Adolphe Noël des Vergers, Ulisse moderno, nelle parole di Rosita Copioli al festival del mondo antico
“Adolphe Noël des Vergers: il ragno tessitore” è il titolo della conferenza che Rosita Copioli terrà domenica 18 alle ore 16 al Teatro degli Atti nell’ambito del Festival del mondo antico.
Un pacato, inesorabile sistema della conoscenza anima il marchese d’origine normanna che fu tra i protagonisti della cultura ottocentesca, dedita alle scienze dell’antichità, e al collezionismo. Adolphe Noël des Vergers (Parigi 1804 - Nizza 1867) fu arabista, antichista, archeologo, studioso eclettico. Entrato nella Societé de Géographie nel 1830, ne fu segretario dal 1837, e partecipò a molte missioni del Governo francese, organizzatissime eredi delle campagne napoleoniche: la raccolta dei documenti arabi e normanni in Meridione e Sicilia (1833-1847), quella delle epigrafi latine (dal 1843) che confluì nel Corpus Inscriptionum Latinarum (in Italia, in paesi europei ed extra-europei come l’Algeria), la pubblicazione delle opere (1860-1867) di Bartolomeo Borghesi (1781-1860), sostenuta da Napoleone III. Con il suocero Ambroise Firmin Didot (1790-1876), fra i più importanti editori dell’epoca, erudito e collezionista, des Vergers collaborò in ogni progetto, anche in società di scavo, come quella, famosissima, della tomba François a Vulci. Insieme alla moglie Emma, nel 1842 a Rimini acquistò dai Belmonti la villa di San Lorenzo in Correggiano, che divenne la base per le sue imprese italiane.
La “malattia dell’infinito” di questo Ulisse moderno, dal tratto e dal gusto squisito, è già la rete inarrestabile e ardente delle nostre passioni.
Il Fondo des Vergers, composto di oggetti di scavo, delle carte di studio e della biblioteca collocati nella villa di Rimini, fu donato nel 1934 alla Biblioteca Gambalunga per volontà della figlia Hélène de Toulongeon. È di importanza assoluta per studiare l’intero mondo di interessi e di scoperte ottocentesche nel secolo delle grandi avventure della scienza, dell’archeologia, del collezionismo. Rappresenta il carattere universale del mondo di Adolphe Noël des Vergers.
Nell’immagine, l’anfora attica a figure nere con Ercole e Tritone e Nereidi in fuga, dagli scavi François di Vulci, 1856, della collezione des Vergers,
Rimini Elezioni 2021. La politica del buon samaritano
Una “lezione folgorante”: così il vescovo Lambiasi ha definito la parabola del buon samaritano durante il suo tradizionale Discorso alle Autorità per la festività di San Gaudenzo, una riflessione che ha seguito la traccia dell’ultima enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti, e si è conclusa con un invito alla buona politica.
E certo, la lezione di questa parabola, è una lezione anche politica: non appena un argomento del catechismo o una ramanzina sulla buona condotta e i buoni sentimenti, ma una vera e propria rivoluzione culturale e politica, una sorta di rivolgimento del pensiero di ogni buon fariseo - come tutti siamo -, sempre in cerca di regole dietro cui nascondersi e, come scrive Eliot, di “sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono”.
Commenta infatti Lambiasi. «Da notare che allo scriba che aveva chiesto al Maestro: “E chi è il mio prossimo”: Gesù risponde con una contro-domanda: “Chi ti sembra si sia fatto prossimo al malcapitato?”. La lezione è folgorante: il tuo prossimo non è chi è prossimo a te, ma colui al quale ti fai prossimo tu.»
Una domanda, chi sia colui al quale vogliamo farci prossimi, che ci mette in discussione, ci costringe a indagare il nostro cuore, ma la cui risposta, e qui sta il suo aspetto folgorante, non si troverà in una indagine sociale o pensando a cosa ci commuova maggiormente tra i mali del mondo.
Chi sia questo prossimo, sarà invece una scoperta per ognuno. Certo, l’educazione che abbiamo ricevuto, i valori in cui crediamo, ma il gesto del buon samaritano ha la potenza dell’atto libero e imprevisto, che rompe lo schema dei comportamenti normali, quelli stabiliti da una appartenenza etnica, religiosa o politica, e, più, da quelle ‘convenienze’ che garantiscono il proprio interesse e la tranquillità.
Una rottura che può accadere in qualsiasi momento della nostra giornata, che riguarda il vicino di casa o il collega di lavoro o lo sconosciuto che ci pesta un piede sull’autobus. E non conta la classe sociale, il colore della pelle, se sia stato derubato di tutto o sia invece il ladro che ci sta derubando (e basta rileggere le ultime parole che l’anziana signora rivolge al bandito che sta per ucciderla in “Un brav’uomo è difficile da trovare” di Flannery O’Connor).
