‘Il lavoro (non) c’è’. A partire da questo titolo si sono ritrovate ieri pomeriggio a Castel Sismondo un gruppo di realtà cattolica impegnate sull’arduo fronte del lavoro: Cds – Centro di Solidarietà, Cdo, Caritas diocesana di Rimini, Progetto Policoro, Fondo per il Lavoro, Patronato Acli, Acli provinciali di Rimini, Fondazione EnAip “S. Zavatta” Rimini, Associazione Sergio Zavatta onlus, Associazione di volontariato Madonna della Carità, Cooperativa sociale Madonna della Carità. L’incontro si è concretizzato a quasi due anni dall’avvio del Fondo per il lavoro, l’iniziativa con cui la Diocesi ha favorito l’immissione nel mondo dell'occupazione di una cinquantina di disoccupati.
Storie spesso difficili, a tratti drammatiche, con un finale dal retrogusto dolce e inaspettato, sono state passate in rassegna ieri, grazie anche alla sensibilità curiosa di Elisa Marchioni che ha moderato l’incontro a cui ha partecipato il vescovo Francesco Lambiasi.
Rompere il ghiaccio è toccato a Daniele Farneti. Nel 2014, a 50 anni suonati, ha dovuto chiudere la sua attività per motivi familiari. “Vedevo tutto nero”, dice. Perché a quell’età, si sa, rimettersi sul mercato è più difficile. Ma non si è fermato. “Al mattino cercavo lavoro, al pomeriggio andavo alla Caritas come volontario”, racconta. Dopo un anno di attesa operativa, ha trovato lavoro come dipendente in un’azienda di Santarcangelo, grazie al Fondo diocesano. “Basta crederci”, dice alla fine.
E ci ha creduto molto Davide Pozzi, dopo aver perso i genitori nel 2011 e nel 2012 e il lavoro, con un figlio da far crescere. “Ho chiesto subito aiuto ai miei parenti e ai miei amici. Ho chiesto aiuto economico ai miei nonni. Poi ho conosciuto il Centro di solidarietà e mi hanno detto del Fondo per il lavoro. E così, proponendo la possibilità alle aziende di accedere alle agevolazioni, ho ricominciato a cercare e ho trovato. Ho vissuto dei momenti molto umilianti, il lavoro ti permette di essere uomo e padre. La mia è una storia importante”.
Negli ultimi anni il Cds conta al suo attivo “440 colloqui, 407 segnalazioni alle aziende e 47 persone assunte”, ricorda Elisa Marchioni.
“Chi non ha attraversato il mare non può deridere chi lo ha fatto. Io lo ho fatto”, racconta Sedu 22enne profugo dal Ghana. “Ho sofferto molto nella mia vita, ma poi sono arrivato qui e ho incontrato persone meravigliose che mi hanno aiutato”.
C’è chi ha perso il lavoro perché è stato licenziato, ma c’è anche chi si è licenziato. Con una laurea in economia e un posto da direttore commerciale per una grossa azienda nazionale a Bologna, Umberto Sarti decide di tornare a lavorare a Rimini per un’impresa locale, ma si trova male e lascia. “Pensavo che non avrei avuto problemi a trovare un altro lavoro, viste le mie conoscenze. Invece non è stato così. Non trovando subito una nuova occupazione, nel frattempo mi sono messo a lavorare gratuitamente per un amico e ho iniziato a frequentare il Tavolo del lavoro. Due le cose che mi hanno salvato. La prima è il non fermarmi. Lavorare, anche se a titolo gratuito, ha mantenuto accesa in me la curiosità che qualche mese dopo mi ha fatto accettare il colloquio con l’azienda per cui lavoro ora. L’altra cosa importante è stata il non fermarmi al mio giudizio su di me e lasciarmi guardare dai miei amici, lasciare che loro mi aiutassero a capire se e dove sbagliavo nel mio pormi nella ricerca di un’occupazione”.
Fin qui le umanità in gioco di chi ha dovuto rimboccarsi le maniche e andarsi a trovare un modo per guadagnarsi la pagnotta. Ma chi la offre, la pagnotta, cosa cerca? “Il lavoro è l’atto di solidarietà più grande che una generazione possa donare all’altra”, spiega Alessandro Bracci citando Vittorio Tadei, fondatore del Gruppo di cui è amministratore delegato, la Teddy. “Quando si perde lavoro - continua Bracci - la prima cosa che viene meno è la coscienza dei propri talenti. E allora è importante formare queste persone inserendole in percorsi che le aiutino a riconoscere i propri punti di forza. Questa è la risposta più grande che chi offre lavoro può dare a chi lo cerca, perché ne riaccende la gratitudine. Bisognerebbe non dimenticare mai che dall’altra parte del tavolo hai una persona con i tuoi stessi bisogni e desideri, le tue stesse paure”.
Bisogni, desideri e paure, sconfitte, che si ricordano, anche quando si approda a una condizione migliore. Tanto da voler contribuire aiutando di chi ancora non ce l’ha fatta. Come gli operatori assunti dalla cooperativa La Formica che “non si sono affatto tirati indietro alla richiesta di partecipare alla sottoscrizione che abbiamo promosso a sostegno del Fondo della Diocesi”, conferma Nicola Pastore.