testimoniare nei fatti della vita una novità irriducibile ai criteri mondani. Di qui il suo invito a “trasgredire”, cioè a non far propria la mentalità dominante, rivolto specialmente ai giovani. E precisava che per lui questo movimento era non perdere le coincidenze con il Mistero che si manifesta nella storia.
La lettura delle interviste restituiscono un don Benzi vivo, che si misura con le sfide dell’attualità (droga, Aids, carcere, prostituzione, aborto), rischiando un giudizio che a volte può sembrare paradossale od eccessivo, ma che lui documenta e sostiene a partire dall’esperienza sua, della sua comunità, delle persone incontrate. Non mancano giudizi preoccupati sullo stato della Chiesa contemporanea, ed osservazioni che oggi restano quanto mai attuali, come questa: “Noi ci affanniamo a dare regole esterne alla vita umana che invece possono essere accettate solo in una relazione d’amore”.
Le prime due interviste sono autobiografiche, don Benzi si racconta, parla della sua famiglia, dei fatti e degli incontri che hanno influito sulla sua personalità. Chi ha letto Con questa tonaca lisa, non troverà nulla che già non conosca. Anzi, emerge una sorta di “canone” ormai consolidato: quando il sacerdote racconta della sua vita, il discorso cade sempre su alcuni fatti e su alcuni particolari.
Due notazioni, prendendo fior da fiore dal volume. Papa Francesco usa spesso la parola tenerezza per parlare di Dio e della sua misericordia. Anche Giovanni Paolo II aveva usato quella parola, ricevendo in udienza, il 29 novembre 2005, la Comunità Papa Giovanni XXIII in occasione del 30° anniversario di fondazione delle case famiglia. Il santo papa invitò la comunità a testimoniare la tenerezza di Cristo a quanti vivono nel disagio e nell’abbandono. Don Oreste commenta in una delle interviste pubblicate nel libro: “E’ un’espressione stupenda, entusiasmante: testimoni della tenerezza di Dio verso gli ultimi! Questo ci dice che elemento essenziale di quell’autentica condivisione che ci caratterizza è proprio la tenerezza. Ed io aggiungo che questa tenerezza ci vuole non solo con gli ultimi, ma anche tra di noi, nel rispetto vicendevole”.
Il volume si chiude con una intervista del 2004 dedicata alla società del gratuito, un’espressione che indica il culmine della riflessione sociale di don Oreste Benzi, il suo contributo all’evoluzione della dottrina sociale della Chiesa. È un testo in cui prospettive utopiche si sposano a considerazioni realistiche. Don Oreste precisa che la società del gratuito (rapporti positivi fra gli uomini, liberi dalla logica dello sfruttamento) è l’inizio di una novità che si afferma passo dopo passo nel contesto dominato dal criterio del profitto. È la testimonianza di un pensiero in evoluzione che i membri della Comunità Papa Giovanni XXIII sono chiamati oggi a sviluppare nell’alveo delle riflessioni aperte da Francesco sull’economia.
Valerio Lessi