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Valentini: "Basta con la città vetrina di eventi, scommettiamo sulla bellezza"

Domenica, 29 Marzo 2015

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Valentini: "Basta con la città vetrina di eventi, scommettiamo sulla bellezza"

 

In un recente convegno organizzato da Progetto Rimini, una delle relazioni, sul tema Il valore e la storia: il patrimonio culturale della città è stato tenuta dal professor Natalino Valentini, direttore dell’Istituto di Scienze Religiose “Alberto Marvelli”. Il professor Valentini ha concentrato la sua ricerca accademica sul pensiero religioso russo, dedicandosi in particolare allo studio della cultura filosofica e teologica russa del Novecento. È però anche un protagonista ed un attento osservatore della vita culturale di Rimini, come ha dimostrato con l’intervento al citato convegno.

 

Nella sua relazione al convegno di Progetto Rimini si è soffermato, fra gli altri punti, sul rapporto fra città e bellezza. Sulla bellezza sembra esserci oggi un consenso generale, lei però avverte che non ci si può fermare all’aspetto architettonico-urbanistico, ma bisogna affrontare il tema dal punto di vista antropologico. Che significa?

 

Sì, la bellezza non la si può ridurre ad estetismo o a cosmesi. Essa ha a che fare anzitutto con il senso più profondo del nostro essere, con la verità, con l’amore, ma anche con l’esperienza etica, politica e spirituale. Non si tratta di un ornamento esteriore della vita, ma dell’incontro sempre nuovo e sorprendente tra esistenza e mistero. Più del vero e del bene, la bellezza ha la forza di interpellare direttamente la nostra sensibilità, di parlare attraverso la nostra corporeità, generando quel misterioso flusso di energie che dalla materia passa all’anima. In tal senso la bellezza si fa testimonianza evidente e persuasiva di un’affinità misteriosa tra il mondo “interiore” e quello “esteriore”. Viceversa, una bellezza privata del suo intimo legame con il bene e la verità, spogliata di ogni relazione con la trascendenza, si riduce inevitabilmente ad idolo, a vuota maschera.

Come è stato colto con sensibilità impareggiabile da Dostoevskij, snodo decisivo del pensiero moderno e contemporaneo, la premura per la bellezza investe il problema dell’uomo e del suo destino. La bellezza è una caratteristica suprema dell’esistenza, riguarda lo sguardo che si ha sull’uomo, sulla qualità relazionale della vita personale e sociale. Per queste ragioni il tema della bellezza va riscoperto nella sua integralità, nelle sue implicazioni antropologiche, conoscitive, ma anche educative, etiche e politiche, altrimenti rischia di diventare un simulacro.

 

Ma attenzione alla bellezza in una città concretamente significa anche valorizzare le risorse artistiche del territorio?

 

Certo, uno degli ambiti privilegiati dell’educazione alla bellezza in senso etico e politico riguarda la riconsiderazione del patrimonio storico artistico e culturale che ci circonda, a partire dal paesaggio. Ripartire dai giacimenti di arte e di cultura presenti nei nostri territori significa non soltanto riscoprire l’immenso universo simbolico e spirituale che li ha generati, trasformandoli in opere d’arte e dando forma alla tessitura della città, ma raccogliere la sfida di una crescita umana, culturale, sociale, civile delle persone. Questi aspetti erano ben chiari nella mente dei padri costituenti che richiamarono tra i principi fondativi della Costituzione (cfr. Art. 9), oltre alla promozione “dello sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, anche la “tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione”. Nel nostro paese, nelle nostre città, il legame tra paesaggio e patrimonio storico-artistico è inscindibile, eppure ciò che è accaduto in questi ultimi decenni, anche nel nostro territorio, attesta una distruttiva e sistematica negazione di questi principi. Dunque, la sfida è un radicale ripensamento dell’indissolubile legame tra arte, cultura e sviluppo, quest’ultimo inteso in senso ampio, come educazione, creatività, conoscenza, ricerca, innovazione, invenzione, ma anche occupazione sociale.