Perché il buon samaritano non è un filantropo, uno che appartiene a una qualche organizzazione umanitaria, qualcuno che ha scelto di fare del bene a chi venga assalito dai briganti per la strada; è invece un uomo qualunque, colto nel momento in cui la sua umanità si rivela di fronte alla provocazione, alla sfida, al colpo sferrato da un pezzo di realtà particolare, e anche minima, che gli accade davanti.
Così, la rivoluzione che la parabola introduce non riguarda la scoperta di persone gentili e generose, che - certo - sono tante, ma la ‘rivelazione’, ancora più sorprendente, che ognuno può essere ‘quel’ samaritano; tanto che il valore di quell’atto inusuale di rottura consiste proprio nella sua imprevedibilità, in quel suo essere inatteso: un gesto, piccolo o grande che sia, che vince in noi l’abitudine, il pregiudizio (non solo sugli altri, ma anche su noi stessi), che sovverte le regole borghesi o di ‘mercato’; e le vince in modo improvviso, diretto, come un soprassalto: un “imprevedibile istante” per cui un uomo, uno di cui non l’avremmo mai detto, oppure perfino noi stessi, si mostra più grande delle sue capacità, della sua coerenza, dei suoi stessi valori e anche della sua storia. O, come dice don Oreste, più del suo errore. Anche il fariseo si può fare ‘samaritano’.
Questa possibilità affermata, e gridata, è la rivoluzione più importante in un mondo che non crede più in se stesso, che dubita del proprio cuore, della propria umanità; che sceglie di non desiderare ‘cose’ grandi perché sente di non esserne degno, di non avere chi possa ascoltarlo e sostenerlo.
Perché insomma la differenza tra il filantropo, l’impegnato, il volontario (per carità, tutte persone onorabili e di cui c’è un gran bisogno) e il buon samaritano è la stessa che esiste tra una morale lodevole e l’amore, tra le regole da rispettare, religiose ma anche sociali, e l’atto coraggioso di un uomo capace di fermarsi - anche solo una volta nella vita - di fronte al bisogno, al dolore o anche a qualcosa di speciale che succede, che in qualche modo lo colpisce e lo sorprende (e chissà perché mai proprio quella).
Quell’uomo, in quell’istante, sarà felice, e un giorno - pensando a quel momento in cui la sua umanità gli si è rivelata nella sua grandezza - potrà insegnare ai propri figli a guardare la vita con una speranza nel cuore, e che nella vita c’è sempre un ‘prossimo’ da riconoscere e una ‘misura’ più grande di quella che il mondo, il suo sistema di consumi e di gratificazioni, ti induce a credere.
Qui, nell’evidenza contagiosa di una umanità che si scopre e, insieme, si rivela, sta il collegamento anche con la politica.
Perché volentieri seguiremmo qualcuno che avesse fatto, almeno una volta nella vita, l’esperienza del samaritano; non tanto perché sarebbe più buono, ma perché avrebbe imparato cosa vuol dire essere libero e rompere gli schemi; e come, per essere un buon amministratore, non bastino soltanto le buone idee, una seria programmazione, un potere da gestire - che certo sono indispensabili -, ma occorra sempre farsi sorprendere dagli altri e pure da se stessi. Come scrive Jean Guitton, “ragionevole è colui che sottomette la propria ragione all’esperienza”: perché la vita degli altri non ci passi accanto senza ‘toccarci’, per essere più ‘grandi’ dei nostri ragionamenti e dei nostri “sistemi perfetti”.
E questo è certo il metodo migliore per scoprire quali tesori di umanità e quali bisogni ‘nasconda’ la nostra città; e anche per governarla.
[rg]
Il prefetto Forlenza: senso di responsabilità per non dover chiudere
Il Prefetto di Rimini Giuseppe Forlenza ha presieduto oggi una riunione del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica aperto ai Sindaci del territorio e allargato alla presenza del Dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale e del Dirigente del Servizio di Igiene e Sanità Pubblica dell’Azienda Sanitaria della Romagna.
“L’obiettivo di tutti”, ha riferito il Prefetto, “non è quello di chiudere, ma quello di individuare gli eventuali focolai in modo da poter mirare gli interventi e contenerne il contagio. Per tale motivo”, ha aggiunto, “occorre particolarmente insistere sul senso di responsabilità e sulla necessità di mantenere sempre vivo il richiamo al rispetto delle regole: mantenimento distanza sociale, corretto uso della mascherina e frequente lavaggio delle mani”.
