Dopo gli articoli sul tema della rappresentanza (Un nuovo inizio e una domanda per la politica riminese) e sui compiti della minoranza (Il mestiere e il rischio dell’opposizione), parliamo di maggioranza e della responsabilità che essa si assume davanti alla città di Rimini.
Se il rischio che la minoranza è ‘costretta’ a correre è quello di rinunciare a un’identità costruita solo sulla protesta e di provare a dimostrare visione e capacità di governo partecipando alla soluzione dei problemi della città – rischio perché impone un rapporto delicato con gli amministratori in carica, oltre che un mettersi alla prova ben diverso dallo spuntare quattro righe per il giornale –, quello della maggioranza è assolutamente speculare ad esso. Si tratta infatti di rinunciare alla propria autosufficienza e, almeno in parte, alla propria posizione dominante, ad esempio in termini di trasparenza e di metodo nella conduzione dei diversi ‘cantieri’ cittadini.
Un rischio, a dire il vero, che le maggioranze fanno di tutto per risparmiarsi, preferendo l’avanzamento dei propri progetti e dei propri programmi a ogni contaminazione, aggiustamento o correzione suggeriti dall’esterno. Per non parlare di una qualsiasi ammissione su risultati negativi, mancanze o qualcosa che si sarebbe potuto fare meglio: come se gli amministratori pubblici fossero gli unici a non fare errori nel mondo. E così è stato anche a Rimini.
Ma il problema non si può ridurre a una questione di temperamento personale e ha motivazioni culturali e politiche profonde.
In buona sostanza la domanda cui si dovrebbe rispondere è come sia possibile essere davvero il sindaco di tutti. Se ciò significhi che le idee del primo cittadino di turno debbano riguardare tutti senza preferenze e, certo, essere applicate a tutti in modo onesto e ragionevole, e anche efficace e lungimirante, o se invece quegli stessi ‘tutti’ possano influenzarle, quelle idee, e addirittura trasformarle. Un’apertura di 'credito' e un metodo di governo la cui decisività non venga meno davanti a qualsiasi competenza, capacità, visione o aggettivo possa connotare positivamente l’azione amministrativa.
Neanche le dialettiche normali e sempre presenti all’interno di una maggioranza possono supplire a questa disponibilità. Lo si è visto bene con l’esperienza di Patto civico nella passata legislatura, una lista che avrebbe dovuto ‘condizionare’ l’attività amministrativa proprio rappresentando la vitalità e il contributo di alcune categorie economiche. Una promessa di rappresentanza che invece è venuta meno già all’indomani del voto. Così pure oggi, al di là delle differenze o delle somiglianze che si possano rintracciare con quella esperienza, certo non si può affidare la delega del rapporto con la società civile alla lista civica che ha appoggiato Sadegholvaad alle ultime elezioni. O all’accordo tra le ‘correnti’ del Pd che ha portato alla sua candidatura unitaria. Pensare che innestare qualche nuovo tema o qualche sensibilità civile sull’eredità delle giunte Gnassi possa esaurire questa necessità di apertura e di condivisione sarebbe perlomeno miope, e servirebbe solo a giustificare una nuova stagione di autosufficienza e autoreferenzialità.
In tutto questo è perlomeno incoraggiante che proprio il neoeletto sindaco abbia dedicato a questo tema una parte del suo intervento sulle linee guida del suo mandato.
Dopo aver parlato di una giunta più equilibrata al poprio interno ed esposto i riferimenti valoriali che la guideranno, ha infatti tratteggiato anche quale dovrebbe essere il compito dell’azione amministrativa e il suo metodo di azione: “favorire e sostenere la grande energia che la comunità sprigionerà, senza la pretesa di comandare, semmai affiancare in maniera intelligente e flessibile queste energie che vengono dai nostri concittadini.” Parole importanti, che speriamo trovino conferma nella capacità dell’Amministrazione di riconoscere non solo i problemi da risolvere ma anche i soggetti sociali ed economici con cui poterli affrontare, disponendosi a una funzione di indirizzo, di abbrivio, di regolamentazione e di controllo e non invece a una specie di autocrazia che risolva in sé e da sé ogni particolare della vita cittadina.
A ribadire il proprio atteggiamento, Sadegholvaad ha poi aggiunto che, il suo, sarà “un Comune che si aprirà senza alcun timore alla cittadinanza attiva e alla partecipazione”, perché “questa volta se ne uscirà tutti insieme, tenendo tutti dentro il presente e il futuro”.
Una dichiarazione dunque di stima verso i cittadini e che si allarga doverosamente a comprendere il tema sempre più drammatico dell’inclusione sociale. Vedremo presto se questo rispetto e questa preoccupazione saranno comunque unidirezionali (con un Comune che dispensa e concede) o se invece si tratta di una reale ‘cessione’ di potere.
La vera questione infatti – nel rapporto con la minoranza così come con le ‘energie positive’ della città – è se questa disponibilità si riduca solo a una questione di mediazione politica e di largizioni benevole; se cioè questo “aprirsi senza alcun timore” sia una concessione o invece parte integrante della propria responsabilità, connaturato alla propria idea di politica, addirittura necessario alla maggioranza per adempiere al proprio compito e per essere se stessa.
(rg)