Certamente non è facile poter fare un quadro sul fenomeno Airbnb a livello locale: i dati disponibili sono scarsi e la società, quando se ne chiedono altri, non li fornisce. Airbnb è la piattaforma più diffusa della sharing economy in campo turistico. È lo strumento sempre più utilizzato per affittare camere e appartamenti. Come c’è Booking per la vendita di una camera d’albergo, così c’è Airbnb per la vendita di una stanza o di un’intera casa privata.
Airbnb ha fatto sapere che quest’estate le strutture italiane che fanno annunci sul portale hanno accolto oltre 2,4 milioni di viaggiatori, il 58% in più rispetto al 2015.
L’80% proviene dall’estero e la media della permanenza è stata di oltre 4 giorni (abbastanza vicino a quella che è la media sulla Riviera di Rimini). Airbnb aggiunge anche che le mete estive più visitate sono state il Salento, Trapani e la costa della Sicilia, e che sono oltre 400.000 gli italiani che hanno deciso di passare le loro vacanze restando nel paese scegliendo una struttura su Airbnb.
Di più non si riesce ad ottenere se non che della Riviera adriatica “sono presenti sulla piattaforma oltre 5.000 annunci con una percentuale di crescita del 70% anno su anno”. La società parla di annunci: lo stesso host (il proprietario della stanza) può infatti fare più di un annuncio se ha altre stanze da affittare.
Il sito non aiuta a fare chiarezza. Se si digita Rimini come query vengono restituiti 306 risultati; giusto due anni fa nello stesso periodo ne restituiva più di 800. Fenomeno in ribasso? No, niente di tutto questo: per ogni località (anche Milano, Roma, Firenze) restituisce sempre lo stesso numero; evidentemente adesso esce ovunque la stessa quantità di annunci con criterio random.
Che il fenomeno sia in espansione, non ci sono dubbi. Su un concorrente di Airbnb, Homeaway, con la chiave di ricerca Rimini escono 700 risultati. E proprio perché è in crescita vertiginosa, crescono le preoccupazioni (e a volte gli attacchi) da parte delle associazioni albergatori e degli amministratori locali.
Una delle critiche più ricorrenti è che si tratti di una forma di ospitalità che sfugge ad ogni forma di controllo, anche se un host ha l’obbligo di comunicare alle autorità gli ospiti che ha in casa. “Piattaforme come la nostra, per loro stessa natura, - dichiara Airbnb a buongiornoRimini.it - non sono esattamente il luogo ideale per chi vuole nascondersi: il sito accetta solo pagamenti elettronici con carta di credito, e pertanto tracciabili; mentre gli immobili messi online sono identificabili e riconoscibili attraverso le fotografie caricate sul sito”. Ed invita gli albergatori alla non belligeranza: “Crediamo anche che le due offerte, quella tradizionale e quella dell'home sharing, possano essere complementari: Airbnb accresce l'affluenza attraendo molti ospiti che altrimenti non avrebbero viaggiato o che, in ogni caso, si sarebbero fermati meno a lungo”.
Ma gli attacchi più pesanti sono sul piano fiscale, a partire dalla tassa di soggiorno. Gli host di Airbnb fanno gli esattori come gli albergatori? “Nei comuni in cui è previsto il pagamento della tassa di soggiorno – risponde la società - sono gli host ad avere l'onere di riscuotere la tassa. In alcune città italiane, come Milano e Firenze, Airbnb sta collaborando con le amministrazioni locali per poter attivare il sistema del collect & remit già attivo in 20 città francesi, che prevede che gli ospiti paghino l'equivalente della tassa di soggiorno direttamente attraverso la piattaforma che trasferirà successivamente quanto dovuto alle amministrazioni locali, eliminando di fatto qualsiasi tipo di evasione”.
Ecco dunque un buon suggerimento anche per il sindaco di Rimini Andrea Gnassi che in una recente dichiarazione si mostrava preoccupato di questo fenomeno dai contorni indefiniti. Se l’amministrazione facesse un accordo con Airbnb, seguendo l’esempio di Milano e Firenze, certamente recupererebbe una quota di tassa di soggiorno ma soprattutto avrebbe immediatamente le dimensioni del fenomeno: numero degli host, numero degli arrivi, numero dei pernottamenti.
L’altra domanda frequente sulla rete Airbnb è sulla qualità dell’ospitalità: chi garantisce il navigatore su Internet che ciò che viene mostrato corrisponda alla realtà? Come si fa, per dirla brutalmente, ad evitare di incorrere in una fregatura? “Airbnb – risponde la società - è una piattaforma peer-to-peer dove gli utenti valutano il servizio ottenuto attraverso un sistema attendibile di recensioni, sia lato host che lato guest. Airbnb si fonda sulla community, non esisterebbe senza e sono proprio gli host che decretano il successo della piattaforma, grazie all'unicità e al valore della loro ospitalità. Gli annunci migliori riceveranno recensioni migliori ed avranno più possibilità di essere prenotati”. Nelle sue recenti dichiarazioni il sindaco Gnassi osservava che “Non è la stessa cosa essere ospiti di uno sconosciuto nella sua casa, che in una camera alberghiera”. In realtà, sul sito, ogni host mette la sua foto e si presenta, racconta chi è, quali sono i suoi interessi, le sue passioni. Una pratica che normalmente gli hotel della Riviera non praticano, anche quelli a tradizionale gestione famigliare non ci mettono la faccia, non comunicano: ecco siamo noi ad accoglierti nel nostro hotel. Se poi si vanno a leggere le recensioni su Airbnb, si nota subito che la stragrande maggioranza delle valutazioni sono proprio sull’host, sulla sua disponibilità, sulla sua gentilezza, sulla sua capacità di far scoprire il territorio. La valutazione “tecnica” della camera è quasi sempre in secondo piano. Chi ha prenotato una camera su Airbnb si è accorto che dopo la prenotazione l’host non sparisce, limitandosi ad aspettare il suo arrivo. Si fa vivo con un sms il giorno prima, ripete il messaggio il giorno della partenza, invia informazioni su come raggiungere la sua casa, telefona se sei in ritardo.
Questa è una sfida interessante per il sistema della Riviera che ha costruito la sua fama proprio sul calore dell’accoglienza.