Alla preoccupazione del Prefetto per alcuni ambiti in cui maggiormente, in questa fase, possono verificarsi situazioni di costante criticità, tra i quali quelli della scuola e dei trasporti, la Dottoressa Angelini ha riferito che attualmente presso l’Ospedale di Rimini vi sono solo 6 persone in terapia intensiva (11 nell’intero territorio della Romagna) e circa una trentina di ricoverati (85 complessivi in Romagna) e che, a fronte di un’apprensione con cui si era guardato all’apertura delle attività scolastiche, in realtà è stato accertato che nessun caso è stato originato all’interno delle strutture scolastiche. La dirigente Ausl ha anche annunciato che a breve sarà possibile, per tutti i familiari degli studenti, poter accedere gratuitamente ai test sierologici che potranno essere effettuati presso le farmacie.
Sempre a proposito di scuola, il Dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale dott. Nanni ha confermato il rigoroso rispetto organizzativo di tutti gli Istituti, ma come persista invece una forte discrepanze tra la vita all’interno della scuola e quella all’esterno, dove, gli stessi ragazzi che in aula tengono comportamenti adeguati, frequentemente non sono altrettanto responsabili. Nanni ha anche rilevato come abbia inciso l’idea, inizialmente “passata” anche attraverso i media e ora introiettata dai giovani, di una malattia che non colpisce le fasce giovanili e che quand’anche accadesse le colpisce in forme lievi.
Sul fronte dei trasporti – con particolare riguardo a quelli che interessano le fasce di ingresso e di uscita dalla scuola - è stato segnalato, infatti, un potenziale fronte di rischio determinato sia dagli assembramenti degli studenti in attesa dell’autobus sia dalla refrattarietà di alcuni a indossare mascherine all’interno dei mezzi di trasporto pubblico. Al riguardo i Comuni di Rimini, Riccione, S. Arcangelo di Romagna, Novafeltria e Morciano, nei quali sono presenti Istituti della scuola secondaria superiore, hanno richiesto un incontro in cui possa esserci un contestuale confronto anche con l’Ufficio Scolastico Provinciale, con Start Romagna e con l’AMR.
Verso una rete oncologica romagnola. Carradori alla giornata IOR
L’Istituto Oncologico Romagnolo, fondato nel 1979 dal professor Dino Amadori, ha convocato sabato scorso al Palacongressi i suoi tanti volontari per ricordare il proprio fondatore, scomparso il 23 febbraio, e per incontrare i protagonisti dell’oncologia romagnola, dalle istituzioni ai medici, ai vertici dell’Azienda sanitaria.
Sul palco si sono succedute le testimonianze commosse di tanti che hanno collaborato con Amadori fin dalla fondazione dello IOR, ma anche di quanti ne hanno incrociato l’opera nella loro veste istituzionale; perché l’Istituto Oncologico Romagnolo non è soltanto un esempio di solidarietà, di generosità, di dedizione, di tenacia davanti alla quale non è possibile non commuoversi (in una terra in cui ogni famiglia ha pagato il proprio tributo al cancro), ma la sua storia coincide con la storia stessa dell’oncologia romagnola, con il suo sviluppo e con il modello stesso della sua organizzazione.
A questo proposito, più ancora delle ingenti risorse economiche raccolte dallo IOR in questi quarant’anni e messe a disposizione degli ospedali e dei ricercatori per finanziare gli avanzamenti nella conoscenza e nella cura della malattia, vale la pena sottolineare come, dalla sua spinta – in fondo solo una piccola cooperativa di cittadini -, sia nato l’IRST di Meldola, unico esempio nazionale di Istituto di ricerca nato ‘dal basso’ e non da una direttiva pubblica come accade solitamente.
Una eccezionalità, questa della fondazione dell’istituto di Meldola, che si rispecchia nella sua stessa composizione societaria, alla quale, oltre alla componente pubblica, partecipano le fondazione bancarie di Forlì, Cesena e Ravenna e, naturalmente, lo stesso IOR; una componente privata, pur senza scopo di lucro, la cui sola presenza in questi anni non ha mancato di indispettire chi vedeva la sanità, soprattutto in sede regionale, come una pertinenza esclusiva dell’amministrazione pubblica.
Una presenza ingombrante, quella dell’istituto di Meldola, anche nella gestione dell’oncologia romagnola; con un dibattito senza fine sul ruolo e le competenze che avrebbe dovuto avere all’interno del sistema e al quale i sindaci hanno sempre partecipato, incalzati dalle opposizioni, rivendicando una autonomia scientifica e gestionale per i presidi ospedalieri del territorio.
