Rimini Welfare e la sussidiarietà circolare: statalismo in archivio?
Una bella e moderna teoria o una concreta esperienza in atto? Domanda legittima di fronte ad un Comune, quello di Rimini, che afferma di voler sempre più allineare i propri servizi sociali a quello che con espressione sintetica viene definito “welfare delle capacità”. Siamo nell’ambito dell’applicazione di una teoria elaborata dal premio Nobel per l’economia Amartya Sen.
Sulla base del Capabilities approach, il benessere, individuale o collettivo, viene misurato non tanto sulla scorta delle variabili solitamente utilizzate (come il reddito, il consumo o i bisogni sociali), quanto sulle “capacità” degli individui, vale a dire sulle loro effettive opportunità di “fare” ed “essere” ciò che essi realmente desiderano. Davanti a un servizio sociale, insomma, non c’è un bisogno ma c’è una persona con desideri e capacità e su queste occorre lavorare perché sia rimessa in moto la libertà della persona bisognosa nella ricerca di una soluzione.
Di questo si è parlato nel convegno tenuto l’altro pomeriggio alla Sala Manzoni su "Rimini Welfare: Quattro anni di approccio delle capacità dal Piano strategico alle Politiche Comunali", organizzato dal Piano strategico e dall'Amministrazione Comunale di Rimini. Parlare di welfare è parlare del settore che impiega più del 40 per cento delle risorse del bilancio comunale che nel 2014 hanno superato i 40 milioni di euro.
La premessa storica è che il Piano Strategico non si è occupato solo dello sviluppo urbanistico ed economico della città ma si è misurato anche con l’esigenza di ridisegnare i servizi sociali che, al pari dell’economia o dell’urbanistica, non possono non affrontare il tema del cambiamento. In realtà il Piano Strategico indicava il welfare delle capacità come uno dei punti da approfondire e di questo si sono fatti carico negli ultimi quattro anni l’assessorato ai servizi sociali diretto da Gloria Lisi e lo stesso Piano Strategico attraverso il gruppo welfare coordinato dal vice presidente Luciano Marzi. In questi anni sono stati sviluppati progetti e corsi di formazione per gli operatori in modo che il nuovo approccio non rimanesse una parola astratta ma cominciasse ad incidere nel concreto delle politiche sociali.
Lo stesso convegno alla Sala Manzoni ha risentito fortemente di questo cambio di mentalità. Per una volta un convegno sui servizi sociali non è stato il solito luogo di scontate analisi sociologiche o di descrizione di interventi decisi a tavolino da qualche funzionario. Il linguaggio che si è preferito parlare è stato quello dell’esperienza. Così Matteo Donati, dello Sportello Sociale dl Comune (il punto in cui confluiscono tutti i bisogni e i drammi del territorio, 1.700 casi in archivio), ha spiegato come il “Capabilities approach” ha implicato una messa in discussione del suo modo di accogliere le persone che si rivolgono al suo Sportello, la rivoluzione di puntare sul desiderio di realizzazione di sé e la fatica di stimolare la libertà delle persone che inevitabilmente si aspettano una risposta immediata e preconfezionata. Allo stesso modo Karima, una mamma marocchina, ha raccontato la sua personale esperienza di accoglienza in Casa Sant’Anna, che si occupa appunto delle donne sole con la propria gravidanza e il proprio bambino. Sulla stessa lunghezza d’onda il racconto del padre separato che ha documentato come nel Residence dei Babbi ha trovato l’opportunità di mettere ordine alla propria vita e il luogo dove poter accogliere i propri figli dopo il trauma della separazione. Pietro Borghini, della Caritas, ha sottolineato come l’efficacia di un welfare delle capacità dipenda molto dalla messa in rete di persone, soggetti, imprese, associazioni di volontariato. A questo proposito ha citato l’esperienza del Fondo per il lavoro voluto dal vescovo e il prossimo avvio dell’Emporio Solidale, una sorta di supermarket per i poveri, realizzato grazie alla collaborazione di una vasta rete di enti che hanno deciso di collaborare per dare risposta a chi fatica a mettere insieme il pranzo con la cena.
Borghini ha fatto esplicitamente riferimento a quel concetto di sussidiarietà circolare che è uno dei cavalli di battaglia del professor Stefano Zamagni, uno dei “padri” culturali del Piano Strategico. La sussidiarietà circolare è formata da un triangolo i cui tre vertici – ente pubblico, imprese, non profit – insieme progettano, realizzano e gestiscono gli interventi sociali. È quindi superata – non sappiamo quanto definitivamente, certamente nelle intenzioni dichiarate – quell’impostazione di welfare che vede l’ente pubblico nella posizione dominante. Anche perché - ha poi spiegato lo stesso Zamagni – il welfare state, ovvero lo statalismo assistenziale, non è più in grado oggi di garantire quella redistribuzione del reddito per cui era stato pensato. Specialmente non è in grado di farsi carico delle cosiddette “persone in sovrappiù”, degli espulsi dal processo produttivo e dal contesto sociale. In Italia la spesa sociale è alta, è pari a quella delle democrazie nordiche più avanzate, tuttavia rimangono larghe fasce di bisogni insoddisfatti. Ciò significa che non è un problema di risorse, ma di come le si spendono. Per Zamagni, che è stato il primo a portare in Italia Amartya Sen, si è quindi nuovamente speso per il welfare delle capacità, in un contesto di sussidiarietà circolare. La sola – ha spiegato – che sola può garantire l’universalismo degli interventi, cioè che tutti possano usufruire delle prestazioni. Ha anche sostenuto che Rimini, per il suo tessuto produttivo e la vasta rete di volontariato, è nelle condizioni ideali per avviare una esperienza virtuosa.
Il convegno di lunedì proseguirà nelle prossime settimane con altri incontri più ristretti nei quali mettere a punto le proposte che saranno finanziate con il Piano di zona del 2015. L’assessore Lisi ha affermato che saranno privilegiati quegli interventi che punteranno sulla captazione dell’utenza (cioè individuare quei bisogni che da soli spontaneamente non si presentano agli sportelli sociali) e sull’approccio delle capacità.