A partire dalla tradizionale vocazione turistica del nostro territorio, occorre lavorare più intensamente sulla specificità del turismo culturale e religioso, puntando alla valorizzazione della cultura e dell’arte come straordinari veicoli dello sviluppo civile ed economico.

Oggi in Europa e nel mondo si guarda al nostro paese, e anche al nostro territorio romagnolo non più per l’attrazione della sua spiaggia, ma per l’unicità del suo ambiente, delle sue opere d’arte (che per i 2/3 sono di matrice ecclesiale), per la qualità delle relazioni personali. Come si può continuare a trascurare tutto questo continuando a replicare modelli anacronistici? È necessario e urgente mettere in atto progetti lungimiranti incentrati sulla formazione e la riqualificazione di nuovi modelli di turismo a partire dal vasto patrimonio artistico e culturale dell’area romagnola, offrendo al contempo concrete opportunità di investimento, di cooperazione e di occupazione professionale connesse a questo comparto.

 

Una prospettiva interessante, ma c’è subito un’obiezione pronta: con il turismo culturale e religioso si riempiono le migliaia di camere della Riviera?

 

Una scelta non esclude l’altra. Occorre ragionare in termini di complementarietà: il modello tradizionale del turismo balneare o congressuale (che comunque invoca da anni una radicale trasformazione anche strutturale) può convivere benissimo con un turismo che valorizzi il patrimonio di bellezza artistica e paesaggistica del territorio. Come è stato accuratamente documentato anche dal professor Attilio Gardini, c’è stato negli ultimi anni un oggettivo decadimento del tradizionale modello di turismo balneare ed urge la necessità di un riposizionamento. È sempre più diffusa in Europa e non solo in Europa la domanda di un turismo fondato sulla ricerca di esperienze autentiche, incentrate sulla qualità delle relazioni interpersonali, sulla conoscenza dei territori che si visitano, sull’incontro con le tradizioni culturali locali, sulla tipicità e unicità dei luoghi e dei prodotti. La nuova sfida è quella dell’Heritage culturale, nel quale offrire una diversa esperienza del viaggio, anche in termini relazionali, emozionali e spirituali, contro l’omologazione dominante e l’appiattimento delle diversità, per recuperare l’elemento distintivo del nostro territorio. Ma questa prospettiva, oggi in rapida espansione, esige la messa in atto di una diversa narrazione, di nuovi profili formativi, ma soprattutto di nuove politiche culturali e turistiche in grado di investire in modo innovativo sul capitale umano, culturale e relazionale, coinvolgendo i diversi saperi nei processi di sviluppo, e creando una rete tra le realtà esistenti secondo un sano principio di sussidiarietà.

Sono convinto che i turisti che arrivano sulle nostre spiagge siano sempre più alla ricerca di nuove esperienze conoscitive (ogni viaggio è mosso anzitutto da questo desiderio), a partire dalle nascoste bellezze che può offrire il nostro entroterra, dalle risorse storiche e artistiche a quelle enogastronomiche. Si tratta di far coesistere questi diversi tipi di turismo non in modo approssimativo o improvvisato, ma con avvedute politiche e strategie progettuali in grado di guidare, educare e governare questo delicato processo di cambiamento. Purtroppo a Rimini in questa direzione non si è fatto ancora nulla di sostanziale, a differenza di altre realtà; non mi riferisco solo al modello senese, ma anche a quello delle vicine Marche dove già a partire dal 2010 si sono fatti importanti investimenti sul turismo culturale e religioso con ottimi riscontri in pochi anni. I turisti che scelgono le spiagge marchigiane vengono coinvolti e appassionati nella scoperta della ricchezza presente nelle valli e nei tanti paesi e borghi storici delle colline, inseguendo suggestivi itinerari poetici sulle orme di G. Leopardi, o pittorici lungo le rotte di Carlo Crivelli o Lorenzo Lotto, ma anche di tanti musei diffusi, chiese, conventi, santuari. È una strada che si può percorrere e certamente il nostro entroterra non è certo inferiore a quello.