In questo contesto, l’intervento alla giornata volontari dello IOR del nuovo direttore generale della Ausl Romagna, Tiziano Carradori, sembra destinato a rappresentare una svolta decisiva. Se infatti è pur normale che queste nomine dirette comportino un legame ineludibile tra il prescelto e chi l’ha nominato, certamente in Regione sono coscienti di cosa hanno ‘comperato’: dalla vastissima competenza fino ai modi spicci e anche un po’ bruschi con cui Carradori sa risolvere i problemi che gli si presentano davanti, spesso sparigliando e, dove serve, anche rinunciando a quanto di ideologico appare superfluo.
Così, questo il succo del suo intervento, se l’Istituto Tumori di Meldola è proprietà al 70% dell’ente pubblico, che cosa dovrebbe impedirci di utilizzarne al massimo le potenzialità, di costruire attorno ad esso una eccellenza che ricada sul territorio, a favore di tutti i cittadini? Quello che sembra di capire, nel difficile gioco di equilibri che dovrà portare alla strutturazione definitiva dell’Area Vasta (ancora incompiuta), è che, a livello politico, la decisione di affidare a Meldola un ruolo di guida e di coordinamento della clinica oncologica sia ormai accettata e digerita dai singoli sindaci.
Il sogno del professor Amadori di un network territoriale, una sorta di istituto di ricerca ‘diffuso’ che, con i suoi numeri complessivi, possa aumentare la propria capacità di studio e diventare ancora più attrattivo per le sperimentazioni di nuovi farmaci, sembra essere dunque prossimo alla sua realizzazione.
Vedremo se il direttore Carradori, al contrario del suo predecessore, che non è riuscito a comporre personalismi sia politici che professionali, dopo quelle dei sindaci saprà vincere le resistenze di medici e primari delle singole città, che fino ad oggi hanno sentito la crescita dell’istituto di Meldola come una ingerenza nei loro confronti, loro che hanno comunque contribuito all’eccellenza dell’oncologia romagnola.
Così come vedremo se l’IRST stesso, senza la capacità di coinvolgere e aggregare propria del suo ‘fondatore’, saprà dimostrare di saper attirare e trattenere le eccellenze al proprio interno e valorizzare tutto quanto di buono esiste sul territorio.
[rg]
Rimini, elezioni 2021. Primo, chiedete ai candidati perché lo fanno
Se è pur vero da sempre che non è l’uso del potere a logorare ma la sua mancanza, la frustrazione di chi si trova a non contare niente nei vari organi amministrativi è certo più forte ed evidente in questo nostro tempo, che ha ormai dimenticato le appartenenze identitarie del passato; sia per la debolezza delle motivazioni che portano alla politica sia per la stabilità del sistema attuale, che, tranne rare eccezioni, costringe ad aspettare cinque anni per ogni nuovo tentativo.
Così, dietro gli atteggiamenti ‘inquieti’ di chi sta all’opposizione, di destra o di sinistra che sia, dietro il tentativo di trovare uno spazio sui giornali, di approfittare di ogni protesta o sussulto dell’elettorato, si riconosce facilmente la frustrazione, il logoramento, a volte anche il rancore, di chi lamenta l’ingiustizia del ruolo cui è ridotto, certo non consono alle proprie capacità, se non direttamente l’inettitudine degli elettori che hanno scelto ‘gli altri’.
Ma se la conquista del potere da parte di “chi non ce l’ha” o, all’opposto, la sua conservazione sono il motivo fondante del dibattito e dello scontro tra partiti e schieramenti, forse è interessante soffermarsi sulle motivazioni più strettamente personali dell’agire politico, e, appunto, sulla loro debolezza; su quale sia oggi, in questo momento storico specifico, il fulcro dell’impegno pubblico e il suo senso.
Tra i diversi tipi di logoramento, l’assenza di un riconoscimento delle proprie virtù, ad esempio intellettuali o morali, rappresenta il caso forse più tipico nel campo dell’opposizione locale di centrodestra. Saltando da un partito all’altro, o anche a qualche lista civica, sempre cercando nuove occasioni, un piccolo manipolo di persone continua a pretendere una opportunità per dimostrare le proprie doti: da una parte generando un tale traffico tra una sigla e l’altra “che neanche a San Marino”; dall’altra, bloccando ogni possibilità di rinnovamento non solo generazionale. Insomma, tutti in fila come tanti precari della scuola a litigare su quali siano i criteri e i punteggi da associare ai diversi titoli di ognuno.
