Magrini, dopo aver perso le elezioni in quattro Comuni nel giro di due anni, non era il caso di presentarsi alla direzione del partito con una lettera di dimissioni?
Il segretario provinciale del Pd scuote la testa. “No – risponde Juri Magrini – il problema non sono io. Se avessi potuto compiere delle scelte, decidere i candidati e le alleanze, lo avrei sicuramente fatto. Ma non è così, quindi non ritengo né giusto né serio dimettermi. Chi ha chiesto le dimissioni lo ha fatto in modo strumentale. Io, per esempio, a Cattolica avevo proposto di non fare le primarie e di scegliere un candidato unitario. Hanno scelto diversamente e si è visto come è andata, non certo per mia responsabilità”.
E a Riccione?
“Non ho partecipato ai tavoli dove si è discusso di alleanze e di candidati”.
Vuole farci credere che ci sono le elezioni in importanti Comuni ed il ruolo del segretario provinciale del Pd è fare la bella statuina?
“Secondo questo statuto il ruolo del segretario provinciale è molto limitato. Quando ho potuto esercitarlo, ad esempio nella scelta unitaria dei candidati per le regionali, i risultati si sono visti. Il resto sono chiacchiere”.
E allora perché a Riccione dicono che nel prossimo futuro dovrà essere più evidente l’autonomia comunale del Pd?
“A Riccione, nella nostra famiglia politica, da quando c’era il Pci fino ad oggi, hanno sempre fatto ciò che gli pareva in totale autonomia. Ognuno se la racconta come vuole, ma le cose stanno così. A Riccione la gente si crede una repubblica indipendente. Se agli elettori parli di area vasta, capiscono che li vuoi fare dipendere da Gnassi. In ogni caso il partito ha scelto e deciso in totale autonomia”.
E secondo lei hanno fatto l’errore di andare a firmare dal notaio per far cadere Renata Tosi…
“Più precisamente ho detto che c’è stata fretta per intercettare la scadenza elettorale di giugno. È chiaro che se una parte della maggioranza vuol far cadere il sindaco, un partito di opposizione non può non accodarsi. Ma si è sottovalutato il seguito che il sindaco ha nella città. Se invece si prendeva tempo, si sarebbe potuto ragionare meglio sui programmi e sulle alleanze”.
Insomma il Pd ha sposato l’analisi di Luciano Tirincanti, salvo poi non stringere l’alleanza con Patto Civico perché c’era l’ex vice sindaco. Un ragionamento non proprio lineare…
“Come ho detto non ho partecipato ai tavoli. Il partito di Riccione ha deciso che dovevano restare fuori quanti avevano avuto un ruolo nell’esecutivo della Tosi”.
Perché avete perso?
“Quando si perde per appena 450 voti ogni considerazione è valida. Ci sono fattori locali, ma io penso che abbiamo pagato soprattutto per le scelte nazionali e per la tensione che c’è nel Paese sul tema dell’immigrazione. Che ha avuto riflessi anche locali, si pensi all’attacco portato dalla Lega a San Lorenzo”.
Non è stata un errore la mancata apertura al civismo?
“Le lista civiche hanno avuto successo perché in un momento di disaffezione alla politica ci si riconosce meglio in forze che non hanno l’etichetta del partito. Ma Patto Civico non è vero civismo. Gli esponenti che sono in politica da anni vi hanno avuto un ruolo preponderante, basta guardare a chi sono andate le preferenze. Certe cose non le possono venire a raccontare. I registi dell’operazione avevano altre finalità che dare voce al civismo. Penso che il civismo si nasconda fra gli elettori che si sono astenuti”.
Va bene, Patto Civico non è civismo. Però dà rappresentanza a certe categorie sociali con cui voi non riuscite più a comunicare. Non era meglio cercare un rapporto?
“Anche su questa storia della rappresentanza di imprese, professionisti, mondo del lavoro, bisogna fare chiarezza. Ho partecipato a un incontro della direzione del Pd di Riccione e ho osservato: fra di voi c’è un solo operaio, tutti gli altri appartengono al ceto medio. Se voi non siete capaci di comunicare con i vostri colleghi, c’è qualcosa che non mi quadra. Ci sono dinamiche che non sono solo amministrative…”.
E cosa sono?
“Ripeto, noi abbiamo pagato per valutazioni nazionali. Da Monti in poi, siamo al governo da sei anni, è normale che in alcune categorie ci sia un giudizio critico”.
Lei quelli di Patto Civico non li vuol vedere neppure in cartolina. Eppure se Gnassi ha vinto ed è stato eletto al primo turno, buona parte del merito…
“Ha tirato la posizione del simbolo sulla scheda e il fatto che c’era scritto Gnassi”.
Ancora fermo a questa valutazione?
“L’ho potuto verificare personalmente andando a chiedere il voto ad alcuni anziani. Poi a Rimini mancavano i 5 Stelle e c’era un centrodestra sfaldato a trazione leghista. È vero, una parte degli elettori del centrodestra ha votato per noi, ma perché si riconosceva nel buon lavoro del candidato e nel programma”.
Il centrodestra è sfaldato ma anche voi non ve la passate troppo bene, visti i risultati.
“Sì, ma il problema non è solo a Rimini. Anche dove abbiamo vinto, il Pd non è andato oltre il 20 per cento”.
Non c’è nessuna causa locale?
“C’è il problema che non si accettano valutazioni critiche. Subito scatta il retropensiero che si dicano alcune cose perché si vuole tirare la volata a Tizio o contrastare Caio. Spifferi e correnti soffiano da ogni dove. Per questo dico che c’è il rischio di una implosione. Lo vivo sulla mia pelle”.
In questi anni il Pd non ha brillato per proposta politica, è apparso schiacciato sul protagonismo degli amministratori.
“Per certi versi è inevitabile che con l’elezione diretta i sindaci abbiano questo ruolo. E io non ho la fregola di intervenire per avere visibilità sui giornali”.
Al congresso di ottobre si ricandiderà?
“Vedremo. Ci sono alcune valutazioni da fare, non solo politiche. La famiglia, i figli…”.