 

Nella sua relazione, ha affrontato anche il tema città e cultura con giudizi severi sulle tendenze degli ultimi anni.

 

In questi ultimi decenni, in effetti, abbiamo spesso assistito alla triste riduzione della cultura a vacuo spettacolo, a banale divertissement, a rincorsa di modelli omologanti svuotati di senso, di identità, di memoria… di cui le artificiose “notte bianche” o “notti rosa”, o le giostre ruotanti ne rappresentano il triste risultato. La rincorsa alla cultura-spettacolo, la cultura dei bagliori e degli effimeri “eventi”, rischia di favorire soltanto la crescita della vacuità, del deserto, del non senso … così pervasivo nel fragile terreno del mondo giovanile contemporaneo. Sulla nostra città pesa ancora una triste eredità, colta molto lucidamente dallo scrittore Pier Vittorio Tondelli, nel romanzo Rimini del 1994 un romanzo-simbolo di quel periodo, nel quale veniva messo in scena un grande “sogno” nazional-popolare che ha coinvolto i giovani e le famiglie italiane, partecipi di una città-giocattolo, un grande Luna Park estivo, in cerca dell’eccesso più sfrenato che trasforma la vacanza estiva in un grande e carnevalesco palcoscenico dell’effimero.

La sfida che abbiamo di fronte è trasformare la nostra città da consumistica “vetrina di eventi” a città internazionale della cultura a partire dalle sue potenzialità, dal rapporto con la sua identità, la sua memoria, la sua vita ordinaria.

Va anche aggiunto che la gestione della politica culturale ha evidenziato negli ultimi anni un significativo miglioramento nell’offerta di importanti servizi: biblioteca, musei, come pure di mostre, festival, cicli di conferenze… Tuttavia, si avverte l’esigenza di un radicale mutamento metodologico: superare l’eccessivo centralismo istituzionale; garantire una concreta condivisione progettuale con le principali realtà presenti sul territorio; condividere insieme progetti e risorse; avviare tavoli di lavoro per la valorizzazione e la promozione del patrimonio storico e artistico della città; per la progettazione concertata in ordine ai progetti europei per la cultura.

Occorre garantire alle diverse espressioni della società civile presenti sul territorio non solo il diritto di prendere parte alla vita culturale, economica, sociale e politica della città, ma soprattutto la possibilitàdi svolgere un ruolo attivo nella progettualità e nella gestione dei servizi della città (sussidiarietà orizzontale).

 

Una risorsa culturale dell’area riminese è stata la sua straordinaria capacità di ospitalità e di accoglienza. Non c’è il rischio che anche questo patrimonio vada perduto? Come può essere giocato nel presente?

 

Nulla può essere perduto, tanto meno questi valori originari di socialità, di autenticità delle relazioni, di ospitalità e di accoglienza familiare che hanno caratterizzato e distinto per tanto tempo il nostro modello sociale e turistico. Vivere dentro una tradizione significa rinnovare l’esercizio della memoria e dell’identità a partire dalla propria storia ed esperienza. Questo prezioso patrimonio antropologico, sociale e culturale della nostra terra e della nostra gente non solo non può essere disperso ma, al contrario, deve costituire il fondamento sul quale pensare e costruire il futuro della nostra città. Tutto ciò avendo presente la complessità dei processi sociali e tenendo insieme tradizione e innovazione, esperienza e ricerca, memoria e profezia. Solo dalla tensione polare tra questi aspetti prende forma una nuova polis fondata su un solido ethos, una città che sia anzitutto “dimora” del nostro essere, in cui poter ancora abitare.


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