A sinistra va di moda altro. Abituati ad averlo, quando gli viene tolto in sede elettorale, i nuovi ‘senza potere’ riescono a malapena a celare l’indignazione per l’incompetenza degli elettori, e forse anche qualche strana combutta con i nuovi vincenti; come una specie di tradimento che non avrebbero mai potuto immaginare – e poi con gli ultimi arrivati! – da parte di chi aveva ricevuto fino a quel momento tutte le loro cure.
Per la ‘terza parte’, quella società civile che i partiti considerano solo come un serbatorio di riserva cui attingere all’occasione, quale sia il sentimento che assume la mancanza di potere è ancora più evidente. I prescelti si mettono infatti fieramente al servizio di un progetto di ‘salvataggio’ della città, poi, dopo qualche tempo sui banchi scomodi della minoranza, cominciano ad annoiarsi e si accorgono di avere cose più importanti da fare.
E così arriviamo all’oggi, al solito teatrino delle candidature: sì, dal partito, no, dalla società civile; un esperto, no, un giovane, anzi, una donna; e così via.
Almeno, quando l’esistenza del popolo era evidente, funzionava anche una meccanismo di autoregolazione e di selezione per cui tutti, i candidati e la ‘gente’, condividevano comunque una certa fede o una ideologia che arrivava fino al dettaglio della vita. In questo tempo, il massimo di aggregazione cui ci si riferisce sembrano essere i comitati che nascono contro qualsiasi cosa oppure qualche gruppo di consumo, sportivo o alimentare o magari culturale che sia.
Tanto che gli atteggiamenti dei partiti in questa situazione, almeno i più tipici, vanno dalla scelta autosufficiente e ‘militare’ della Lega, con una carriera ancorata alla militanza, coi banchetti come sanzione di appartenenza (tranne però le varie eccezioni che ordina il ‘capo’), a quella rituale, quasi liturgica, del Pd, che evoca l’apertura alla città con parole sempre uguali, ripetute quasi ossessivamente, come una formula magica alla quale in fondo non sembra credere nessuno.
Radicamento negli interessi per chi governa, radicamento nelle proteste estemporanee per chi è all’opposizione: è dunque questo il massimo che noi della base, come si diceva una volta, possiamo avere dalla politica?
Troppo facile cavarsela ripetendo che fare politica è l’affermazione di un valore, il popolo, ad esempio, oppure la giustizia sociale, addirittura la libertà e chiedere a qualcuno di rifarci il discorso; perché i valori decadono, e non tanto per incoerenza ma per cristallizzazione, perché vengono fissati uguali a se stessi una volta per sempre, come statue che non possono parlare; una caduta “dalla mistica alla politica”, direbbe Péguy.
Per questo la domanda più rivelatrice cui ogni prossimo candidato dovrebbe rispondere, consigliere o sindaco che sia, è sul motivo per il quale ha deciso di presentarsi, prima ancora di elencare cosa vorrebbe fare se fosse eletto.
Perché vorremmo essere sorpresi da ciò che vede della società, da ciò che vive e di cui si fa 'forte'; come fa a sperare in una città migliore, cosa gli fa voler bene alla gente e come ogni giorno vuole già bene alla gente.
Perché gli occhi con cui sa guardare la vita che ha intorno ci diranno che persona è realmente, se sa riconoscere qualcosa di nuovo, di positivo, di inaspettato o se ama solo le proprie idee; se sa vedere il bisogno quando gli va incontro, se è capace di farsi ‘interrogare’ da tutto e da tutti ogni giorno da capo, di nuovo, di continuo. Se vive aspettando di prendere il potere o vive comunque, e intorno a lui il vivere di tutta la città può essere favorito, con o senza potere.
Più che uomini coerenti con le proprie idee, che riducono tutto alle proprie idee; più che leader carismatici e intelligenti, che riducono tutto alla propria gratificazione - e non parliamo poi degli uomini di partito, che rispondono più al partito che ai cittadini - ci basta un uomo vivo o, ancora meglio, un uomo libero, che non abbia bisogno del potere o della gratificazione o di un ordine di scuderia per essere vivo, per trovare le ragioni del suo fare politica, per servire noi, la ‘sua gente’; solo impegnato lealmente con se stesso per potersi impegnare per gli altri.
