In principio è stato lo stop al cemento e al consumo del territorio, che costituisce non a caso l’incipit di ogni narrazione del sindaco Andrea Gnassi sui cinque anni di governo della città.
I primi provvedimenti della sua amministrazione sono stati infatti la liquidazione dei progetti delle archi-star per il lungomare e il blocco di alcuni piani particolareggiati che prevedevano nuove palazzine e nuovi metri cubi di cemento. Uno stop arrivato in un momento in cui la crisi dell’edilizia cominciava a far sentire i suoi effetti anche a Rimini, con il calo verticale dell’occupazione e la chiusura per fallimento delle aziende. Tanto che, a parte i grattacieli delle archi-star, forse la crisi avrebbe bloccato da sola per qualche anno, senza bisogno di decisioni amministrative, lo sviluppo edilizio, il quale avanza solo se c’è gente che ha le risorse finanziarie per costruire o il credito per poter acquistare.
D’altra parte lo stop al cemento ha rappresentato anche l’immagine concreta di una discontinuità rispetto al recente passato delle giunte Ravaioli-Melucci, dove prevalevano i motori immobiliari rispetto a quelli culturali tanto cari al sindaco attuale. Così facendo Gnassi ha ricondotto all’ovile un’opposizione interna di stampo ecologista, stanca di vedere la città ostaggio dei padroni del mattone, e ha sgomberato il campo dal pericolo della formazione di un’opposizione esterna contro l’eterno partito del cemento. Peraltro lo stop non è stato comunque indiscriminato: il nuovo supermercato (5.000 metri di superficie commerciale e 2.500 metri di servizi direzionali) e gli appartamenti (un centinaio) che Conad costruirà all’interno del progetto Acqua Arena sono l’eccezione più vistosa.
Nessuno, o quasi, rimpiange i motori immobiliari, ma rottamati questi, a Rimini sono rimaste solo le macerie di un’edilizia andata completamente in frantumi, con grave danno per tutta l’economia cittadina, visto che a livello locale le costruzioni sono il motore che traina molte altre attività economiche.
L’immagine plastica di questo vuoto sono i cinque anni – cioè l’intero arco temporale di una legislatura – che intercorre fra l’adozione di Psc e Rue (marzo 2011, giunta Ravaioli) e la loro approvazione definitiva (marzo 2016, giunta Gnassi). Fra queste due date, per forza di cose, non c’è nessun intervento significativo, se non il famoso Masterplan strategico che ha disegnato la città delle piste ciclabili e degli anelli verdi.
Se c’è stato qualcosa di deficitario in questi anni è stata l’attenzione reale, concreta (non le dichiarazioni verbali che da sole non producono nulla) alle esigenze della ristrutturazione e riqualificazione edilizia. Stop al cemento significa dire no all’aumento dei metri cubi, non può voler dire che si blocca ogni attività. E gli incentivi normativi e fiscali per la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente non contraddicono l’idea di una città che non accetta un ulteriore consumo di territorio. Mentre in altre città della regione, pure a guida della sinistra, come Reggio Emilia, fin dal 2010 sono stati introdotti a livello comunale questi incentivi che hanno dato movimento all’industria edilizia, a Rimini ci si è accontentati dello stop e delle future piste ciclabili. Solo nel 2015, quando la situazione era diventata insostenibile, con imprenditori edili, architetti, ingegneri e geometri – oltre i semplici cittadini – che reclamavano ogni giorno una svolta, l’amministrazione comunale ha deliberato una serie di interventi, chiamati “renzianamente” il Rinnova Rimini, volti a dare il via alle ristrutturazioni e al frazionamento delle unità immobiliari.
Negli ultimi mesi si è quindi arrivati all’approvazione di Psc e Rue.
Il Piano Strutturale Comunale è stato presentato dall’amministrazione come in linea con la filosofia dello stop al consumo di territorio, avendo l’iter dei cinque anni cambiato di molto le previsioni urbanistiche del 2011 (gli ambiti per nuovi insediamenti sono stati ridotti del 40 per cento e del 55 per cento nel territorio urbanizzato). Ciò significa, secondo la giunta, un massimo di 2.500 nuovi appartamenti. A questa previsione, si è opposto il controcanto grillino che parla invece di una capacità edificatoria di 4.000 nuovi alloggi. Poiché le previsioni per diventare operative necessitano di un Poc (piano operativo comunale) la prova del nove la si avrà nella nuova legislatura.
Più fresco di approvazione è il Rue, cioè il Regolamento edilizio-urbanistico, che fra le tante novità ha istituzionalizzato le norme per favorire la riqualificazione e ristrutturazione edilizia.
Per sapere se tutto ciò avrà effetti positivi, dovremo attendere. Non solo perché certi fenomeni si misurano a distanza, ma perché lo Sportello dell’edilizia del Comune di Rimini ha chiuso temporaneamente i battenti. E così architetti, ingegneri e geometri che hanno bisogno di un parere per districarsi nella giungla delle norme resteranno a bocca asciutta per un po’ mesi. Tutto il tempo necessario perché gli impiegati comunali possano studiare adeguatamente la nuova normativa. Una chiusura che, al termine della legislatura, è come un timbro sulla difficoltà di dialogo fra l’amministrazione e il mondo dell’edilizia.