Dietro i condhotel: la riqualificazione turistica di Rimini ferma al palo
Si chiede il sindaco di Rimini, Andrea Gnassi: “Che fine hanno fatto gli impegni, più volte espressi negli ultimi 10 anni, di agevolare il passaggio dall’affitto alla proprietà delle strutture ricettive, magari prevedendo defiscalizzazioni sulla vendita, precondizione per un nuovo impulso ai necessari investimenti? Che fine ha fatto la stessa proposta, avanzata dalla Riviera romagnola, di potere avere sostegno normativo per accorpare più alberghi, liberando anche spazi per servizi utilizzabili dalle strutture ricettive stesse? La politica industriale che serve a un settore strategico si riduce tutta a un favore alle lobby?”.
Le domande del sindaco hanno una duplice valenza: sono – nelle sue intenzioni – un atto di accusa nei confronti dei governi nazionali; ma sono anche l’implicita ammissione del fallimento di una classe politica locale che non è riuscita ad imporre al governo – neppure ora che al ministero del turismo c’è un politico di questa regione – un tema vitale per l’economia della Riviera romagnola. Se c’è una lobby vincente, non è quella di Rimini e della Riviera.
L’argomento del giorno sono i cosiddetti condhotel, previsti dall’art.31 del decreto Sblocca Italia in discussione alla Camera. Cosa sono i condhotel? La parola indica una formula che si è affermata in alcuni Paesi, primo fra tutti gli Stati Uniti, dove ci sono alberghi che per finanziarsi hanno messo in vendita alcune stanze. I condhotel sono quindi strutture ricettive che mettono insieme il servizio ricettivo tipico degli alberghi con la tipologia degli alloggi residenziali; o - da un punto di vista inverso - abitazioni in condominio dove è possibile usufruire dei servizi tipici degli hotel. La proposta era contenuta nel decreto sulla Competitività, poi soppressa quando il testo è stato esaminato dalla Camera. Adesso è tornata nel decreto Sblocca Italia che parla di “esercizi alberghieri aperti al pubblico, a gestione unitaria, composti da una o più unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori ed eventualmente vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma integrata e complementare, in unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie non può superare il quaranta per cento della superficie complessiva dei compendi immobiliari interessati”.
L’eventualità che turba i sonni del sindaco è questa: un proprietario di due alberghi, uno in prima linea e uno all’interno trasforma in appartamenti l’albergo in prima linea, il più redditizio dal punto di vista immobiliare, e lascia all’attività ricettiva quello in seconda linea. La norma sembra insomma contraddire il principio da sempre affermato sulla Riviera: il processo di riqualificazione deve vertere sull’impresa turistica, non si devono cercare scappatoie che favoriscono unicamente la rendita immobiliare. Osserva il sindaco: “Certo, chi conosce i mercati, i trend, le evoluzioni sa che la formula dei condhotel è da valutare. Ad oggi si sono è affermata in alcuni contesti metropolitani per dare ospitalità a chi vi lavora dal lunedì al venerdì. Nel contesto riminese a cosa e a chi servirebbe una formula del genere?”.
Che ci sia una domanda crescente alloggi turistici diversi dalla tradizionale camera d’albergo, lo testimoniano anche le residenze turistiche alberghiere che nella provincia hanno raggiunto le 130 unità (più numerose degli alberghi a 4 stelle, per esempio) ed il successo di siti come Airbnb che solo a Rimini propone più di 800 camere private.
Ma il punto non è questo: la questione sollevata dal tema dei condhotel è quella della riqualificazione degli alberghi, da molti anni ferma al palo. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che a Rimini almeno il 50 per cento degli esercizi alberghieri sono in affitto: l’imprenditore albergatore non può intervenire sulla struttura e il proprietario ha l’esclusivo interesse ad intascare l’affitto. Da dieci anni – come ha ricordato Gnassi – si parla di incentivi fiscali e finanziari perché gli affittuari possano diventare proprietari e procedere così alla riqualificazione. Allo stesso modo si è parlato di norme per favorire l’accorpamento di più strutture, realizzando servizi comuni.
Mentre si parlava a vuoto, la situazione è diventata ancora più insostenibile. Il presidente dell’Aia di Rimini, Patrizia Rinaldis, al pari di Gnassi dubbiosa sui condhotel, disegna un quadro a tinte più che fosche. “Nessuno riesce a comprare, non ci sono i soldi. Quindici anni fa si poteva andare in banca a chiedere risorse – osserva – oggi non è più possibile. I nostri alberghi sono valutati sempre meno, non costituiscono una garanzia per le banche”. È un circolo infernale: gli alberghi danno sempre meno reddito e i margini sono sottilissimi; nessuno riesce ad avere risorse proprie per investire; le banche non erogano credito perché valutano poco i beni immobili offerti in garanzia. Anzi, ad ascoltare la presidente dell’Aia accade un fenomeno ancora più preoccupate: molti alberghi sono passati nelle mani della banche, e non solo in senso figurato.
La questione di fondo è che la riqualificazione delle imprese ricettive è di fatto uscita dall’agenda politico-amministrativa reale. Rimbalza oggi perché una norma del decreto Salva Italia sembra mettere in discussione una impostazione che però in questi ultimi anni non ha avuto gambe concrete su cui camminare. A livello locale alla brusca frenata all’espansione del mattone non è seguita una coerente politica volta a favorire la rigenerazione urbanistica delle zona turistica. Servono risorse, servono sgravi fiscali, di competenza dei governi nazionali, ha servono anche norme urbanistiche e edilizie che spetta al Comune emanare.
C’è da augurarsi che il dibattito sui condhotel serva a ridare il giusto peso a questo tema, decisivo per il futuro turistico di Rimini.