A Riccione sta succedendo qualcosa. Questo è evidente ed è sotto gli occhi di tutti. Il terremoto sta sbriciolando il blocco di governo coagulatosi intorno al sindaco Renata Tosi e sta liquefacendo il principale partito di opposizione, il Pd, mandato a casa dopo decenni di dominio assoluto.
Se è chiaro ciò che sta accadendo in superficie (le cronache quotidiane sono piene di particolari), resta più difficile capire cosa si stia muovendo in profondità. Anche perché Riccione è un paesone dove il pettegolezzo è l’anima reale della politica. Se si chiede conto a un riccionese di un fatto o di una presa di posizione, il discorso in men che non si dica finisce subito su qualche malevolenza su questo o quel personaggio, su qualche fantasioso conflitto di interesse, sugli intrighi che il tale starebbe organizzando contro il tal altro. Un incontro riservato diventa di dominio pubblico e finisce sui social in cinque minuti. Un incontro casuale diventa la prova regina di un complotto. In questo caos diventa quasi impossibile riprendere il filo della matassa e ricondurlo ad argomenti squisitamente politici.
In Italia nei decenni passati per spiegare ogni vicenda oscura o obliqua si ricorreva ad Andreotti, raffigurato come un pericoloso Belzebù sempre alla ricerca di chi divorare. A Riccione il Belzebù è diventato Natale Arcuri, lo stratega di Noi Riccionesi, l’artefice riconosciuto della vittoria della Tosi. Secondo una narrazione sempre più diffusa, Arcuri starebbe lavorando per mettere le mani sulla città e per riconsegnarla, su un piatto d’argento, ad un Pd riveduto e corretto a sua immagine e somiglianza. Per affermare tale volontà egemonica, Arcuri non guarderebbe in faccia a nessuno: costringe alle dimissioni i dirigenti dell’associazione culturale legata a Noi Riccionesi, minaccerebbe di far saltare la poltrona del presidente degli albergatori, Rodolfo Albicocco, reo di non essere troppo accondiscendente alle politiche fiscali del sindaco. Arcuri sarebbe quindi una sorta di caterpillar che asfalta la politica e la città, con l’aggravante, oltretutto, di essere calabrese.
A sostegno di questa lettura ci sono alcuni fatti e considerazioni. La prima è che Arcuri ha una storia politica tutta a sinistra e che, ancora oggi, è un sostenitore del Pd renziano. Per lui l’esperimento riccionese non ha il valore di un cambio di campo politico, semplicemente continua la sua battaglia con altri mezzi e avvalendosi del sostegno strumentale della destra. D’altra parte anche lavorando in trasferta a Rimini, aveva lanciato il messaggio: fate fuori Gnassi e ne parliamo. La stessa lista civica di Riccione non nasce con i connotati di soggetto politico di centrodestra, ma di aggregazione trasversale che riunisce imprenditori, professionisti e cittadini stanchi della vecchia e insopportabile egemonia del Pd della Perla verde e del suo tragico simbolo, il Trc. Si ricorda che un esponente del Pd, il dirigente comunale Cristian Amatori, aveva a suo tempo proposto la Tosi come candidato sindaco, e quando a candidarla è stato Arcuri con il suo progetto si è comunque schierato al suo franco. Arrivato nella stanza del potere, non ha effettuato alcun spoil system, come ci si poteva aspettare da una coalizione di centrodestra che ha conquistato un feudo storico degli ex comunisti, ma ha confermato i dirigenti di sinistra (vedi Amatori) e tutte le nuove infornate, dalla comunicazione alla cultura, hanno pure quell’inequivocabile timbro.
A mal sopportare tutto questo è il vice sindaco Luciano Tirincanti, di Forza Italia, il quale, secondo i suoi critici più velenosi, ritiene che solo per colpa di un destino cinico e baro non sia lui a sedere sul seggio più alto del consiglio comunale. Ragione per cui, lui che è solo un vice, mal sopporta che il sindaco Tosi abbia un punto di riferimento unico e indiscusso, l’indigesto, per lui, Natale Arcuri, detto Nanà. Tutte le turbolenze di giunta accadute in questi ormai due anni di amministrazione – in realtà tempeste in un bicchier d’acqua - sono da ricondurre a questa insopportabile egemonia arcuriana. Difficile pensare che potranno essere alleati per altri cinque anni. Lo stesso Tirincanti, in una recente intervista al Carlino, alla domanda se lui vorrà candidarsi sindaco nel 2019, non risponde che un sindaco c’è già, la Tosi, ma si lancia in considerazioni di questo tipo: «Mancano tre anni e allora io ne avrò 69, che non sono pochi. Per carità, la ritengo una bella esperienza quella che stiamo vivendo e penso di essere una persona frizzante, ma addirittura puntare a fare il sindaco... lasciamo stare. Ora dobbiamo pensare ad arrivare in fondo, poi ci metteremo tutti a un tavolo e tireremo le conclusioni».
Ma segnali nuovi e importanti arrivano anche da sinistra. Il Pd è spaccato in due: da una parte i fedeli alla segreteria guidata da Parmeggiani, dall’altra i dissidenti coagulati intorno a Ubaldi, il candidato sindaco battuto dalla Tosi. Quest’ultimi hanno dato veste organizzativa stabile al loro dissenso, hanno assunto il nome di Democratica ed hanno ovviamente aperto la loro pagina Facebook che è l’agorà virtuale in cui è indispensabile essere presenti. E dalle pagine del social network hanno lanciato il loro primo importante segnale politico: se il Pd ha contestato il 4 per cento detenuto dalla Tosi nell’impianto di carburante a cui si riforniscono anche i mezzi comunali, loro sostengono che “è una cosa normale e rispettabilissima”.
Tutto questo è la prova che le strade di Arcuri e della Tosi si possano infine incrociare con quelle di Ubaldi e soci? Con una battuta si potrebbe rispondere che se a livello nazionale i verdiniani stanno con Renzi, è facile che un elettore di Renzi stia con Ubaldi a Riccione. Ma non facciamo previsioni: abbiamo semplicemente dato conto di una narrazione molto diffusa sulle turbolenze in atto al di là del Marano.