Quando l’opposizione vince. 1/Il caso di Bellaria
Avvicinandosi le elezioni a Rimini, e di fronte a tante analisi dettate più dalla passione politica che dall’osservazione della realtà, abbiamo pensato di ricostruire il contesto nel quale sono maturate le vittorie più importanti ottenute dall’opposizione nella nostra (ex) Provincia, provando a individuare quali fattori ne siano risultati rilevanti.
Partiamo da Bellaria, città che nelle elezioni nazionali registrava già da anni una superiorità del centrodestra, con numeri abbastanza costanti se pur non travolgenti; e dove è certo per i propri errori che l’opposizione riesce a imporsi sul PD solo nel 2009.
Sono i cittadini che chiedono il cambiamento
Ai tempi della prima vittoria di Enzo Ceccarelli, nel 2009, Bellaria è una città abbastanza avvilita, sospesa tra l’annuncio di grandi progetti e le divisioni che invece ne segnano, più prosaicamente, il quotidiano; una città che vive ormai una sorta di sfiducia collettiva, come rassegnata all’immobilismo della politica e alla propria decadenza. E non è difficile nel parlare con le persone sentir dire che la città è diventata la cenerentola della riviera.
Constatazione tanto più grave quanto più si consideri il fatto che, per parte del decennio del doppio mandato Scenna, il bellariese Nando Fabbri è presidente della Provincia. Fabbri, un tempo padre padrone del partito bellariese, lascia Bellaria nel dimenticatoio e la esclude da partite importanti come attesta il (varo del) PTCP. E questo, il PD bellariese e l’intero paese (associazioni di categoria davanti a tutti) non glielo perdoneranno.
Al senso di frustrazione si associano i primi segni concreti di difficoltà tra le realtà economiche locali, con chiusure di negozi e un abbassamento nella qualità dell’offerta anche nelle zone di pregio della città.
La protesta ha sempre bisogno di un simbolo
Ma è la mancata realizzazione dei grandi progetti tante volte annunciati ad avere il valore simbolico più rilevante e che, mano a mano, conferma la delusione e la disillusione della città rispetto alla capacità della giunta Scenna di un rilancio reale di Bellaria.
La stessa maggioranza è intaccata da questi sentimenti e un po’ alla volta si sfalda, incapace di difendere quegli stessi progetti. La darsena, attesa a Bellaria da 30 anni, presentata come “cosa già fatta” anche all’estero, viene bocciata in consiglio comunale. Stessa sorte per la risistemazione della zona delle colonie (tradizionalmente depressa) e per lo stesso PSC, il piano che presiede allo sviluppo urbanistico comunale; uno sfaldamento che non è solo occasionale, si tratta ormai di una divisione profonda all’interno del PD e sicuramente è uno dei fattori che favorisce la prima vittoria di Ceccarelli.
I fatti si impongono
La prima esperienza politica di Enzo Ceccarelli risale a dieci anni prima l’elezione a sindaco. È quella elettoralmente disastrosa di Intesa Cittadina, che si oppone, da destra, all’accordo tra l’ex partito comunista e i popolari ex dc di Lazzarini. È però l’inizio di un percorso che porta a farne crescere la credibilità. Tanto che si può dire che la coesione della compagine di centrodestra del 2009 sia il frutto delle battaglie di dieci anni e di due sconfitte elettorali.
In quegli anni, attorno a Ceccarelli, che è lui stesso albergatore, si forma un gruppo di albergatori (e non solo), con l’idea di uscire dal sindacalismo di categoria. Nasce così l’idea di Verdeblu, la società pubblico privata di promozione turistica. Qui, Ceccarelli matura la sua esperienza in campo organizzativo e politico, riuscendo a unire mondi che difficilmente, prima, dialogavano. E che quasi tutte le categorie economiche, così spesso litigiose e divise, si ritrovino sotto l’egida comune di Verdeblu e poi di Emisfero, appare a tutti come un fatto di grande rilievo.
