Si è purtroppo interrotto subito il dibattito politico sulle recenti elezioni amministrative che nella nostra provincia hanno sancito per il Pd la sconfitta in tre Comuni (Riccione, Coriano e Morciano). È un peccato perché i temi che sono stati sollevati non sono ininfluenti per una riflessione seria, sia a sinistra che a destra.
In particolare il tema del civismo ha assunto, a sinistra, il ruolo di argomento divisivo. Il segretario del Pd, Juri Magrini, che ad ogni elezione colleziona sconfitte, ha sostenuto, in polemica con l’on. Sergio Pizzolante, che questa storia lo ha stancato. Magrini nero su bianco ha così apostrofato l’inventore del Patto Civico a Rimini e a Riccione: “La patente di civismo non la puoi avere tu, non la puoi dare tu, per quello che rappresenti nella politica odierna ed hai rappresentato negli ultimi 30 anni in quella riminese. Il civismo non sono gli esponenti politici che si riciclano da una parte all’altra,che passano da governi di destra e di sinistra nazionali e locali con disinvoltura”. Per Magrini, il civismo, se esiste, è nascosto in quel 50 per cento di elettori che non vanno più a votare e che il Pd deve riconquistare.
Tutta diversa l’impostazione dell’on. Tiziano Arlotti, deputato Pd, e del sindaco di Rimini, Andrea Gnassi. Quest’ultimo, in compagnia dei colleghi di Cesena e di Forlì, ha diffuso una nota in cui si auspica “Un PD perno di un progetto riformatore che si allarga, da un lato a sinistra a un civismo sociale e dall’altro, con coraggio, curiosità e lungimiranza, ad un civismo dell’intraprendere, dell’impresa, delle professioni. Un allargamento non centrato su alleanze politiciste o accordi elettorali immediatamente percepiti come ‘di plastica’ e dunque con scarsa o nessuna capacità espansiva, ma centrato su idee dichiarate di città e di Paese, capaci di dialogare e includere forze dinamiche e attive nelle nostre comunità”.
È evidente che la discussione sul civismo nasconde in realtà una divergenza di fondo sulla natura e sulla mission futura del Pd. Se i convinti sostenitori dell’alleanza con Patto Civico pensano che il Pd può rimanere forza di governo, sia a Rimini che a Roma, solo aprendosi a queste forze, Magrini e i suoi supporter ipotizzano invece un partito saldamente ancorato ai valori storici e tradizionali della sinistra, non disposto a farsi contaminare da alleanze che non rientrano nel proprio Dna. L’apertura e l’allargamento dunque la si può praticare solo a sinistra, riunendo tutte le forze disperse, così come è stato fatto a Riccione. Ma si è visto con quale risultato.
Paradossalmente, Magrini, dal suo punto di vista ha perfettamente ragione: Patto Civico, così come si è proposto a Rimini e a Riccione, non ha nulla a che fare con un civismo ‘puro’, ammesso che esista. O comunque con il civismo, per esempio, espresso nel 2014 da Noi Riccionesi e riproposto in queste elezioni anche con la lista di Renata Tosi (detto per inciso: i partiti di centrodestra che hanno cantato vittoria sappiano che a vincere a Riccione è stata Renata Tosi e le sue liste civiche, loro hanno solo fatto la scelta dell’alleanza giusta). E neppure ha nulla a che vedere con il civismo riminese alle ultime elezioni tentato dai cosiddetti “curiali” o da quello che si è ritrovato intorno alla candidatura dell’ex grillino Luigi Camporesi.
A Rimini Patto Civico è nato per dare una lista a quanti auspicavano una riconferma di Gnassi e non sarebbero mai riusciti a mettere la croce sul simbolo del Pd o di una lista comunque di sinistra. Sull’onda del successo ottenuto nel capoluogo, Pizzolante ha pensato bene di ripetere l’operazione a Riccione, affrettata dall’improvvisa caduta della Tosi per mano notarile. Lo schema iniziale dell’operazione prevedeva un’alleanza con il Pd già al primo turno, ma poi il gioco dei veti lo ha impedito. Il nucleo fondante del Patto Civico di Riccione è un qualificato pezzo di ceto politico: parte dei consiglieri che hanno fatto cadere la Tosi, Fabio Ubaldi, ex candidato perdente uscito dal Pd, Carlo Conti, ex assessore della giunta precedente, insieme a personaggi del calibro di Luciano Tirincanti e Terzo Pierani. Cosa ha di civico tutto questo? Ha ragione Magrini: niente.
Tuttavia così dicendo il segretario del Pd non coglie il nocciolo della questione. Ciò che Pizzolante ha colto e lo ha posto come base del suo progetto politico è il deficit di rappresentanza che nel nostro territorio tocca una buona fetta di elettorato, rimasta orfana dei partiti di centrodestra o di un Pci, che al contrario del Pd, era capace di unire slogan di sinistra e pragmatismo economico. È un elettorato composto da piccoli imprenditori, commercianti, albergatori, professionisti. Di fronte a costoro Pizzolante si è posto come il garante di un rapporto con il Pd capace di difendere i loro interessi. E lo può fare grazie a quel pedigree che proprio gli contesta Magrini, con un provenienza non comunista ma certo non di destra e una cultura politica che per comodità potremmo chiamare moderata e liberale.
Se non si capisce che il successo di Pizzolante sta nell’aver intercettato questo deficit di rappresentanza, la discussione si avvia per forza di cose su un binario morto. Certo il Pd può respingere l’alleanza con queste forze, ma poi deve dimostrare di essere capace di rappresentare autonomamente le istanze che portano. Di esserlo cioè rispetto a una idea di città che esse possano condividere.
La verità è che spigolare sulla priorità del soggetto (civico o politico) rispetto al progetto di città che si vuole realizzare è esattamente l’atteggiamento che dimostra quanto si sia lontani dalle esigenze e dalle urgenze dei propri concittadini. Tanto che a Riccione l’atto di ricercata purezza del Pd e della Vescovi nel rinunciare all’accordo con Pizzolante ha comunicato non una idea di politica alta, di identità valoriale definita, ma solo una autoreferenzialità non più giustificabile oggi. Una sorta di “noi ci bastiamo da soli”, che - soprattutto a livello amministrativo - appare arcaico e anacronistico.