[rg]
Aggiornamento coronavirus. 37 nuovi casi nel riminese
Coronavirus, l'aggiornamento regionale: su oltre 7mila tamponi 179 nuovi positivi, di cui 96 asintomatici da screening regionali e attività di contact tracing. Le persone guarite salgono a 26.482 (+14), stabili i ricoveri in terapia intensiva. Un nuovo decesso
Effettuati anche 2.072 mila test sierologici. L'età media dei nuovi casi è di 43 anni. Al momento del tampone, 51 le persone già in isolamento. 17 i rientri dall'estero
Per quanto riguarda la situazione nel territorio, il maggior numero di casi si registra nelle province di Rimini (37), Piacenza (35), Bologna (32), Reggio Emilia (17), Modena (11) e a Forlì (20)
A Rimini e provincia si registrano 37 nuovi casi, di cui 16 asintomatici. 36 sono in isolamento domiciliare e 1 ricoverato. In particolare, 22 sono contatti di casi già noti, di cui la maggior parte in ambito famigliare (2 pazienti sono rientrati dall'Umbria), 2 casi emersi per ricovero ospedaliero dovuto ad altra patologia, 5 casi emersi per sintomi, 3 per screening professionali e 5 casi rilevati a seguito di rientro dall'estero (2 Albania, Grecia, Spagna e Romania).
Nei giorni immediatamente precedenti si erano registrati 16 (sabato) e 15 (venerdì) casi. Il giovedì, 5; mercoledì, 4; martedì, 7 e lunedì appena 2.
Una classe in isolamento domiciliare
(Rimini) In una nota dell'Ausl si legge che, "a seguito di attività di contact tracing svolta dall’Igiene pubblica di Rimini, sono emerse quattro positività, verificatesi in ambito extrascolastico, di studenti di altrettante scuole della provincia di Rimini. Uno di questi studenti è residente fuori provincia. Immediatamente il personale ha effettuato sopralluoghi presso le strutture verificando il rispetto delle disposizioni finalizzate ad evitare contagi". Nel caso di una scuola media però, spiega la Asl, "avendo l’allievo positivo frequentato l’istituto mentre era sintomatico, si è ritenuto di collocare la sua classe in isolamento domiciliare. Le altre tre positività si sono verificate in istituti superiori, e in tutti si è ritenuto vi siano al momento le condizioni per non intraprendere l’isolamento. Per ragazzi e insegnanti di tutte le scuole è stata prevista l’effettuazione di tamponi".
Nomadi, la differenza che non c'è tra microaree e appartamenti
Nei giorni scorsi il consigliere di Patto Civico Mirco Muratori, dopo due anni di silenzio sulla vicenda nomadi (noi avevamo fatto un punto a giugno su questa ‘strana’ sospensione), ha sorpreso tutti dichiarando fallito e superato il cosiddetto “progetto delle microaree”.
Il progetto, per arrivare allo sgombero del campo nomadi di via Islanda, prevedeva la sistemazione delle famiglie sinti (il destino dei rom non è mai stato chiarito) in alloggi costruiti in piccole aree, 5 per l’esattezza, ognuna in un quartiere diverso. Secondo Muratori il Comune avrebbe ormai abbandonato l’idea e si starebbe orientando verso la ridistribuzione dei cinque nuclei familiari in altrettanti appartamenti messi a disposizione da Acer.
Che quella di Muratori sia una iniziativa personale per anticipare e disinnescare le critiche di mollezza e remissività verso il Pd che gli elettori potrebbero rivolgergli alla prossima tornata elettorale oppure una sorta di rivalsa per il rospo ingoiato a suo tempo, avendo dovuto accettare una soluzione non condivisa, o, invece, un dispetto del suo gruppo in vista della nomima del successore di Gnassi, non lo si può sapere.
Di certo, l’esternazione di Muratori conferma che la disciplina che vige nelle stanze del potere locale è, diciamo così, piuttosto sfilacciata (più simile alle abitudini degli attuali uffici vaticani che a quelle quasi militari del vecchio PCI) e anche, pur in modo indiretto, che la linea che segna la divisione all’interno del Pd tra Gnassi e, dall’altra parte, il Melucci ‘semplice militante’, con Petitti e ‘gli amici del partito’, si ripete praticamente su tutti i temi dell’agenda amministratiiva e non solo sui massimi sistemi o sull’idea di quale candidato sindaco si debba proporre a questa città.
In ogni caso, se per questioni di consenso legate alle varie elezioni che si sono succedute in questi anni si decide di insabbiare il problema e, con quello, le proprie stesse scelte, non si può pretendere che per gli stessi motivi elettorali qualcuno prima o poi non presenti il conto.
Infine, per chiudere la cronaca, non si può non citare il commento risentito delle opposizioni che non ci stanno a vedersi scippare da Patto Civico anche solo la bandiera della soluzione “appartamenti”.
Perché appunto di una bandiera si tratta.
Senza tornare su tutti i peccati di metodo della maggioranza, che spesso sceglie atteggiamenti muscolari, pretendendo appoggio e quasi sudditanza, quando almeno a volte la condivisione con opposizione e cittadini potrebbe aiutare la soluzione dei problemi, sarebbe banale ridurre tutta la vicenda a una alternativa tra appartamenti e casette.
