Se c’è un impatto facilmente verificabile a livello economico della paura da Coronavirus, è quello sul turismo. Disdette per congressi e gite scolastiche (che nel periodo che si apre avrebbero contribuito al fatturato di molti alberghi), prime disdette per la Pasqua, minori viaggi esteri in arrivo e in partenza, minore propensione a spostarsi. Quale sarà l’entità del danno, nessuno oggi lo può calcolare. Dipende da quanto dureranno la psicosi, il clima di incertezza, i provvedimenti restrittivi adottati dalle autorità. Già dalla giornata di ieri il sentiment dominante è la richiesta di un veloce ritorno alla “normalità”. “Quando si parla di impatto sul turismo – osserva Alberto Zambianchi, presidente della Camera di Commercio della Romagna – bisogna considerare non solo gli alberghi, che certamente sono i primi a soffrire per il minor movimento. C’è tutta una filiera che è andata in crisi. Penso ai ristoranti, ai bar, ai locali pubblici. Una crisi che di conseguenza arriva anche a toccare i fornitori degli esercizi ricettivi e della ristorazione”. A Rimini e su tutta la Riviera romagnola questo è drammaticamente vero. Gli operatori del settore sperano che il rapido ritorno alla normalità consenta di recuperare in parte la Pasqua e i mesi di maggio e giugno ricchi di eventi.
“Da presidente di un ente che gestisce le statistiche sull’economia – aggiunge Zambianchi – non posso che rilevare che una situazione del genere nel breve e medio periodo non può che generare una depressione generale dei consumi. A parte comportamenti irrazionali di chi va a fare incetta di prodotti alimentari nei supermercati, fenomeni passeggeri dettati dalla reazione incontrollata di fronte a certe informazioni che tendono all’allarmismo, i consumatori di fronte all’incertezza tenderanno a spendere di meno, a rimandare gli acquisti, a rinunciare a servizi che prima erano considerati indispensabili. Tutto genererà una depressione dei consumi che si aggiunge a un trend che già era poco virtuoso per via della crisi economica”.
Turismo, commercio, servizi sarebbero dunque i settori più colpiti. Ed il settore, ricorda Zambianchi, comprende anche le aziende di ristorazione e di commercio gestite da imprenditori cinesi, che probabilmente sono i più colpiti dalla psicosi. Ma nelle valutazioni sull’impatto economico della crisi da Coronavirus si fa spesso riferimento anche alle aziende industriali del settore manifatturiero. Questo è vero anche in Romagna che non è una “zona rossa” sottoposta a limitazioni più restrittive? “In una economia globalizzata come quella attuale, le incidenze sulla catena del valore sono immediate. Ci sono aziende, nel settore metalmeccanico, dell’automotive, dell’elettronica, del tessile, che ricevono componenti per i loro prodotti dalla Cina o da altri paesi esteri. Se il flusso di rifornimento si interrompe, le aziende vanno in crisi. Il settore manifatturiero che acquista all’estero materie prime o semilavorati, avrà delle ricadute. Se saranno costrette a rallentare la produzione, le conseguenze inevitabilmente si riverseranno anche sul personale”. Ma questo sta già accadendo o è un pericolo se l’attuale situazione di incertezza si protrarrà a lungo? “I primi segnali ci sono”, sostiene Zambianchi.
Nel riminese si ha notizie di importanti aziende che esportano in Cina che non sanno, al momento, se, quando le commesse saranno pronte, potranno tranquillamente spedirle o dovranno aspettare. Anche se, va rilevato, le quote di mercato cinesi non sono ancora rilevanti per le aziende locali. Se si dovesse verificare il temuto blocco della componentistica di produzione cinese, le aziende potrebbero rivolgersi al mercato italiano o ad altri mercati, con conseguente aumento di costi. Ci sarebbe comunque un danno.
Zambianchi mette in evidenza anche le difficoltà del settore agroalimentare. “Se i nostri produttori per poter continuare ad esportare il prosciutto, la piadina o il sangiovese, fossero costretti a dover ricorrere a certificazioni per dimostrare che con i loro prodotti non si corre alcun pericolo, andrebbero incontro ad un aumento di costi. Ecco perché dico che è necessario che da Roma, governo nazionale, e da Bologna, governo regionale, sia istituita una cabina di regia che fornisca messaggi veritieri e tranquillizzanti. L’allarmismo si sconfigge con una corretta informazione”.
La sottolineatura dei rischi per l’economia arriva da più parti. Oggi il presidente regionale della Confcooperative, Francesco Milza, ha diffuso una nota per sostenere che “da una prima stima abbiamo calcolato circa 10.000 posti di lavoro a rischio nelle nostre cooperative sociali, culturali e dello spettacolo, di logistica, trasporto merci e persone, facility management, ristorazione e agroalimentare”. In particolare Milza evidenzia che “sono oltre 5.000 i lavoratori attualmente a riposo per la chiusura di strutture che gestiscono servizi alla persona. Pur parlando di un servizio pubblico paragonabile alla sanità ed alla scuola statale, in questo caso i lavoratori non godono delle stesse tutele. Quindi educatori, assistenti sociali, insegnanti, operatori socio-sanitari, pedagogisti, psicologi, personale ausiliario, si trovano impossibilitati a lavorare e di conseguenza senza stipendio”.