Così, quando è il momento di individuare il candidato per il centrodestra, il suo nome emerge in modo abbastanza naturale (superando anche le ritrosie dei partiti, forti elettoralmente, ma non in grado di avanzare una leadership).
L’unità aiuta, il candidato è decisivo
Dal punto di vista tecnico, l’idea è la stessa delle liste civiche pur sconfitte nelle due tornate precedenti (quelle vinte da Scenna): un candidato sindaco con una propria lista autonoma, sostenuto in modo diretto, ma con proprie liste, dai partiti di opposizione. La prima volta ci aveva provato Alfonso Vasini, ma qualcosa non aveva funzionato proprio nel rapporto con i partiti, probabilmente ancora convinti che, avendo i voti nazionali, bastassero i simboli per vincere. Il secondo tentativo, con Lazzarini protagonista, partiva con una lista unica, ma le vecchie frequentazioni con la sinistra del candidato (e certa sua supponenza nel pensare alla vita della polis come una questione fra “intelligenti” solamente) ne facevano solo un candidato "della politica" (e non della città e del cambiamento).
Con queste esperienze, nel 2009, i partiti di opposizione capiscono che i voti che muovono sull’onda delle elezioni nazionali non sono comunque sufficienti per vincere e accettano di condividere la scelta del candidato con le altre realtà che compongono il raggruppamento di centrodestra. Allo stesso tempo, il sentimento di sfiducia che domina in città porta i diversi gruppi di interesse (parrocchie, albergatori, commercianti, il mondo delle associazioni sportive, del volontariato, ecc…) ad appoggiare una candidatura alternativa alla maggioranza guidata dal PD.
La campagna elettorale è un sentimento
La campagna elettorale che ne segue si incentra sulla cura del paese. Non si sottolinea uno slogan, un tema, o una serie di “programmi”, ma una ragionevole politica del fare. Si porta il candidato il più possibile a contatto con i cittadini (nei bar, negli incontri di quartiere e anche nelle affollate assemblee organizzate dai partiti) e si punta sulla percezione di affidabilità che Ceccarelli riesce a comunicare.
Lo slogan della prima tornata - “Ceccarelli c’è” - si rivela azzeccato: sta tra la gente, ama fermarsi a discutere. E questo supplisce all’assenza di un progetto definito e condiviso tra le anime del centrodestra. Nascondendo anche le tante discussioni e trattative interne che ne accompagnano il cammino elettorale.
Rispetto alla stampa, infine, il centrodestra vanta, da una parte, l’appoggio de La Voce (con il suo fare aggressivo, che crea il clima della battaglia decisiva) e, dall’altra, quello più riflessivo de Il Nuovo, che pone i temi concreti del fare, denuncia l’incapacità di governo della sinistra e contribuisce alla coesione della coalizione.
Non basta scegliere un candidato, occorre un leader
In conclusione, il primo dato da sottolineare (e che la distingue da Rimini) è che Bellaria è comunque una piccola città, la cui dimensione rende più facilmente interpretabile il sentimento generale (e condiviso, se esiste) dei cittadini.
Il secondo, che quasi relega il caso di Bellaria in un’epoca diversa, è che quei partiti nazionali di centrodestra, che potevano fare da traino dei voti locali di opposizione, oggi quasi non esistono più (tanto che a Bellaria è lo stesso Ceccarelli che, prima come sindaco e poi come candidato alle ultime elezioni, funge proprio da valorizzatore del loro ruolo).
Infine, si può osservare che l’unità delle opposizioni, senza la quale sicuramente si perde (lista Vasini), serve a poco quando il candidato non “buca” gli schieramenti (lista Lazzarini) o, meglio, quando è solo la bandiera di una unità tattica e non lui stesso il centro reale e riconosciuto di quell’unità. Banale dirlo, ma non basta scegliere un candidato unitario, bisogna trovare un leader.