Gnassi si candida a diventare il becchino della Notte Rosa?
Non sappiamo al momento se la Notte Rosa diventerà un evento di tutta la costa adriatica e se l’unico punto spento sarà Riccione che si è chiamata fuori. Queste due possibilità, entrate nel dibattito pubblico dopo la conclusione della decima edizione, denunciano lo stesso problema: una perdita di identità della Notte Rosa.
È un fenomeno che è cominciato quasi subito. Non appena si sono accorti che i concerti gratuiti e gli addobbi in rosa di negozi e alberghi riempivano le piazze, amministratori e operatori turistici hanno cominciato a parlare della Notte Rosa come prodotto turistico. Cioè un modo per tentare di dare vitalità al primo week end di luglio, sperando in un effetto di trascinamento per tutto il mese (da un po’ di anni debole, specialmente a Rimini). Come confermano i dati, il prodotto turistico Notte Rosa si riduce alle due notti del venerdì e sabato. Tanto rumore per un week end. Ma non è questo il punto.
La Notte Rosa non era stata pensata come prodotto turistico, come strumento per riempire un fine settimana, ma come evento che aveva l’obiettivo di un riposizionamento strategico della Riviera rispetto al mondo della notte. Nella convention ai Caraibi di Promozione Alberghiera in cui fu partorita l’idea, presente Andrea Gnassi, il tema era quello di come rilanciare la notte che, dopo la stagione scoppiettante e trasgressiva degli anni Novanta, non era più un traino per il turismo. L’associazione della cultura dello sballo al divertimento notturno aveva avuto effetti deleteri e creato un’immagine negativa della Riviera e della notte in particolare. Bisognava rilanciare: come farlo? La risposta è stata: con un evento che indichi che la Riviera non è la terra dello sballo ma il luogo di un divertimento dolce per tutti, dai giovani alle famiglie con bambini, agli anziani.
“La notte – scriveva Andrea Gnassi nel libro sulla Notte Rosa – come chiave per riposizionare un territorio, come elemento debole da rivalutare e rilanciare e per ricomunicare tutta la riviera e i suoi cambiamenti”. E si scelse di colorarla di rosa perché “capace di esprimere qualità opposte a quelle che la vecchia foto del divertimentificio e della notte oscura ci assegnava”. In una parola la Notte Rosa doveva essere il traino di una Riviera che è “la vera terra degli incontri, dei sentimenti, delle relazioni sociali”.
Una riflessione, possibilmente accompagna da dati, se il riposizionamento strategico tentato in dieci anni abbia avuto effetto, la si deve ancora leggere. In realtà, questo scopo fondativo della Notte Rosa è stato quasi subito archiviato. Quando si sono manifestati i primi segni che l’evento anziché essere espressione di una Riviera dolce correva il rischio di diventare il ricettacolo di gruppi e persone che vi vedevano l’ennesima occasione per una notte sopra le righe, si è preferito minimizzare e continuare come sempre, senza mai porsi il problema di aggiornare la formula. (Anche gli eventi più consolidati, tipo il Festival di Sanremo, ogni anno cambiano, si aggiornano). Anche adesso, anziché dare una risposta argomentata, si preferisce ridicolizzare la posizione di Riccione che vuole uscirne perché rifiuta il tipo di turismo che l’evento attira. Senza accorgersi che è davvero paradossale che una festa sorta per celebrare la notte dolce venga abbandonata in nome degli eccessi di alcol e di vandalismi. Si dovrebbe aprire un confronto serio e a Riccione, anziché trascinarla in stantie polemiche politiche di paese, si dovrebbe chiedere di chiarire qual è il target a cui mira, a quale riposizionamento strategico puntano certe scelte come quelle di mettere a nanna la città mezz’ora dopo la mezzanotte, o quella di affidarsi a Oliviero Toscani per trasformare la città in una sorta di Truman Show turistico.
Ma c’è da aggiungere che in dieci anni la Notte Rosa non ha fatto alcun passo in avanti per diventare davvero lo stile nuovo della Riviera. Sono nati locali nuovi per vivere una notte dolce? Si sono affermate nuove mode notturne? L’imprenditoria, del giorno e della notte, ha raccolto la sfida e ha inventato qualche iniziativa originale? La Notte dolce della Rivera è rimasta solo un appuntamento, per alcuni neppure tanto dolce.
Il definitivo abbandono delle motivazioni per cui era nata la Notte Rosa lo si coglie anche nella proposta di farne un evento da Venezia alla Puglia, per celebrare tutte le eccellenze (gastronomiche culturali, artigianali, ecc.) dell’East Coast italiana (un concetto – quello di East Coast – che non esiste nella realtà). Fa impressione rileggere oggi la prefazione dell’allora presidente della Provincia, Nando Fabbri, al libro fotografico sulla Notte Rosa. “Con orgoglio abbiamo sempre detto che la Notte Rosa è un evento irripetibile altrove, perché solo qui c’è un sistema turistico capace di mettere in campo idee, energie, risorse per confermarsi, con risposte creative e sempre diversificate, un polo pregiato di ospitalità e di loisir”. Oppure rileggere Gnassi che celebrava il colore rosa perché “rende visibili l’elemento identitario che è nella nostra gente”, cioè un colore che è “gentile, dolce, divertente, esprime bellezza, amore, complicità, voglia di incontrarsi”.
Con l’allargamento alle Marche, l’elemento identitario è andato in soffitta. E ci andrà ancora di più con l’allargamento a tutto l’Adriatico, se mai si farà. Sarà una Notte hegeliana in cui tutte le vacche sono rosa. La proposta ha il terribile difetto che impedisce qualsiasi serio bilancio critico dell’evento e qualsiasi ipotesi di rinnovamento o di ritorno alle origini. Ciò che si vuole esportare è una formula che si può riassumere così: concerti gratis, pennellate di rosa, fuochi d’artificio a mezzanotte. Non stupisce che possa piacere anche fuori confine, che si entusiasmino a Fano o a Senigallia, ma che ne è di tutta la retorica sulla unicità, sull’irripetibilità e sull’identità? Che ne è dell’intelligente tentativo di associare un’immagine positiva al divertimento notturno?
Davvero Andrea Gnassi, dopo essere stato l’inventore della Notte Rosa, vuole diventarne anche il becchino?