Quale sarebbe infatti, dal punto di vista della convivenza, la differenza tra una microareea e un condominio? Non saranno comunque vicini di casa di persone che abitano già lì? Vicini con una casa propria o vicini di condominio, cosa dovrebbe cambiare? Siamo sicuri che le persone che vivono negli edifici che saranno prescelti accetteranno l’arrivo delle famiglie sinti? A quel punto, di fronte a nuovi comitati, spaventati dalle prossime elezioni, si lascerà di nuovo tutto come sta o si faranno intervenire i vigili?
Ma forse la proposta degli appartamenti si basa sul fatto che chiunque abbia ricevuto gratis dall’amministrazione un alloggio non possa permettersi il diritto di protestare. Un convincimento che peraltro non considera il fatto che Acer non possiede intere palazzine e che invece gli appartamenti si trovano separati in tanti edifici diversi all’interno di condominii ‘normali’. Chissà che alla fine non si decida di destinare una intera struttura – come le buone vecchie case popolari – esclusivamente a queste famiglie e alle altre persone problematiche o poco gradite che ci troveremo a gestire in futuro: praticamente un campo nomadi verticale assolutamente innovativo.
La domanda è dunque quale sia il problema a cui vogliamo trovare una risposta. Se il nostro problema è solo lo sgombero del campo di via Islanda lo si potrebbe probabilmente ridurre a una questione di polizia, così come per impedirne la nascita di nuovi nel futuro; se invece in ballo c’è la comprensione e l’affronto di dinamiche di afflusso, di convivenza e di integrazione tra culture diverse, problema che non è in calo ma in deciso aumento, che riguarda i nomadi, i nuovi immigrati e anche le seconde generazioni, ma non solo, allora occorrerà allargare lo sguardo.
Anche perché, in questa situazione, non sono coinvolti solo i partiti, solo i comitati, solo quelli di via Islanda, ma tutti i cittadini di Rimini. E non solo quelli attuali; il modello che sceglieremo, le pratiche che avvieremo daranno vita alla città nella quale vivranno i nostri figli. E tutti abbiamo il diritto di pretendere l’avvio di una politica sociale ragionevole, che guardi al futuro, che non nasca solo da manovre elettorali.
Lo smembramento del campo nomadi, con la separazione delle famiglie che vi abitano, oltre a una doverosa azione di ripristino delle regole, deve poter essere la possibilità per loro di pensarsi come cittadini e non più come componenti di una ‘tribù’ isolata. Che questo accada con una casetta o con un appartamento non può diventare simbolo di una battaglia ideologica inutile, ma solo un primo passo (e vanno bene entrambi). Che la soluzione scelta comprenda un accompagnamento da parte del sistema e un controllo del rispetto delle regole da parte dei ‘nuovi residenti’, dalla frequenza scolastica all’uso delle abitazioni, deve poter essere la possibilità per i ‘vecchi residenti’ di superare le paure e i sospetti, certi che l’amministrazione della cosa pubblica non li lascerà soli in questo processo.
E se, come dice papa Francesco, e come sappiamo bene, “le vicende umane e storiche e la complessità dei problemi non permettono di risolvere tutto e subito”, di certo non è possibile da soli. Al massimo nasconderli o farne solo una bandiera.
(rg)
Intervista ad Alberto Mami, nuovo direttore regionale di Compagnia delle Opere
Alberto Mami, classe 1988, è il nuovo direttore regionale della Compagnia delle Opere. Lo abbiamo incontrato durante il suo primo tour per conoscere dirigenti ed imprenditori associati.
Quale sarà l’elemento caratterizzante la sua direzione di Cdo Emilia-Romagna?
Il mio background è segnato dall’esperienza in grandi multinazionali tra cui Ducati e il gruppo Teddy. Entrambe le esperienze mi hanno formato ad avere una sensibilità spiccata nei confronti del cliente, elemento fondamentale da considerare nelle decisioni strategiche delle nostre aziende. Rispondere alle esigenze del cliente, nel mio caso gli associati, come elemento cardine dell’impostazione del lavoro futuro sarà inevitabile. Inoltre, mi sento di dire che il mio osservatorio privilegiato mi porterà a dedicare molto tempo al collegamenti tra soci e alla creazione di sinergie vincenti, perché questo è il centro di ogni associazione.
Su quali temi cercherà di portare l’attenzione?
