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Vinicio Marchioni con la poesia sulfurea di Campana al teatro Corte

Mercoledì, 09 Marzo 2016

(Coriano) Sabato 12 marzo, alle ore 21,15, la programmazione del Teatro CorTe di Coriano prosegue nel segno della poesia. Dopo quella rasserenante di Guido Catalano ecco quella sulfurea di Dino Campana, al centro dello spettacolo “La più lunga ora – Memoria di Dino Campana. Poeta. Pazzo” scritto e interpretato da Vinicio Marchioni con la partecipazione di Milena Mancini, nel ruolo di Sibilla Aleramo, e le musiche dal vivo di Ruben Rigillo.
Vinicio Marchioni ha una formazione teatrale (Ronconi, Latella, Muscato, Lescot, Marini, Latini). Al cinema ha debuttato come protagonista di “20 sigarette”, sulla strage di Nassiriya, e proseguito con pellicole italiane, da “Scialla” a “Miele”, e internazionali come “To Rome with love” e “Third person”. Celebre presso il grande pubblico per Il Freddo della serie “Romanzo Criminale” e per i ruoli chiave in film tv molto seguiti, da “L’Oriana” al recente “Luisa Spagnoli”. Dopo il successo teatrale di “Un tram che si chiama desiderio”, nel ruolo che fu di Marlon Brando, è ora in tournèe con “La gatta sul tetto che scotta”, sempre di Tennessee Williams.


Ruben Rigillo, figlio d’arte del grande Mariano Rigillo, prima ancora che interprete – nella stagione in corso a teatro per “La Bottega del Caffè” e “Doppio sogno (Eyes wide shut)” e da aprile di nuovo in tv per “Una pallottola nel cuore 2” al fianco di Gigi Proietti – è un virtuoso musicista (pianoforte, tromba, flicorno, flauto, percussioni).
Sul palco anche Milena Mancini, compagna di vita e d’arte di Marchioni, che ha iniziato come danzatrice, partecipando anche ai tour internazionali di Kylie Minogue, Ricky Martin e Geri Halliwell, per concentrarsi poi sulla recitazione dopo un periodo di studio a Los Angeles.


A CorTe presentano l’omaggio a Dino Campana, uno dei più grandi e controversi poeti italiani, nel testo che Vinicio Marchioni ha scritto ricreando il sofferto percorso interiore di sopravvivenza negli ultimi anni di vita in manicomio. Difficile stabilire un confine tra realtà storica e mitologia, a volte anche comica, quando si approccia la vita di Dino Campana. Un pazzo, un poeta, un viaggiatore, un manesco, un intellettuale, un uomo che ha fatto mille mestieri e che è arrivato a Costantinopoli a piedi assieme ad una tribù di zingari, o in Argentina, da dove è stato rimpatriato, o a Parigi o ad Odessa. Famosa la sua storia d’amore a dir poco burrascosa con Sibilla Aleramo e il suo odio verso le donne in generale. Altrettanto famoso il suo entrare e uscire da un numero imprecisato di manicomi. I “Canti Orfici”, la sua unica composizione poetica, hanno illuminato la letteratura europea del Novecento (Carmelo Bene definiva Campana il suo poeta preferito). “Canti Orfici” che Campana ha riscritto a memoria, sforzo che ne ha definitivamente piegato il già precario equilibrio mentale, dopo che due editori di Firenze avevano perduto il manoscritto originale. Campana concluse la sua esistenza nel manicomio di Castelpulci a Scandicci nel 1932, dopo quattordici anni di internamento.


“Cosa fa un Poeta, un viaggiatore, un malato di schizofrenia o più semplicemente un uomo che ha vissuto e scritto come Dino Campana, in un manicomio per quattordici anni? Come fa un uomo a sopravvivere a se stesso e alla propria esistenza rinchiuso in un manicomio per quattordici anni? Samuel Beckett - spiega Marchioni - diceva che “essere è essere percepiti”, si vive attraverso lo sguardo degli altri, e quando gli altri non ci guardano più abbiamo solo la possibilità di raccontare la nostra storia, a noi stessi, per assicurarci, o illuderci, che quella storia sia esistita realmente. Non certo uno spettacolo di ricordi aneddotici quindi, ma la necessità di ricordarsi la propria vita e ri-dirsela, ri-raccontarsela, ri-metterla in scena per l’ennesima volta come prova della propria esistenza ai nostri stessi occhi”.


La memoria come tema dell’esistenza dunque, a maggior ragione per Campana che a “memoria” riscrisse il suo capolavoro perché “se lo riscrivevo potevo esistere” affermando allo stesso tempo che “serve ad ammazzar la gente quel libro”. Vinicio Marchioni è Dino Campana, uomo prima che poeta, nella sua camera da quattordici anni, semplicemente. Osservato nella sua più lunga ora di vita, forse l’ultima (il primo titolo scelto per i Canti Orfici era infatti “Il più lungo giorno”) durante la quale riemergono anche le tracce indelebili del tempestoso rapporto con Sibilla Aleramo, qui incarnata da Milena Mancini, poetessa e “amante” di Campana per molti anni. “La loro storia d’amore era rimasta fuori dalle precedenti messe in scena perché pensavo già fosse stato detto molto – precisa l’autore e interprete -. Oggi sento invece che non può esistere una vita di Dino Campana senza Sibilla e l’idea di entrare in maniera delicata e intima nelle loro storie singole e personali, di poeti prima che di amanti, mi affascina molto. Credo si siano amati prima come artisti e poi come uomo e donna”.


Il risultato è una narrazione totalizzante, appassionata e coinvolgente, dell’esistenza straordinaria e stravagante dell’irregolare di Marradi. “Per scoprire – conclude Marchioni - che non c’è nulla di poetico nella vita di un poeta, non c’è nulla che non faccia ridere nella morte di tutti e che non c’è nulla, neanche l’autolesionismo folle e grottesco di Campana, che possa far morire l’istinto alla poesia in ognuno di noi. Per provare a dire a tutti che solo la poesia salverà il mondo”.


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