A mio modo di vedere il vero tema è quello suggerito dal nostro presidente Guido Bardelli nell’ultima lettera che ci ha scritto: “Rilanciare il tema delle domande giuste come metodo per non rimanere imbrigliati nella paura, nelle iper semplificazioni della realtà e nel perenne rischio di delegare indirettamente ad altri le proprie responsabilità.” In queste prime settimane, incontrando alcuni imprenditori, mi sono accorto della rilevanza di questo metodo suggerito da Bardelli come punto di partenza concreto per affrontare le sfide che ci aspettano nei mesi a venire. Ho conosciuto imprenditori che hanno riorganizzato le proprie aziende in tempi record partendo da provocazioni nate durante momenti di vita associativa. Questo è ciò che mi affascina, la nostra impresa privata ha dato prova di saper rispondere con forza alle avversità della storia, chiaro che serve consapevolezza e molta lucidità.
Perché è importante sentirsi parte di associazioni come CDO o come tante altre realtà simili alla Compagnia delle Opere?
Credo che di fronte a tutta questa incertezza una compagnia tra imprenditori e professionisti, legata da una comune volontà di accompagnarsi testimoniandosi a vicenda la strada migliore da intraprendere sia una delle chiavi per affrontare gli anni a venire. Non riesco ad immaginarmi una possibilità diversa. Inoltre, credo molto nella forza dei corpi intermedi come possibilità di soluzioni pertinenti attraverso un dialogo con le istituzioni.
Imposta di soggiorno 1,8mln di euro di maggiori introiti. Un fondo per sostenere le strutture ricettive
In V Commissione, l’assessore Gian Luca Brasini ha presentato una variazione di bilancio per adeguare le maggiori entrate (circa 1,8 milioni) legate all’imposta di soggiorno, la cui previsione lo scorso aprile, in pieno picco pandemico, era stata cautelativamente rivista al ribasso rispetto ai 10 milioni ipotizzati sulla scorta dei risultati del 2019. Parte delle risorse, circa un milione di euro, sarà destinata alla copertura di una serie di spese in parte corrente, mentre i restanti 800mila euro della parte di investimenti serviranno al completamento degli interventi di riqualificazione urbana del comparto di Rimini nord.
“Il dato dell’imposta di soggiorno ci conferma che la stagione estiva, nonostante le grandi incertezze iniziali, sia andata meglio di quanto ci aspettassimo – commenta l’assessore al Bilancio Gian Luca Brasini -. Con i mesi di luglio e agosto, ma anche settembre, è stato registrato un volume di presenze inimmaginabile a giugno, quando si temeva il collasso del sistema turistico ed era impossibile avere una percezione di come si sarebbe evoluta la situazione, sotto il profilo sanitario e quindi economico. Chi, agli inizi di giugno, nonostante i dubbi, le legittime paure, le grandi difficoltà ha scommesso su Rimini aprendo le porte del proprio albergo o tirando su la saracinesca della propria attività, è stato in parte ripagato. Hanno avuto il coraggio di ripartire ed è a loro che l’Amministrazione guarda per proseguire sulla strada della riqualificazione del settore ricettivo e dell’offerta ricettiva. Per questo motivo siamo al lavoro per istituire anche un fondo che vada incontro a chi trova l’energia di non arrendersi e si rende co-protagonista della ripartenza. Stiamo pensando, infatti, di destinare risorse che consentano il rimborso totale o parziale della Tari, per chi il prossimo anno riaprirà, magari riqualificando le proprie strutture e i servizi offerti. Ricordo, inoltre, che il Comune di Rimini è stato tra i pochi ad avere applicato da subito percentuali di sconto tra il 25% e il 40% dell'intera tassa dovuta per lo smaltimento dei rifiuti, a favore delle imprese costrette alla chiusura dal lockdown, a conferma dell’estrema attenzione prestata alla crisi di liquidità subita dal sistema economico nel 2020. Ora, questo fondo poggerà su una visione costruttiva, che vuole superare l'approccio assistenzialistico basato su contributi distribuiti a pioggia, privi di una logica premiante e partecipativa.
Non possiamo cancellare le tasse per quelle pochissime attività che hanno deciso di non aprire i battenti quest'anno: ci sono numerose pronunce e disposizioni da parte di Ministero, Cassazione e Commissioni tributarie nazionali che sanciscono in maniera perentoria l'assoggettabilità alla tassa rifiuti dei locali predisposti all'uso, a prescindere dall'effettivo utilizzo. Al di là, però, degli aspetti normativi e delle disposizioni di legge, il fondo che vogliamo mettere in campo si poggia su un principio opposto a quello di rimborsare chi ha sospeso l'attività: sosteniamo chi investe, diamo un incentivo a chi ricomincia ad investire, sicuramente non senza fatica, e compartecipa attivamente a rendere Rimini una destinazione che nemmeno il Covid riesce a scalfire”.